ECONOMIA IN PANNE
di Marco Palombi
Il ministro delle Imprese Adolfo Urso tenta, come si dice a Roma, di consolarsi con l’aglietto: “Stiamo scontando un problema industriale europeo, che si evidenzia soprattutto in Germania, dove la contrazione è maggiore della nostra”. Non si sa se mal comune mezzo gaudio salverà la popolarità del governo tra il suo elettorato, ma il dato è che la produzione industriale in Italia è calata a dicembre per il 23esimo mese consecutivo, un’enormità, chiudendo il 2024 a -3,5% rispetto all’anno precedente.
Per capirci su quanto profondo sia il fossato in cui è precipitato il manifatturiero italiano, basti dire che fatto 100 il picco del 2021 oggi l’indice dell’industria italiana fa segnare 80: un disastro su cui, va tenuto a mente, non si è ancora del tutto abbattuta l’ennesima fiammata dei prezzi energetici e, a non citare i dazi di Donald Trump.
ANCHE A SCOMPORRE IL DATO, peraltro, non si va molto lontano. L’annoscorso l’unico settore a far registrare una modesta crescita è quello della produzione alimentare, mentre si ferma al solo dato mensile di fine anno le uniche a sorridere – non a sorpresa – sono le imprese estrattive (+17,4%) e della fornitura di energia (+5%). Tutto il resto è una tenebra biblica, in cui solo è pianto e stridore di denti, ma più fitta e paurosa per la produzione di mezzi di trasporto (cioè l’auto, che fa -23,6% a dicembre sull’anno prima) e il tessile e l’abbigliamento (-18,3%), che fanno sembrare quasi accettabili i crolli verticali di meccanica (-9,3%), farmaceutica (-8,4%) e chimica (-8,3%).
Possono sembrare solo numeri, ma dietro i numeri c’è la ricchezza che l’Italia produce e produrrà, la quantità di lavoro offerta alla popolazione, il traino che la manifattura assicura ai servizi: la base produttiva e i mercati che si perdono tornano indietro solo con difficoltà.
È il primo vero campanello d’allarme per il governo da che s’è insediato. I dati devastanti dell’industria illuminano la dismaneità del PIL, fermo da mesi, e i numeri non più così brillanti del mercato del lavoro, cui andrebbe aggiunto l’aumento delle richieste di cassa integrazione: con un’economia in difficoltà sarà difficile per Giorgia Meloni e soci far appassionare gli italiani alla telenovela dei centri per migranti in Albania o ai premiato.
La vera brutta notizia per il Paese e per il governo è che la situazione in prospettiva è anche peggiore: tra fine dicembre e gennaio, infatti, l’Europa s’è infilata in una nuova crisi dei prezzi energetici che ad oggi s’è scaricata solo in parte sugli utenti finali. Ieri sera il gas quotava a circa 56 euro al megawattora, quattro euro sotto il picco di 59 raggiunto lunedì, ma comunque su livelli altissimi: per dirvi di prezzi – oltre il doppio rispetto a un anno fa e alla media fino al 2021 – dovrebbero mantenersi su questi livelli almeno fino a novembre, quando i Paesi UE avranno finito di riempire le loro scorte di metano, svuotate quest’inverno.
LA MAZZATA
I PREZZI ALTI DELL’ENERGIA
ADESSO GONFIERANNO LE BOLLETTE
Al netto delle difficoltà delle famiglie, questo costo del gas – e conseguentemente dell’elettricità – rischia di mettere fuori mercato molte imprese italiane: secondo i numeri di Confindustria, per limitarsi all’Europa, l’Italia paga l’energia l’87% in più della Francia, il 72% della Spagna e il 38% in più della Germania. Il problema è che non c’è una soluzione di breve periodo al problema dei costi dell’energia e i sussidi per ridurne gli effetti, già usati nel 2022-23, oggi non possono essere riproposti per via dei vincoli di bilancio.
Parlare di nucleare, una cosa che se tutto va bene non ci sarà prima di 10-15 anni, vuol dire buttare la palla in tribuna. Stesso discorso per la generica invocazione di una “politica industriale”, sempre mancante, che è un po’ la versione settoriale dell’invocazione delle “riforme” senza aggettivi.
Il ministro Urso, per dire, si appresta a produrre un “Libro bianco sulla politica industriale” che intendiamo realizzare nei prossimi cinque anni, in Italia e in Europa”. Sarà pronto “credo dopo Pasqua” perché a quel punto lo “avremo contezza di dove l’Europa voglia andare” e “capiremo se la Commissione Ue sarà indirizzata a un processo riformatore”.
In sostanza la politica industriale del governo Meloni è vedere se Bruxelles – su cui fanno pressioni Francia e Germania – si riamangia il Green Deal, in special modo per il settore auto (probabile), la siderurgia e la chimica, e quanto al resto sperare in Dio. Si sono viste strategie peggiori, però chiamarla politica industriale forse è troppo.
Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2025