di Alexandra Harris
Se qualche pagina del quarto romanzo di Sally Rooney volasse per strada in un vento autunnale, molti lettori casuali riconoscerebbero subito chi l’ha scritto. Riconoscerebbero frasi calibrate con la precisione di ponti ad ampia campata, emozioni descritte momento per momento, dialoghi monosillabici che emergono di tanto in tanto mentre enormi correnti di introspezione scorrono sotto la superficie; scene di sesso incredibilmente intime e vissute dall’interno, quasi venerate come una forza morale. Qui ritroviamo, in breve tempo e con grande intensità, le qualità già note da Parlarne tra amici (2017), Persone normali (2018) e Dove sei, mondo bello (2021). Intermezzo è un’evoluzione compiuta dello stile che ha reso Rooney un fenomeno globale. È anche più ambizioso dal punto di vista filosofico, stilisticamente vario, a tratti inquietante e, nel complesso, più strano.
Due fratelli hanno appena perso il padre; ci troviamo nelle settimane di disorientamento che seguono il funerale. Ivan Koubek ha 22 anni, è riflessivo e introverso, eccelle come giocatore competitivo di scacchi ed è consapevole delle sue difficoltà nelle interazioni sociali. È “un tipo strano”, secondo Peter, ma Peter, avvocato eloquente e sicuro di sé, sta sbagliando parecchie cose. In capitoli alternati, che procedono a destra e a sinistra mentre i protagonisti perdono e ritrovano il loro equilibrio, Ivan intraprende una relazione passionale che sorprende chiunque lo conosca, mentre Peter, dieci anni più grande e sessualmente vorace, negozia il suo desiderio tra due donne diametralmente opposte. L’esperienza neurodivergente di Ivan, descritta lentamente e con attenzione, si traduce in una sua forma di eloquenza, il suo uso incerto del linguaggio contrastando con la fluente espressività di Peter. I silenzi di Ivan sono colmi di sentimento, la sua mente e il suo corpo vivono di dubbi e percezioni. Quando le emozioni represse prendono direzioni inattese, troviamo Ivan in uno stupore rapito e Peter sull’orlo di una disperazione vicina al nichilismo.
Ogni romanzo di Rooney coreografa i suoi protagonisti in configurazioni mutevoli, con un ritmo di attenzione che si sposta tra coppie interconnesse. Dopo lo schema a quattro di Parlarne tra amici e Dove sei, mondo bello, e il duetto esitante di Marianne e Connell in Persone normali, qui abbiamo una sequenza che coinvolge cinque personaggi principali: due uomini che si rivolgono alle tre donne di cui hanno bisogno (e un elegantissimo whippet di nome Alexei). Con rigore quasi matematico, simmetrie e inversioni di ruolo catturano la nostra attenzione. L’arte di Rooney mantiene in questo modo un classicismo che dona gravità a ciò che è crudo, confuso, sbagliato.
L’età conta, o meglio, tutti cercano di capire quanto conti. La generazione di Peter – i trentenni – rappresenta gli anziani autunnali di questo romanzo, misurando la distanza dalla giovinezza. (Quanto alla vita dopo i 40, è un concetto astratto ai margini della storia.) Entrambi i fratelli hanno relazioni con una significativa differenza di età. Chi sfrutta chi in una relazione tra una persona di 22 e una di 36 anni? È “disperatamente imbarazzante” o giovinezza e maturità possono rispettarsi e persino completarsi sublimemente? Peter, di mentalità cattolica, ci ricorda l’età di Cristo alla morte: 33 anni, l’apice della vita. Ma come dovrebbe amare, nel pieno della sua esistenza?
Negli scacchi, esiste una mossa chiamata intermezzo. Consiste nel deviare dal corso ovvio con un passo inaspettato che costringe l’avversario a reagire immediatamente. I fratelli e gli amanti del romanzo compiono molte mosse che li portano fuori rotta, spesso con una logica che non possono riconoscere. Sono spiazzati da morte, malattia e dolore. Ma il titolo assume un significato più semplice e al contempo più ampio di questa analogia. E se gli intervalli dissonanti della vita fossero l’azione principale? Tutta la fase centrale della vita potrebbe essere composta da tali intermezzi, invitandoci a rispondere al momento, improvvisando. È proprio il centro della partita a scacchi che Ivan ama giocare. Gli inizi si imparano sui manuali di “teoria delle aperture”, spiega, e i finali seguono certe formule. È nel mezzo che si crea qualcosa di proprio.
Sempre più sicuro dell’amore che ha trovato, Ivan onora le scoperte di questi mesi instabili e sconvolgenti. Se il lutto ha in qualche modo legittimato la sua nuova relazione, il suo estatico appagamento con Margaret gli permette anche di elaborare il dolore. Margaret, razionale e piena di desiderio, dirige un centro artistico nella campagna di Leitrim e riconosce la reciprocità tra vita e lutto, sostenendo che l’unica risposta alla morte è “restituirle il nome… con la stessa intensità e insensatezza, dalla parte della vita”. In una sorta di epifania a metà romanzo, la consueta moneta di dubbio, silenzio e sublimazione svanisce, e Ivan sente la profondità della sua perdita. È una delle sequenze di pensiero più straordinarie del romanzo, momenti che si innalzano come nubi cumulonembi, crescendo dietro conversazioni inadeguate o mal riuscite, o emergendo liberamente, con una sorta di grandezza, dal nucleo non verbale del piacere sessuale.
Peter affronta più caoticamente Eros, Thanatos e molto altro. Oscilla tra pensieri di suicidio (con un’inevitabile identificazione interiore con Amleto), desiderio per la giovane e radiosa Naomi, quasi sempre nuda, e desiderio per Sylvia, la brillante accademica che era la sua amante prima che un incidente la lasciasse con dolori cronici. Sylvia è ancora carismatica e viva, e Peter è ancora profondamente attratto da lei, ma considera con amarezza la loro relazione “mutilata dalle circostanze in qualcosa di illeggibile”. La fine della vita sessuale di Sylvia viene dipinta, in alcuni dei passaggi più inquietanti del romanzo, come equivalente alla morte. Si trovano poche argomentazioni contrarie all’idea di Sylvia come una compagna sessualmente “guasta”, incapace di offrire appagamento.
“Parlare con qualcuno, quasi gli andrebbe di farlo.” “Meglio per entrambi se lui. Sì. No.” Questo è Peter che vacilla. Lo stile ricorda, inconfondibilmente, il modo in cui Joyce rende i pensieri di Leopold Bloom mentre vaga, amando e soffrendo, per le strade di Dublino in Ulisse. Mentre Peter si dibatte nella sua crisi, sorseggiando vodka da una bottiglia di limonata e cercando una figura familiare, sembra di trovarsi in compagnia sia di Bloom che di Stephen Dedalus, i due protagonisti maschili di Joyce, di età e disposizioni contrastanti, che passarono per queste strade un secolo fa.
È interessante vedere Rooney, il cui retaggio letterario è più chiaramente legato alla “scrupolosa esattezza” di Gente di Dublino, coinvolgersi così a fondo con Ulisse. Rimane però una scrittrice profondamente originale in questo rapporto, ottenendo un effetto molto diverso da Joyce, la cui vasta annotazione dei pensieri erranti di Bloom si espande tra lingue, luoghi, rime incongrue, ogni linea proponendo giochi di associazione. Le frasi ellittiche di Rooney ci mostrano percezioni piegate in modi scomodi. E nel frattempo onora i suoi soggetti con una serietà d’intenti più che con un gioco. Stringendo la sua attenzione sull’immediato, esercita una pressione centripeta.
Leggendo, il mio istinto è di aprire una finestra, guardare un quadro, qualsiasi cosa per mitigare la claustrofobia indotta dall’essere tenuti così vicini a persone assorbite esclusivamente dai propri sentimenti, qui e ora, l’una per l’altra. Ma l’arte fa il suo lavoro quando ci spinge oltre i nostri istinti per farci vivere altri modi di essere. Intermezzo parla della vita come esperimento continuo. Il romanzo suggerisce che Rooney (alla stessa età di Peter, 33 anni) non si adagerà nelle forme che ha già stabilito, ma continuerà a tenerci in una tensione faticosa, tra gioia e disagio.
Intermezzo di Sally Rooney è pubblicato da Einaudi (€ 22,00).
The Guardian, 19 settembre 2024
[Traduzione dall’inglese di Alberto Piroddi]