Il PD tra vecchie manovre e il trasformismo senza fine di Renzi

La sfiducia a Santanchè unisce la maggioranza, ma il vero problema è nel PD: le schegge dorotee restano forti, mentre Renzi cambia ancora strategia.

di Giancarlo Selmi

Qualcuno ha detto che la mozione di sfiducia contro Santanchè è un errore perché “compatta la maggioranza”. Ed è vero, quando nella maggioranza non c’è il PD. O almeno quella parte di PD che prosegue in quel partito la migliore tradizione “dorotea”, andreottiana, forlaniana, gaviana. Le schegge della peggiore tradizione DC rifugiatosi nel PD. E sono tante, purtroppo.

Perché quando la mozione di sfiducia fu presentata contro Bonafede, negli ultimi giorni del Conte due, quella mozione non giunse neppure a essere votata. La congiura capeggiata da Renzi aveva dentro il PD molti collaboratori. I rischi di “franchi tiratori” erano altissimi. E Giuseppe Conte lo sapeva. O forse “glielo mandarono a dire”. Cosa avrebbe votato Guerini, il grande “amico” di Renzi? O Marcucci, o altri ancora?

Con la spiegabile ed ennesima inversione a “u” di Renzi, passato dal votare qualunque cosa alle destre, persino il presidente del Senato più fascista della storia, alla opposizione dura e pura e alla auto proposizione di un Renzi di sinistra, con la speranza ben riposta che qualcuno ci creda, i dorotei del PD li troviamo “allineati e coperti” e le trame contro la Schlein, secondo loro troppo di sinistra, temporaneamente cessate.

Un vero e proprio cessate il fuoco, vedremo quanto durerà, accompagnato da convegni di centri, centrini, centristi e centrali, che dimostrano foreste pluviali nel loro stomaco e quanto Renzi continui a essere forte. Non ha voti ma ha altro. Il resto? Alla prossima puntata. Ma, d’altra parte, non si diceva che saremmo morti tutti democristiani? E nella telenovela della politica italiana le puntate sono tante. Troppe.

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