Si intitolava «Uonna»
È un progetto inedito di Guido Morselli in cui si immagina un mondo in cui sono annullate le differenze sessuali
Lo scrisse alla vigilia del suicidio
Una storia che ricorda in modo inquietante la «Fonte suprema» di San Diego
Può essere solo una coincidenza, una di quelle concomitanze fortuite per le quali è fuorviarne trovare un nesso a tutti i costi. Eppure il suicidio in massa della setta della Fonte Suprema di San Diego ha un sottofondo ambiguo che ricorda e ci riporta a un suicidio altrimenti indagato e a un particolare sinora passato sotto silenzio. Il folle guru nonché falso profeta della setta, Marshall Applewhite, coltivava il sogno assurdo di una umanità asessuata, una razza senza uomini né donne. Lo stesso sogno ambiguo (paura del sesso anche in questo caso?) accarezzato nell’ultimo lavoro incompiuto e inedito di Guido Morselli, elaborato sino a tre giorni prima del suicidio: Uonna doveva esserne il titolo (uo-mo/do-nna). Un progetto estremamente complesso, rimasto allo studio di abbozzo, tanto che viene spontaneo domandarsi se il groviglio di una trama densissima e inusuale – in un autore abituato a lavorare «dall’interno» i propri personaggi – non avrebbe comunque (suicidio a parte) finito per scoraggiare ogni ulteriore approfondimento. Tuttavia, dato che nessuna ipotesi plausibile tiene dietro ai «se…» (come senza risposta è – e tale resterà – il perché di quel gesto autodistruttivo), non rimane che capire o tentare di capire che cosa esattamente aveva in mente Morselli, cosa avrebbe voluto comunicarci con il suo Uonna, così apparentemente banale quanto lugubre e misterioso, e per quale strada era arrivato a concepire un romanzo di tale difficoltà. Ce ne restano appunti sparsi, segnati – come d’abitudine – su pezzetti di carta eterogenei, per esempio la carta intestata di un albergo di Macugnaga dove Morselli trascorse parte della sua ultima estate, ma una beffa crudele (capricci del Caso?) ci consegna persino fogli di un calendario, densi di appunti datati da aprile sino al settembre del 1973, quando sappiamo che il 31 agosto dello stesso anno Morselli già non c’era più.
Quattro mesi dunque di elaborazione parziale: un primo titolo promemoria e varianti sul nome dei/della protagonista (Anafrodito, Uonna, Fenimore, Alceste); una specie di sottotitolo (L’amore visto con «occhio» asessuato); note sparse e riflessioni sul tema della sessualità, secondo il punto di vista del/della protagonista Fénimore: e infine una scaletta relativa a soli quattro episodi del romanzo, raggruppati sotto un titolo (L’io narrante, Etienne Sandy, il «deus ex macchinam»).
Dapprincipio lo scrittore doveva aver girato intorno al concetto di sesso e evoluzione. L’approccio traeva spunto da letture commentate – come sempre – nei suoi quaderni privati: fra il ’70 e il ’73 risultano emblematici: Le origini della vita e il mondo prima della creazione dell’uomo di Carlo Flammarion (nel secondo volume, conservato, è inserito un articolo di giornale del ’70. «L’evoluzione della specie umana dalle origini»); Il caso e la necessità di Jacques Monod (in particolare il capitolo relativo al concetto di evoluzione); The origin of the races di S. Coon; Future Shock di A. Toffler.
Sulle stesse pagine diaristiche, una volta chiarito che l’evoluzione non sia altro che «un accumularsi di mutazioni», negli ultimi mesi si infittivano le riflessioni in materia sessuale, sino all’ultima pagina del 13 maggio interamente dedicata alla combinazione di «sessualità e evoluzione». Nell’ultimo quaderno era inoltre conservato un ritaglio-stampa relativo al film «identikit», tratto dal romanzo di Muriel Spark, Driver’s Seat, nel quale si ritrae un mondo ossessionato dal sesso, dall’erotismo inteso come mercificazione e non più come liberazione. Altri ritagli, inseriti nel progetto Uonna, riguardavano argomenti analoghi (l’origine della vita, l’amore in provincia, l’oscenità nel film «Ultimo tango a Parigi»). È noto che Guido Morselli spesso traeva spunto per i suoi romanzi da brani, frasi, parole lette ovunque potesse scattare un innesco per la trasfigurazione letteraria. In quasi tutti i suoi romanzi la sessualità era un argomento allusivo, sottinteso, oppure affrontato secondo un’ottica tipicamente maschile («La femminilità? Viaggi, vestiti e vagina», Divertimento 1889). Fénimore, il personaggio-chiave di Uonna, poco più che ventenne, gira il mondo con una frenetica attività canoro-discografica: ha una voce unica, senza precedenti, dal registro profondissimo, dal timbro vellutato e metallico insieme, un mélange malinconico e insieme prepotente che fa esclamare a uno sconosciuto: «Non so se chi canta sia donna o uomo, so che ascoltando mi sono convinto che Dio esiste». Fénimore non è «una media, né un cocktail di caratteri maschili e femminili, è tutt’altro». È uno strano essere, appunto, né uomo né donna: «non ermafrodito, non androgino, non ginandro».
Scoperta da Etienne Sandy, da Bastia («l’isola di Corsica beninteso»), voce narrante in prima persona, discografico, scapolo, senza donna fissa né fissa dimora, sfugge continuamente al suo controllo protettivo per finire sempre nelle mani di personaggi anche poco scrupolosi (due coniugi, per esempio, che si riconciliano spartendosi le prestazioni a tre di Fénimore), cacciandosi in un mare di guai (viene rapita e liberata sotto riscatto). Il fatto è che Fénimore non ama il suo lavoro, vorrebbe ribellarsi e trascorre il suo tempo a far indagini sul comportamento sessuale, servendosi di soggetti del voyeurismo scientifico passivo: si è messa in testa di essere un precursore della società asessuale e ha un progetto di fondare un Partito del Superamento del sesso. Espone i suoi risultati in una serie di interviste con la Tv di Los Angeles e, mentre vive e studia in Svizzera (dove si è fatta costruire un gigantesco impianto ferroviario in miniatura: indizio morselliano autobiografico, la passione per i treni), per prepararsi agli esami di baccalaureato in lettere da conseguire a Grenoble, accetta di stendere alcuni capitoli di un’opera sul sesso da pubblicarsi presso un editore italiano (si vedano le citazioni qui sotto riportate: Fénimore/Morselli ha una concezione estremamente d’avanguardia e straordinariamente precorritrice). A un certo punto si imbatterà anche in un maestro di canto, italiano, entusiasta della sua ugola angelica, decisamente extra-umana: Fénimore gli pare ancora vocalmente vergine, un paradiso intatto, duttile come una fanciulla, o un fanciullo, visto che sotto tale riguardo entrambi gli appellativi le si adattano. E a questo punto, quasi verrebbe da dire «sul più bello», non è dato saperne di più. Fénimore e il suo infelice autore probabilmente condividevano un destino tragico: una identità impossibile. Non poteva esserci futuro né per l’«agricoltore di Varese» che viveva addomesticando il sogno di diventare scrittore né per l’essere al di là dei sessi.—Valentina Fortichiari
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Castrazione o castità
Il sogno di un guru
La sera di mercoledì 26 marzo vengono ritrovati trentanove cadaveri in una villa miliardaria a 30 chilometri da San Diego. Si capisce quasi subito che si tratta di un suicidio di massa dovuto a ragioni religiose e spirituali. La setta della Fonte Suprema (questo il nome del gruppo) sembra volesse abbandonare la Terra a bordo di un’astronave nascosta dalla cometa Hale Bopp per raggiungere un altro pianeta dove, ovviamente, avrebbe potuto ritrovare la «pura spiritualità» e ottenere un livello di evoluzione superiore. A pochi giorni dalla scoperta dei corpi senza vita, emergono però nuove verità su questa strage. Si scopre che il capo della setta, Marshall Applewhite, era castrato. Si era sottoposto all’evirazione molti anni prima per sfuggire ai suoi istinti omosessuali. Altri membri della setta avevano seguito l’esempio del guru, anche se la castrazione sembra non fosse necessaria per entrare a far parte del gruppo. Sicuramente la rigida disciplina imposta alla setta imponeva di non fumare, non bere e, soprattutto, di astenersi dai rapporti sessuali. La microsocietà ricreata in quella villa lussuosa della California metteva in pratica il sogno del suo creatore: un universo senza uomini né donne. Tutti uguali, esteriormente e interiormente. Uomini e donne portavano i capelli cortissimi e vestivano con una specie di uniforme nera da film di fantascienza. Dormivano in letti a castello (per evitare il contatto dei corpi?) ed erano abilissimi maghi del computer. Uno strano miscuglio di antichissime credenze e di modernissime tecnologie. Da un lato, ragazzi e ragazze si guadagnavano il pane costruendo siti su Internet, dall’altro riproponevano le più antiche ancestrali speranze di liberazione dalla schiavitù della vita terrena. Sesso incluso.
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L’INEDITO
E la donna diventerà «Uonna»
GUIDO MORSELLI
«Il sesso “oppio” (del popolo), come lo “sport” e l'”ideologia” (…). La repressione sessuale ha lo scopo anche qui di mantenere alto il livello di pungente appetibilità del sesso, mentre le morali permissive tolgono sapore al frutto non più proibito. Il sesso attira l’uomo e lo distrae dai problemi vitali più urgenti: è il “paradiso dei poveri”, si dice. Non solo esso è indispensabile per produrre gli organi della produzione (i lavoratori) ma per impedire che questi organi si lamentino troppo di quella funzione produttiva. Ma per ciò è necessario mantenere la sua attrattiva, e il mezzo più efficace è la (apparente e formale) sessuofobia. Avevano ragione Reich e Marcuse: la liberalizzazione del sesso, con la conseguente sua riduzione a esercizio innocente e ostensibile, da potersi svolgere ovunque e in ogni momento, può avvenire solo in una società disalienata, libera, anarchica e post-industriale».
«Oggi si è verificata una inflazione, del tutto innaturale, della sessualità. Il pansessualismo del nostro secolo è la reazione teorico-pratica alla progrediente “crisi del sesso”. Si reclamizza ciò che tende al ristagno».
«È un pallone gonfiato sino nei tempi più remoti, dall’industria. Perché dal sesso viene la casa (e i suoi accessori utili o decorativi) e il perfezionarsi e il complicarsi dell’alimentazione. Dal sesso viene l’abbigliamento (e i suoi accessori, anche qui). Lo sviluppo industriale è condizionato già nei primordi dal sesso. Oggi l’industria turistica è debitrice del sesso. E così quella automobilistica e editoriale. Superfluo aggiungere che a gonfiare il pallone hanno dato mano o fiato la religione e la morale, con i loro miti e riti, con i loro divieti e i loro obblighi». «”Di là dal sesso, c’è vita affettiva”? Sì, c’è la benevolenza (“caritas”, filantropia) ormai avviata a trasformarsi in “socialidarietà” a sfondo economico e politico, cioè razionale. Il sesso è attuamento, fervore di affetto ma è egoistico, con i suoi caratteri inevitabili di sentimento timoroso (=apprensivo) e geloso».
«Noi siamo abituati a pensare secondo un dualismo o manicheismo sessuale per cui non ci sarebbero che due generi, l’uomo e la donna. Solo Weininger ha osservato che in concreto non esiste l’uomo in assoluto e la donna in assoluto, bensì degli individui prevalentemente maschili o prevalentemente femminili, gli uni e gli altri dotati più o meno delle caratteristiche psichiche e organiche (dunque anche sessuali) del sesso opposto. La scoperta di Weininger consiste in questo: esiste in ciascuno degli esseri umani un tendenziale ermafroditismo: una certa ambiguità o bipolarità sessuale. La quale si accentua (ma soltanto si “accentua”) allorché per un giuoco di fattori costituzionali o acquisiti si manifesti quella che si è usi chiamare abusivamente perversione, o inversione, e è l’omosessualità». «Non sono evoluzionista. Gli evoluzionisti credono nel progresso biologico. Io ammetto invece come possibile, se non proprio probabile, la “involuzione”, almeno per la specie umana. E persino la fine, magari non troppo lontana, della medesima riverita specie».
«L’Evoluzione farà leva per l’abolizione della sessualità (umana) (…) sulla ossessione alla gravidanza. Sono vari e tutti validi i motivi per cui la donna contribuirà, assai più dell’uomo, al progresso, cioè all’abolizione della sessualità (e della famiglia in senso fisiologico). Alla donna possiamo senz’altro attribuire il vanto di essere progressiva, specialmente sotto questo essenziale aspetto. La donna sarà ben lieta di liberarsi della gravidanza e annessi, non appena la tecnica renderà attuabile la fecondazione, e lo sviluppo del feto “in vitro”. Onore a lei!».
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Lo scrittore «geniale» che nessuno pubblicava
Il 31 luglio del 1973 Guido Morselli tornò dalle vacanze, trovò fra la posta un suo dattiloscritto rifiutato dagli editori per l’ennesima volta, e si sparò un colpo di Browning. L’anno successivo, con «Roma senza papa» (Adelphi), sarebbe cominciatala pubblicazione delle sue opere. Fu così che nacque il «caso Morselli», scrittore scoperto da morto dopo una raffica di rifiuti regolarmente ricevuti in vita dagli editori, autore di storie paradossali ambientate in contesti fantapolitici. «Uomini e amori», «Queste brave borghesi», «Il secondo amore, «Il Comunista», «Dissipatio H.C.», furono proposti e «cestinati» dalle più grosse case editrice: Einaudi, Cappelli, Fratelli Fabbri, Feltrinelli, Bompiani, tutte «colpevoli» di non aver saputo riconoscere «un altro Gattopardo del Nord», «uno di quei rari scrittori che, come Svevo, non hanno séguito», come scrissero i giornali all’uscita di «Roma senza papa». Bolognese (ma cresciuto tra Milano e Varese), benestante, Morselli era un lettore feroce di libri. Nel dopoguerra si era isolato in una villa a Gavirate in mezzo a boschi e campi, con un cavallo, una macchina per scrivere e cinquemila volumi. Non era un tipo completamente sconosciuto: aveva pubblicato alcuni saggi letterari e filosofici e collaborato alla «Cultura» e al «Mondo» di Pannunzio. Ma sui romanzi non riusciva a convincere. Era un uomo pieno di pudori: la sua amica Maria Bruni Bassi raccontò che un giorno da Mondadori si nascose dietro una porta: non voleva essere visto da Giorgio Mondadori, suo compagno di studi. Non si sarebbe mai perdonato di domandargli un favore…
l’Unità, 16 aprile 1997