Pedro Almodóvar, 75 anni, uno che ha fatto della messinscena un’arte e della cinefilia una religione, ha deciso di affrontare la morte. La sua, quella degli altri, quella che prima o poi tocca a tutti. Con La stanza accanto [The Room Next Door], il suo primo film in inglese, si lascia alle spalle le cronache delle crisi creative e fisiche di Dolor y Gloria per puntare dritto all’uscita di scena.
L’ultimo giro di giostra di Almodóvar è un’elegia sulla fine della vita che, come sempre, si traduce in un omaggio alle donne, alle attrici, alle stelle del cinema. Qui convoca Julianne Moore e Tilda Swinton per una danza funebre carica di parole, sguardi e memorie.
Moore è Ingrid, una scrittrice in tournée a New York, Swinton è Martha, una giornalista di guerra, sua amica dai tempi in cui sgomitavano nel giornalismo. Hanno condiviso articoli, cene e, ogni tanto, qualche uomo. Adesso condividono qualcos’altro: la fine di Martha.
Quando Ingrid la ritrova dopo anni, scopre che la sua amica ha un tumore al collo dell’utero, terzo stadio, ha fatto un ciclo di chemio, spera nel miracolo. Swinton, con i capelli ricresciuti in un taglio corto color argento, le risponde con la schiettezza di chi la morte la sente addosso: “È come la guerra. Puoi combatterla, ma prima o poi ti prende.”
Almodóvar adatta il romanzo di Sigrid Nunez What Are You Going Through con il suo solito misto di empatia e verbosità, che funziona meglio quando i sottotitoli aiutano a levigare certi dialoghi. Il melodramma, marchio di fabbrica del regista, emerge nelle scene di flashback: Martha da adolescente (Esther McGregor, figlia di Ewan) e il suo primo amore (Alex Høgh Andersen), storia che porta alla nascita di una figlia con cui i rapporti saranno inesistenti. “Non le sono mai interessata come madre” dice Martha, e la sensazione è reciproca.
Più incisivi i ricordi delle esperienze di Martha nei fronti di guerra, dalla Bosnia in poi. Qui Swinton cita Martha Gellhorn, la leggendaria reporter ed ex moglie di Hemingway: “Si ama veramente solo una guerra, dopo di che è dovere.” Mentre Martha è radicata nel passato, Ingrid rimane una donna del presente, un’osservatrice impaurita della fine dell’amica.
Fino a quando Martha decide di anticipare l’inevitabile e chiede a Ingrid di esserle accanto quando prenderà la pillola per l’eutanasia, comprata sul dark web. “È un’altra guerra” dice, con l’ostinazione di chi ha visto troppi orrori. “Non ne ho paura. Ma, come ogni volta che ho affrontato la morte, non voglio farlo da sola.” Ingrid, riluttante e terrorizzata, accetta.
A questo punto il film si sposta in una casa in affitto nei Catskills, un luogo dove morire con gusto estetico. Stanze luminose, aria rarefatta, porte socchiuse. “Se troverai la mia porta chiusa, saprai che non ci sono più” dice Martha.
Sembra tutto un lungo addio imbellettato, e lo è. Però La stanza accanto è pieno di vita, nei dialoghi, nelle confessioni tra due donne che si tengono per mano sull’orlo dell’abisso. Ogni tanto si ride, come quando riappare Damian (John Turturro), vecchio ex di entrambe, ora consulente occulto per Ingrid su questioni legali. “A letto con Martha? Come dormire con una terrorista” dice, tra il serio e il faceto.
Moore e Swinton reggono il film con una grazia che sfiora il sublime. Swinton, sempre a metà tra la terra e il cielo, è un angelo irritabile e fiero; Moore è ancorata alla tristezza di chi deve restare indietro. Almodóvar, da parte sua, confeziona il tutto con la sua ossessione per il lusso visivo: fotografia di Eduard Grau, scenografie di Inbal Weinberg, costumi di Bina Daigeler. Colori saturi, spazi che sembrano dipinti, estetica che trasforma il dolore in bellezza.
E poi, come sempre, c’è il cinema. I film che Martha e Ingrid guardano aspettando l’addio: Lettera da una sconosciuta di Max Ophüls, Buster Keaton schivando massi in Seven Chances, e soprattutto The Dead di John Huston, girato mentre il regista era lui stesso vicino alla fine. “La neve cade su tutti i vivi e i morti” recita il film, e Almodóvar sembra suggerire che il confine tra i due non è poi così netto.
Viene da chiedersi se Almodóvar non stia lasciandoci un messaggio, come fece Huston. Magari sì, magari no. Di certo, ci regala un film che insegna a morire con grazia. O, almeno, a resistere un giorno in più, con la porta ancora aperta.