Siamo abituati a sentirci dire che l’acqua è un bene prezioso, che il riscaldamento globale la rende sempre più scarsa, che bisogna risparmiarla. Poi arriva Amazon e scopriamo che, mentre i comuni cittadini devono chiudere il rubinetto mentre si lavano i denti, la multinazionale americana si abbevera senza rendere conto a nessuno. Quanta acqua consuma la sua mega-infrastruttura di server in Aragona? Bella domanda. Qualcuno lo sa? Forse. Ce lo vogliono dire? Manco per idea.
Il grande inganno della trasparenza
Le grandi aziende tecnologiche ci raccontano sempre la storiella della “trasparenza”. Anzi, per essere precisi, se ne riempiono la bocca a ogni occasione. Dicono di essere “impegnate nella sostenibilità”, pubblicano rapporti ambientali scritti in un perfetto linguaggio corporate, e ci assicurano che il loro modello di business è “green”. Poi, quando si chiede loro qualcosa di concreto, come i numeri sul consumo d’acqua, rispondono con un silenzio assordante.
E così accade che AWS – Amazon Web Services – arrivi in Aragona, pianti i suoi centri di calcolo come obelischi nel deserto, consumi milioni di litri d’acqua e nessuno possa sapere con esattezza quanto e come. Perché? Perché la normativa vigente non impone di dirlo. Il che, se ci pensiamo bene, è un bel problema. Immaginate se un’acciaieria potesse operare senza dichiarare il suo impatto ambientale, o se un’azienda chimica potesse scaricare rifiuti tossici senza dirci dove e in quali quantità.
Ma Amazon e gli altri giganti del cloud possono. Anzi, devono. Perché il segreto industriale è sacro, il profitto è sacro, la competitività è sacra. E chi osa fare domande, come il quotidiano El País, si scontra con un muro di omertà.
Huesca, Villanueva, El Burgo: la sete del cloud
Dunque, AWS arriva in Aragona nel 2022 e costruisce tre mega-data center. Poi decide di ampliarsi, perché ovviamente non basta. La corsa all’Intelligenza Artificiale richiede sempre più potenza di calcolo, e la potenza di calcolo richiede server, e i server producono calore, e per raffreddarli servono fiumi d’acqua. Letteralmente.
Unica fonte di dati affidabili? Il comune di Huesca, che nel 2023 ha registrato un aumento del consumo idrico industriale di 62 milioni di litri all’anno. Più del doppio di quanto Amazon aveva previsto nei suoi studi preliminari. Un errore di calcolo? Oppure un’errata “previsione strategica”, come direbbero gli esperti di PR?
E attenzione, perché questi sono solo i numeri dell’acqua usata per raffreddare i server. Non si sa nulla su quanta acqua venga impiegata per la produzione di energia necessaria a tenere in piedi la baracca. Insomma, siamo di fronte a un’industria che divora risorse senza nemmeno sentirsi in dovere di comunicarlo ai cittadini che poi, magari, in estate vedranno razionata l’acqua nelle loro case.
E qualcuno, giustamente, si chiede: “In tempi di siccità, a chi verrà tolta l’acqua per garantire il funzionamento dei server di Amazon?”. Domanda che ha posto in parlamento il deputato Álvaro Sanz, ricevendo in risposta… il nulla. O meglio, un rimbalzo di responsabilità tra governo centrale, regioni e comuni.
I patti segreti e la tutela del business
Ma perché è così difficile avere informazioni? Perché, da quando è arrivata in Aragona, Amazon ha imposto alle amministrazioni locali accordi di riservatezza degni della CIA. Per firmare un contratto con AWS bisogna sottoscrivere un patto di silenzio. Lo dicono chiaramente funzionari e politici locali: le aziende tecnologiche americane lavorano così. Se vuoi che investano sul tuo territorio, non devi fare troppe domande.
E in Europa? L’UE ha appena approvato un regolamento che chiede maggiore trasparenza sui consumi di energia e acqua dei data center. Ma c’è un piccolo problema: la pubblicazione dei dati è su base volontaria. E la Spagna, a differenza di Paesi Bassi e altre nazioni, non ha ancora una piattaforma per raccoglierli. Quindi, di fatto, Amazon continuerà a non dire niente, e il governo continuerà a far finta di niente.
Fieke Jensen, ricercatrice dell’Università di Amsterdam, lo spiega chiaramente: “Anche quando la normativa sarà attiva, i dati saranno disponibili solo a livello nazionale e non regionale”. Tradotto: sarà impossibile sapere se a Huesca e Villanueva si sta consumando più acqua di quanta ne possa garantire il territorio. Un perfetto gioco di prestigio.
Chi decide chi resta senz’acqua?
Ora, immaginiamo uno scenario molto probabile: una siccità prolungata. Che succede se le riserve idriche iniziano a scarseggiare? AWS ha già iniziato a prendere precauzioni, costruendo nuovi serbatoi d’acqua per ridurre la dipendenza dalla rete pubblica. Ma se ne serviranno di più, chi pagherà il conto? Gli agricoltori? I cittadini?
E qui torniamo alla questione politica. Il governo regionale dice che la responsabilità di stabilire priorità e restrizioni in caso di crisi spetta ai comuni. I comuni rispondono che la situazione è sotto controllo. AWS, dal canto suo, tace. E nel frattempo, i lavori di espansione dei data center continuano, con nuovi impianti in costruzione e nuove risorse pronte a essere divorate.
Nel frattempo, chi prova a fare domande viene lasciato a bocca asciutta. Come Aurora Gómez, attivista del gruppo Tu Nube Seca Mi Río, che denuncia: “Ci negano l’accesso alle informazioni”. Perché è ovvio: se la gente sapesse, forse inizierebbe a protestare. Se conoscesse i numeri reali, forse si chiederebbe perché una multinazionale privata può consumare milioni di litri d’acqua senza dover rendere conto a nessuno.
Ma questo, evidentemente, è un lusso che né Amazon né i governi possono permettersi. Così, mentre i cittadini si preparano a nuove emergenze idriche, i server della Silicon Valley continueranno a girare, raffreddati dall’acqua pubblica di cui nessuno sa – e deve sapere – il vero costo.