Perché l’America ha paura di “No Other Land”?

L’acclamato film non ha trovato un distributore negli Stati Uniti perché svela verità che gli americani non dovrebbero vedere.

“Libertà di espressione”, “pluralismo”, “democrazia”. Parole d’ordine che negli Stati Uniti vengono ripetute come un mantra. Il paese della libertà, dove ognuno può dire ciò che vuole, dove il Primo Emendamento è un baluardo inviolabile. Finché, ovviamente, non si parla di Palestina.

Il caso di No Other Land è solo l’ultimo di una lunga serie di esempi che dimostrano come, nel paese che si auto-proclama faro della civiltà occidentale, alcune verità siano più scomode di altre. Il documentario di Basel Adra e Yuval Abraham ha fatto incetta di premi in tutto il mondo, ha ottenuto l’Oscar come miglior documentario e ha raccolto consensi ovunque sia stato proiettato. Ovunque, tranne negli Stati Uniti, dove nessun distributore ha avuto il coraggio di portarlo nelle sale su larga scala.

Il motivo? Troppo semplice: racconta i fatti. Mostra senza filtri cosa accade nei territori occupati della Cisgiordania, in particolare a Masafer Yatta, un’area che Israele ha dichiarato “zona militare” per legittimare l’espulsione dei suoi abitanti palestinesi. Le immagini documentano l’occupazione, la violenza dei coloni, la distruzione delle case. Tutto materiale che, evidentemente, gli americani non devono vedere.

“Il problema non è il contenuto del film, è la narrazione che cambia”, ha spiegato Adra. Già, perché No Other Land non si limita a mostrare la repressione israeliana, ma rompe un tabù ancora più pericoloso: l’alleanza tra un palestinese e un israeliano nel denunciare lo stesso sistema di apartheid. Una collaborazione che manda in tilt l’intero impianto propagandistico.

“Quando guardo Basel vedo mio fratello, ma non siamo uguali” ha detto Abraham nel suo discorso agli Oscar. “Viviamo sotto lo stesso regime, ma io sono libero e lui no”. Frasi di un’evidenza cristallina, eppure considerate così minacciose da scatenare immediate reazioni isteriche in Europa e negli Stati Uniti. In Germania, paese che si è ormai specializzato nel difendere Israele a tutti i costi, il film è stato etichettato come “antisemita” da funzionari pubblici. Come se denunciare la pulizia etnica nei territori occupati significasse automaticamente odiare gli ebrei.

Ma torniamo agli Stati Uniti. Qui non serve nemmeno arrivare a tanto: basta ignorare il film. Nessun boicottaggio dichiarato, nessuna censura ufficiale. Solo un’assenza totale di distribuzione, come se No Other Land non esistesse. Il metodo è sempre lo stesso: non si vieta, si rende invisibile.

A chi si stupisce di questa “sparizione” basterebbe ricordare che la macchina dell’oscuramento della Palestina è attiva da decenni. Per settant’anni, in Occidente, la narrazione dominante ha dipinto Israele come un piccolo Davide in lotta contro il gigante arabo. I palestinesi? O terroristi o vittime silenziose. In ogni caso, privi di voce propria. Guai a mostrare che esistono, parlano, pensano, lottano. E guai a far capire che tra gli stessi israeliani esistono oppositori al regime sionista.

Per Washington, tutto questo è inaccettabile. Se il pubblico americano iniziasse a vedere la Palestina per quello che è – un popolo oppresso, espropriato, bombardato con armi fornite dagli stessi Stati Uniti – allora sarebbe più difficile giustificare i miliardi di dollari che ogni anno finiscono nelle casse di Tel Aviv. Sarebbe più difficile difendere l’indifendibile, più complicato sostenere Netanyahu senza che qualcuno inizi a chiedere: ma noi che ci guadagniamo?

Già oggi i sondaggi mostrano una crescente spaccatura tra l’opinione pubblica americana e il governo su Israele. Tra i democratici, la maggioranza ha sostenuto il cessate il fuoco a Gaza, mentre Biden continuava a inviare aiuti militari a Israele. E non è un caso se l’amministrazione ha perso pezzi di consenso proprio su questo tema.

La paura di una presa di coscienza collettiva spiega la sistematica cancellazione della questione palestinese in tutti gli ambiti della società americana: nei media, nei campus universitari, nelle piattaforme di streaming, nei circuiti cinematografici. Gli attivisti pro-Palestina vengono bollati come estremisti, i giornalisti che osano raccontare la verità vengono emarginati, i film come No Other Land vengono relegati ai margini del circuito indipendente.

E mentre tutto questo accade, gli Stati Uniti continuano a impartire lezioni di libertà e diritti umani al resto del mondo. Fanno la guerra alla Russia in nome della democrazia, minacciano la Cina per la libertà di espressione, sanzionano chiunque osi mettere in discussione il loro modello. Ma quando si tratta di Israele, il discorso cambia: la libertà si trasforma in censura, la democrazia in propaganda, la realtà in un tabù da nascondere.

Basel Adra, poche settimane prima della vittoria agli Oscar, ha scritto un post che suonava quasi come un testamento: “Masafer Yatta sta scomparendo sotto i miei occhi”. E mentre il suo villaggio viene demolito, mentre i suoi vicini vengono cacciati, mentre le forze israeliane trasformano la Cisgiordania in una landa di rovine, negli Stati Uniti si continua a ripetere che No Other Land non ha trovato un distributore per “ragioni di mercato”.

Perché la verità, in America, è merce pericolosa. E la libertà di espressione, come sempre, vale solo per chi ha il potere di esercitarla.

Torna in alto