Eugenio Montale esplora la sottile linea che separa i capolavori nella letteratura per ragazzi dalle opere prive di significato, sostenendo che il successo di tali opere è spesso il risultato di un inspiegabile quid che sfugge alla critica tradizionale. Attraverso esempi come “Pinocchio” di Collodi e “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, Montale illustra come talune opere trascendano la loro apparente semplicità per rivolgersi profondamente sia ai bambini che agli adulti, senza tuttavia poter replicare il loro successo originario. Montale critica poi la tendenza degli adulti a ridurre opere complesse a versioni semplificate per i bambini, sostenendo che non esiste una vera e propria letteratura per bambini di autentico valore artistico, ma piuttosto libri che, sebbene talvolta concepiti per i più giovani, trovano la loro vera risonanza solo quando elevati da un’intenzione più profonda. La sua critica si estende anche a “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, descritto come un esempio di estetismo forzato e poco convincente quando indirizzato ai bambini. Montale conclude che scrivere per i giovani è un compito quasi impossibile e meglio sarebbe offrire loro libri pensati per adulti, ribadendo la complessità e la sofisticazione della comprensione infantile, spesso sottostimata dagli adulti.
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di Eugenio Montale
Nella letteratura per ragazzi ciò che divide il capolavoro dall’opera insignificante nata morta, è un quid talmente irrazionale che sfugge ad ogni indagine estetica, ad ogni considerazione critica. A prima vista sembra che in questo dominio l’opera riuscita sia tale perché semplicemente «imbroccata»: nata dal caso, protetta dalla fortuna.
Provatevi a gettare un anello col proposito di infilarlo in un birillo che stia ad alcuni metri di distanza da voi. Probabilmente tutti i tentativi saranno vani, ma la cosa riuscirà forse a qualcuno che butti via l’anello senza essersi proposto cotesto risultato. Quando Collodi scrisse “Pinocchio” riuscì a infilare nel birillo; in altri suoi libri il colpo non si ripeté affatto. Talvolta avviene che un libro fortunato sia ripreso e continuato dall’ autore stesso, e che tutti gli elementi in giuoco siano favorevoli a un bis, a una ripetizione del colpo di fortuna. Pare che si sia iniziata una serie di numeri favorevoli a un bis, a una ripetizione del colpo di fortuna. Pensate a Lewis Carroll che continua “Alice nel paese delle meraviglie” col suo meno celebre “Alice attraverso lo specchio”. Tutto sembrava concorrere a una riuscita altrettanto felice e nessuna analisi ci permetterà di scoprire nel nuovo libro una vena meno limpida; ma il mondo non s’è commosso per il secondo libro benché esso sia comunemente stampato in volume col fratello, anzi con la sorella, precedente.
“Alice” e “Pinocchio” non hanno dunque avuto bis. E resta aperto il problema di tale loro irripetibilità. Probabilmente si tratta di opere che suggeriscono una formula, una facile ricetta, una “trovata”, ma che poi sorpassano la cifra da esse stesse suggerita. E per questo segreto evadono dal campo della letteratura infantile. Non si tratta dunque di opere imbroccate, essendo escluso il caso dal campo dell’arte, ma semplicemente di opere di difficilissima classificazione, tanto sono oggettive, distaccate dalla vita e dall’avventura biografica dei loro autori. La loro suprema obiettività le rende particolarmente adatte alla psiche infantile; e tuttavia, il fatto che esse siano state scritte per ragazzi (Lewis Carroll compose “Alice” per divertire i suoi nipotini) non è argomento sufficiente a rinchiuderle nei limiti della così detta letteratura per bambini. Sono gli adulti che le hanno consacrate e adattate a tale scopo, Gli stessi adulti che hanno permesso una seconda vita -nel mondo dei bimbi – a un Gulliver mutilato, a un Robinson ridotto a un decimo e persino a un Don Chisciotte limitato a poche battaglie dell’hidalgo contro pecore e mulini a vento.
Si giunge perciò alla conclusione che non esiste una letteratura “per bambini” che abbia autentico valore d’arte: ma che esistono libri “anche” per bambini, spesso nati con tale intenzione, più sovente portati da una sapiente regia a un impiego imprevisto dal loro autore. In ogni modo cattiva ispirazione sarebbe per uno scrittore adulto quella di farsi bambino per scrivere per i piccoli. I miracoli tipo Andersen non si ripetono spesso e hanno radici in una tradizione, i fratelli Grimm sono un fatto di cultura importante nel romanticismo e Collodi fu uno stipettaio, un intagliatore di legno che aveva nel sangue una prodigiosa ascendenza artigianesca.
Nulla di simile mi pare possa dirsi del “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry (Bompiani), tradotto e pubblicato con disegni dell’autore. Il celebrato autore di “Vol de nuit”, l’eroico aviatore scomparso in guerra, era probabilmente un esteta, un dannunziano a modo suo, come lo è il Montherlant, come lo fu il Barrès. In chiave diversa, s’intende, e con tutto il rispetto che meritano una vita e un’opera come la sua. Ma scrivendo per i fanciulli doveva necessariamente scendere a tutti i compromessi di un facile estetismo. Il piccolo principe, sceso sulla terra da un asteroide, incontrato dall’aviatore caduto nel deserto in seguito a una “panne”, ha accenti quasi maeterlinkiani e le altre persone del libro – la volpe, il serpente, una serie di uomini veduti dal principe in altri asteroidi durante la sua discesa sulla terra- sono figure semplicemente caricaturali. Peggio quando il personaggio adulto (l’aviatore) si sforza di adeguarsi all’anima del piccolo folletto piombato dal cielo. Ecco la scoperta dell’acqua nel deserto:
«Ho sete di quest’acqua» disse il piccolo principe «dammi da bere» E capii quello che avevo cercato! Sollevai il secchio alle sue labbra. Bevette con gli occhi chiusi. Era dolce come una festa. Quest’acqua era ben altra cosa che un alimento. Era nata dalla marcia sotto le stelle, dal canto della carrucola, dallo sforzo delle mie braccia. Faceva bene al cuore come un dono. Quand’ero piccolo, le luci dell’albero di Natale, la musica della Messa di mezzanotte, la dolcezza dei sorrisi, facevano risplendere i doni di Natale che ricevevo.
Conclusione: è difficile, è anzi quasi impossibile scrivere per i fanciulli. Difficile particolarmente, poi, per uno scrittore latino. Saint-Exupéry non è un Collodi e non è neppure il Verne del “Giro del mondo in ottanta giorni”; rinfanciullendo non ha saputo darci altro che le briciole di un crepuscolarismo ormai trito anche in Francia. Date ai bambini, date ai vostri figli (chi ne ha) libri per adulti che meglio convengono al caso e all’età loro. Ma non alimentate l’equivoco della letteratura infantile. I bambini non sono così stupidi come vogliono farci credere gli adulti.
Eugenio Montale, da Il secondo mestiere