di Ivo Caizzi
A Bruxelles spunta una “zona d’ombra” con fondi Ue per ben 132,82 milioni di euro che sono stati destinati ai media in relazione alle elezioni europee del giugno scorso. Questa mega-elargizione, coordinata dalla presidente maltese dell’Europalamento Roberta Metsola in sintonia con la numero uno tedesca della Commissione europea Ursula von der Leyen (e con il contributo del Consiglio dei 27 governi, della Banca Europea degli investimenti e del Comitato economico e sociale), non è imbarazzante solo per l’ingente importo relativo a 12 mesi, che si aggiunge ai tanti milioni assegnati annualmente con discutibili gare d’appalto a tv, giornali, agenzie di stampa e siti online, rivelati dal Fatto prima delle ultime Europee, ma anche perché è stato usato un particolare metodo amministrativo che, secondo i vertici Ue, consentirebbe di mantenere il segreto sui singoli pagamenti e sulle testate percettrici. Testate e media che dovrebbero invece controllare come le istituzioni pubbliche Ue spendono il denaro dei contribuenti e non farsi finanziare dai “controllati” per evitare dubbi di condizionamenti e conflitti d’interessi.
Metsola e Von der Leyen, europopolari del Ppe, hanno comunicato al Fatto tramite i rispettivi portavoce che non forniscono informazioni su destinatari, importi, motivazioni e risultati, perché per questi 132 milioni si è ricorsi a un framework contract (“contratto quadro”). Il documento del 5 settembre 2023, identificabile con la sigla Comm/Dg/Fmw/2023/30, appalta tutto come intermediario all’agenzia privata di pubblicità Havas Media France del gruppo Vivendi. E solo questo contratto è stato messo a gara. Come Havas abbia poi ripartito i pagamenti ai media – in accordo con i vertici Ue – sarebbe riservato. Risulterebbe anche esentato da alcune restrizioni, come l’obbligo di mettere a gara i pagamenti oltre i 14 mila euro e di registrarli sul maxi database ted.europa.eu con altre centinaia di migliaia di appalti, pur non facili da individuare per comuni cittadini. Chi cercasse gli esborsi a testate italiane deve digitare Reti televisive italiane per Mediaset, Gedi per Repubblica, Rcs per il Corriere della Sera, eccetera. In caso di società intermediaria, tuttavia, si può non trovare nulla.
Metsola ha fatto sapere che non fornirà altre informazioni sul contratto con Havas perché si può avviare la procedura burocratica di “accesso ai documenti dell’articolo 15 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue”. Ma servirebbe? Von der Leyen ha fatto precisare che Havas, “in linea con il contratto quadro”, deve “assicurare che la diffusione di qualsiasi informazione non comprometta gli interessi commerciali degli operatori economici”.
Molte imprese private affidano ad agenzie campagne pubblicitarie con acquisto di spazi sui media. E il contratto con Havas riguarda “pubblicità” e “servizi pubblicitari”. Ma Europarlamento, Commissione, Consiglio e le altre istituzioni pubbliche Ue non devono promuovere vendite di prodotti. Per comunicare le loro iniziative dispongono di affollati apparati di addetti stampa. Perché poi non offrono la massima trasparenza su questi pagamenti per far valutare ai cittadini se possono risultare condizionanti per i media percettori?
Il Fatto rivelò che tra i fondi Ue per i principali media italiani (Rai, Mediaset, Sky, Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore, Ansa, Agi, AdnKronos, Citynews, eccetera) alcuni prevedevano forniture di articoli e servizi graditi dai vertici di Bruxelles. Emerse perfino che i ricchi editori Agnelli-Elkann avevano associato Repubblica in una “partnership” con Europarlamento e Commissione per farsi retribuire proprio articoli relativi alle elezioni europee. Fu confermato che questo accordo – inizialmente da 62 mila euro – non era stato messo a gara (nonostante fosse superiore ai 14 mila euro) in quanto consentito dal “contratto quadro” con Havas. E che in Italia erano in definizione accordi simili “ad ampio spettro”. Ma allora quegli articoli di Repubblica e le partnership con altre testate Ue vanno ritenute “pubblicità”? Ed è opportuno il ricorso a intermediari, se consente di tenere riservati esborsi oltre i 14 mila euro e servizi che potrebbero di fatto offrire “buona stampa”?
Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2025