Wicked: Part I, diretto da Jon M. Chu, è quel tipo di film che non si accontenta di essere amato: vuole incantarti, sopraffarti, convincerti che stai assistendo a qualcosa di memorabile. Eppure, nonostante i colori scintillanti, le melodie che si arrampicano verso il cielo e l’ambizione dichiarata, il risultato sembra più un ibrido instabile che un classico immediato. Chu tenta di far convivere lo spettacolo del teatro musicale con il formato cinematografico, ma si ritrova intrappolato in una giungla di ambizioni narrative, eccessi visivi e un costante bisogno di compiacere.
Il film parte con un’esplosione di colori e suoni. Glinda (Ariana Grande), fluttuando nella sua celebre bolla, annuncia con gioia la morte della Strega Cattiva dell’Ovest a una folla in festa. È un’apertura visivamente travolgente, ma già si intuisce che Chu sta giocando su più tavoli: vuole rendere omaggio alla tradizione di Il mago di Oz, reinterpretare i personaggi principali e, allo stesso tempo, creare un’opera moderna capace di dialogare con il pubblico di oggi. Il problema è che questi obiettivi sembrano confliggere più che dialogare.
Cynthia Erivo, nei panni di Elphaba, offre una performance che da sola potrebbe reggere il film. Con una voce che sembra sfidare le leggi della fisica, porta sullo schermo una protagonista straordinariamente intensa. Eppure, il personaggio le chiede troppo: Elphaba deve essere un’eroina tragica, una rivoluzionaria politica, una figura romantica, e anche un simbolo della lotta contro l’oppressione. È come se il film avesse paura di lasciare che la sua protagonista fosse semplicemente una donna complicata; al contrario, la carica di ruoli che finiscono per sovrapporsi e confondersi. La sua crociata per i diritti degli animali—una novità rispetto al musical teatrale—si inserisce nel racconto in modo goffo, un espediente moraleggiante che non si sposa bene con il mito originale.
Ariana Grande, invece, sembra appartenere a un altro film. La sua Glinda è una figura scintillante e superficiale, con una recitazione volutamente frivola. Funziona nelle scene comiche—la sua interpretazione di “Popular” è un momento leggero e piacevole—ma manca della profondità necessaria a bilanciare il dramma di Elphaba. Le due attrici condividono un’alchimia sufficiente per sostenere la prima metà della loro amicizia, ma quando il rapporto si incrina, manca quella tensione emotiva che dovrebbe travolgere lo spettatore.
Jeff Goldblum nei panni del Mago di Oz sembra un’idea brillante sulla carta, ma la sua interpretazione si perde in un ruolo scritto senza grande incisività. Goldblum sfodera il suo solito mix di eccentricità e sottile malizia, ma il Mago non emerge mai come una figura veramente minacciosa o complessa. Il film accenna a una critica sul potere, sull’uso della propaganda e sulla manipolazione della paura, ma non va oltre una superficie appena scalfita. Anche Michelle Yeoh, nel ruolo di Madame Morrible, non lascia un segno significativo. Yeoh è un’attrice capace di esprimere una gamma incredibile di emozioni, ma qui è confinata in un personaggio che sembra più un accessorio narrativo che un antagonista memorabile. Morrible avrebbe potuto essere un interessante contrappunto a Elphaba, una manipolatrice sofisticata che incarna il sistema oppressivo, ma il film non le concede abbastanza spazio.
Non si può negare che Wicked sia un piacere visivo. Chu e il suo team hanno creato un mondo che salta fuori dallo schermo, un’esplosione di colori e dettagli che immergono lo spettatore in un Oz mai visto prima. Shiz University, in particolare, è un’ambientazione straordinaria, un mix tra Hogwarts e un campus da sogno. Tuttavia, c’è un limite a quanto il film può ottenere con la pura estetica. La dipendenza dalla CGI crea spesso un senso di artificiosità che mina l’emozione delle scene più intime. I numeri musicali, pur spettacolari, sembrano a volte coreografie isolate, come se fossero state progettate più per i trailer che per la coerenza narrativa. La scelta di saturare ogni fotogramma di dettagli visivi, invece di lasciare che alcune scene respirino, finisce per essere controproducente, generando una sensazione di sovraccarico.
La sfida principale di Wicked è il suo tentativo di rielaborare la figura della Strega Cattiva, trasformandola in un’eroina fraintesa. Questo approccio richiama quello adottato per Malefica nel film Disney Maleficent. Anche qui, però, sorge una difficoltà: armonizzare la nuova narrazione con simboli ormai profondamente radicati nell’immaginario collettivo. In Il mago di Oz, la Strega Cattiva è definita dalla sua malvagità, e la sua minaccia a Dorothy—“Ti prenderò, mia cara, e anche il tuo cagnolino!”—è uno dei momenti più iconici della storia del cinema. Wicked vuole che vediamo Elphaba come una vittima delle circostanze, ma non riesce a integrare questo nuovo approccio con il mito originale. La narrazione si trova così in bilico, cercando di mantenere il suo pubblico in sintonia emotiva con una protagonista che sappiamo inevitabilmente diventare una figura temuta e odiata.
La colonna sonora di Stephen Schwartz è uno dei grandi punti di forza del progetto. Brani come “Defying Gravity” e “For Good” sono entrati a pieno diritto nel canone del teatro musicale, e il film li mette in scena con tutti i mezzi del cinema moderno: movimenti di camera grandiosi, effetti visivi avvolgenti e un’acustica che amplifica ogni nota. Ma qualcosa si perde nella transizione dal palco allo schermo. Sul palcoscenico, questi numeri sono momenti di pura vulnerabilità emotiva, che rivelano l’anima dei personaggi. Nel film, sembrano a volte più concentrati sull’impressionare lo spettatore che sul trasmettere autenticità.
Un momento particolarmente riuscito è “The Wizard and I”, cantato da Cynthia Erivo con una combinazione di speranza e determinazione che cattura perfettamente le aspirazioni di Elphaba. Al contrario, brani come “What Is This Feeling?” sembrano affrettati, perdendo parte del loro potenziale comico e narrativo.
La decisione di dividere Wicked in due parti è sia una benedizione che una maledizione. Da un lato, permette al film di approfondire personaggi e sottotrame che avrebbero potuto essere sacrificati in un’unica pellicola. Dall’altro, lascia questa prima metà incompleta, quasi come un preludio espanso. Quando i titoli di coda arrivano, lo spettatore non può fare a meno di sentirsi frustrato: le grandi trasformazioni emotive e narrative sono rimandate a un secondo capitolo che arriverà solo tra un anno. Questo approccio, però, consente anche momenti di riflessione più profondi. Le relazioni tra Elphaba, sua sorella Nessarose (Marissa Bode, toccante nella sua vulnerabilità) e Fiyero (Jonathan Bailey, carismatico ma sottoutilizzato) sono esplorate con cura, aggiungendo strati di complessità al viaggio della protagonista.
Non c’è dubbio che Wicked: Part I sia stato concepito come l’inizio di qualcosa di più grande. I richiami a Il mago di Oz sono ovunque, dai mattoni gialli alle scarpette di rubino. Questi riferimenti, sebbene deliziosi per i fan, sottolineano anche la dipendenza del film dal materiale originale. Pur cercando di essere un’opera a sé stante, Wicked non riesce a scrollarsi di dosso l’ombra di Oz. Resta da vedere se Part II saprà offrire il climax emotivo che questo primo capitolo promette. La speranza è che il prossimo film trovi un equilibrio migliore tra spettacolo e narrazione, evitando gli eccessi che hanno caratterizzato questa prima metà.