di Roberto Cantini
Guido Morselli: «Il comunista» (Adelphi; pagine 359, lire 4.500)
Delineato con scrupolo e pazienza, il protagonista di questo, per ora, ultimo romanzo postumo di Guido Morselli, riassume molto bene quelli che sono i caratteri di certo comunismo, oggi forse passato un po’ di moda. Walter Ferranini, 45 anni, dapprima militante di base, poi organizzatore di cooperative agricole, infine deputato del Pci al Parlamento, e, per dir la verità, uno dei tanti deputati anonimi, forse restii a farsi avanti, è veramente un comunista come lo si poteva concepire e sentire intorno agli anni ’60. (Il romanzo è stato scritto fra il ’64 e il ’65, ma probabilmente il Morselli l’ha ideato e rimuginato tra sé per vari anni. E nel carattere del Ferranini c’è qualcosa o addirittura molto di auto-biografico.)
Insomma «il comunista» è davvero un uomo tutto d’un pezzo. Dalle direttive del partito non si sgarra nemmeno di un centimetro; la vanità, anche quella più giustificata, è un difetto borghese; non parliamo delle arti, in specie della musica, che viene definita con le parole di Lenin: «è una cosa dolce, gradevole e pericolosa. Come tutte le cose che distraggono dal reale». Che cosa sia poi questo reale, il personaggio, e nemmeno il suo autore, hanno una idea chiara, una valutazione precisa. Perché Il comunista è tutto impiantato sulla ricerca di una possibile verità e concretezza che alla fine farà il danno, il peccato e il castigo del compagno Ferranini. Di lui sappiamo dapprima che è figlio di un ferroviere, morto in un mese di polmonite nel ’29. Che ad opera di un mezzo parente, tale Bignami, è stato mantenuto per un certo periodo agli studi. Che la sua idea di cultura è – o vorrebbe essere – profondamente scientifica: egli infatti s’infervora non meno per le idee di Darwin che per quelle di Marx. Ai tempi della guerra civile in Spagna riesce ad arruolarsi nel battaglione Thaelmann: ma le forze non lo reggono, troppe sono le privazioni e le penurie di cui ha dovuto soffrire fino dalla più tenera età. Quindi, la guerra civile è per lui come un fragoroso e demoniaco film sonoro proiettato in gran parte sui muri degli ospedali militari. Finita la Spagna in mano ai fascisti, cerca rifugio dapprima in Francia, poi in America, dove s’invaghisce della figlia del suo principale e la sposa: finché, su richiesta di lei, divorzia. Sì, perché il duro Ferranini, il comunista di ferro è andato a impasticciarsi con una volitiva rappresentante dell’americanhood, dell’americanità.
Dobbiamo dire che questa ci pare la parte più sconclusionata del libro. Se l’autore voleva, come forse voleva, creare una ambiguità nel suo personaggio, dargli un tocco un po’ enigmatico e surreale, doveva però usare una tecnica diversa nel presentarcelo all’inizio. Troppo ferreo appare fin dalle prime pagine il Ferranini per lasciare al lettore la possibilità di immaginare in lui una sia pur esile e promiscua aura alla «com’era verde la mia valle». Non cè posto, in questo comunista, per gli incanti della prateria americana e per gli amori con la giovane e alquanto stupidella Nancy. Ma probabilmente Morselli ha ragionato così: poiché alla fine questo uomo deve risultare un deviazionista, sia pure senza sua colpa e addirittura suo malgrado, meglio appiccicargli anche qualche tratto di carattere un po’ molliccio e parassitario. Probabilmente, abbiamo detto. Ma tutto lo fa supporre. L’opuscolo teorico che egli scrive finalmente e che porta il titolo Lavoro, mondo fisico, alienazione segna appunto la conclusione della sua poca carriera nel partito.
Non è facile capire bene che cosa Morselli volesse dirci: c’era in lui un oscuro rammarico per la cosiddetta socialdemocratizzazione del Pci? Intendeva presentarci un personaggio complesso, nel quale varie componenti ideologiche s’intrecciano, formando come un fitto reticolo, qua e là contraddittorio? O semplicemente voleva «tentare» un personaggio, per vedere che effetti ne avrebbe ricavato? A nostro giudizio, tutti e tre questi elementi erano attivi nella mente dell’autore. E confluivano nel formare un equivoco: poiché il Ferranini non è davvero l’«uomo parabolico» che crede di essere. È semplicemente un passivo, vessato dalla vita, che nel Pci cerca una risposta ai propri confusi interrogativi. Anche la scrittura di questo romanzo è insieme pesante e dolciastra, e reca le stimmate di un naturalismo fuori moda. Che differenza dalla sveltezza brillante dell’ultimo libro che avevamo letto di Morselli: Divertimento 1899.
Epoca, n° 1330 (1976)