La Bibbia, si sa, è un testo che scotta, e Aldo Cazzullo, giornalista e autore di vasta esperienza, ne raccoglie le fiamme per rielaborarle in una sorta di racconto-saggio, un progetto che aspira a illuminare, con tono teatrale e accattivante, le grandi narrazioni fondative delle Scritture. Il Dio dei nostri padri non è né un’esegesi accademica né un semplice manuale di divulgazione religiosa: è qualcosa di più complesso, o forse di più contraddittorio. Cazzullo non legge la Bibbia come un teologo, ma come un narratore contemporaneo, calando le storie nella modernità con la stessa audacia di un regista che non teme di riscrivere un classico per il grande schermo. Eppure, proprio in questa trasposizione drammatizzata, la Bibbia rischia di diventare altro rispetto alla sua natura originaria: uno specchio di inquietudini contemporanee piuttosto che un confronto autentico con l’eterno.
Cazzullo descrive la Bibbia come “il più grande romanzo mai scritto”, ma in questo approccio si cela l’ambiguità dell’intera operazione. Nel suo tentativo di renderla appetibile e vicina al lettore moderno, l’autore smussa gli angoli più ruvidi, umanizza l’inumano e banalizza, a tratti, il trascendente. Gli episodi biblici vengono trattati con una vivacità che richiama le serie televisive contemporanee: il diluvio diventa un’epopea apocalittica dove la riflessione morale si riduce a un commento ironico (“uccidere tutti non serve a niente”); la Torre di Babele, un’allegoria dell’ambizione che scivola quasi nella satira.
Cazzullo scrive con una prosa che oscilla tra il colloquiale e il lirico, e questo stile doppio è una delle forze del libro, ma anche una delle sue fragilità. Quando descrive il sacrificio di Isacco o l’esodo dall’Egitto, l’autore sa creare immagini vivide, ma la sua insistenza su connessioni moderne — dalla politica alla pandemia — rischia di frammentare il pathos originario. La Bibbia di Cazzullo è una Bibbia che deve intrattenere, spiegare e confortare, ma in questa triplice ambizione perde, a volte, il suo carattere di testo perturbante.
Un aspetto interessante di Il Dio dei nostri padri è il modo in cui Cazzullo ritrae Dio: non un’entità distante e inaccessibile, ma un personaggio complesso, capriccioso, a tratti umanissimo. Dio diventa una figura narrativa, un’ombra che guida e tormenta i suoi protagonisti, più vicino al tragico Zeus dell’Olimpo che al Dio compassionevole e misericordioso del Nuovo Testamento. Cazzullo è consapevole della difficoltà di descrivere il divino in termini umani e usa questa tensione come motore narrativo. Ma, nel farlo, rischia di appiattire la dimensione spirituale del testo, riducendo Dio a un simbolo, una metafora dell’autorità o del destino, piuttosto che l’inconoscibile fondamento del tutto.
Questa trasformazione narrativa si manifesta anche nei personaggi biblici: Abramo, Mosè, Davide sono descritti con toni che li rendono quasi eroi moderni, combattuti tra fede e dubbio, tra ambizione e fallimento. È un approccio che può affascinare i lettori abituati a storie di eroi tormentati, ma che lascia perplessi quelli che cercano nella Bibbia un confronto con l’alterità assoluta.
Il libro è organizzato in capitoli tematici — dalla creazione alla conquista, dall’amore alla morte — e questa struttura, se da un lato consente a Cazzullo di affrontare temi diversi con agilità, dall’altro frammenta il discorso. Ogni capitolo sembra una piccola lezione a sé, una vignetta che si legge con piacere ma che lascia la sensazione di un’unità mancata. La narrazione non fluisce come in un romanzo, né si costruisce come un saggio con un’argomentazione centrale. È piuttosto un collage, una serie di riflessioni che non sempre riescono a dialogare tra loro.
Ad esempio, il capitolo dedicato alle piaghe d’Egitto è brillante per la sua capacità di collegare il testo biblico a eventi storici e contemporanei, ma manca di quel senso di orrore cosmico che rende le piaghe una delle parti più potenti della Bibbia. Cazzullo preferisce soffermarsi su dettagli curiosi e ironici, come il collegamento tra le regole alimentari mosaiche e le moderne precauzioni sanitarie, sacrificando così la profondità simbolica.
Cazzullo vuole che la Bibbia parli al presente, e questo intento è forse il cuore del libro. Nei capitoli sulle figure femminili — da Giuditta a Ester, da Rut a Susanna — l’autore cerca di sottolineare la loro modernità, la loro forza e resilienza, ma nel farlo rischia di proiettarvi ideali e sensibilità contemporanee. È una Bibbia letta attraverso la lente della nostra epoca, e questo rende il libro accessibile, ma anche limitato. La Bibbia, nel suo originario contesto, non ha l’obiettivo di confermare le nostre certezze; piuttosto, le mette in discussione, ci costringe a confrontarci con una visione del mondo radicalmente diversa.
Cazzullo è al suo meglio quando si lascia trasportare dalla narrazione biblica, quando descrive l’epopea dell’esodo o le battaglie dei giudici con un entusiasmo quasi epico. Ma quando si ferma a spiegare, a interpretare, il libro perde slancio, si appiattisce in un commento che a volte sembra più adatto a una conferenza che a un’opera letteraria.
Il libro Il Dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia di Aldo Cazzullo è pubblicato da HarperCollins Italia