Fra le varie minchiate che si sentono in questi giorni, svetta il disco rotto sulla “guerra dei 30 anni fra magistratura e politica”. Che non è mai esistita: esiste la parte criminale della politica che abusa del suo potere per violare le leggi e aggredisce la parte legalitaria della magistratura che esercita il potere di farle rispettare. Il paradosso è che ora l’assalto parte da una premier che, non essendo una criminale, non ha processi: solo una denuncia per un atto di governo.
Eppure la ridicola frottola della “guerra”, un tempo confinata sulla carta straccia berlusconiana, ora troneggia sul Corriere a firma del suo direttore: “Giudici e politici: ma quando finirà la ‘guerra dei 30 anni’?”. Si parla d’indagini e processi come fenomeni atmosferici (tipo la pioggia che arriva quando meno te l’aspetti). O, peggio, come “vendette” architettate da una Spectre che pilota i 9 mila magistrati centellinando e cronometrando iscrizioni, avvisi, arresti, rinvii a giudizio e sentenze contro i “riformatori”. Ma basta interpellare un cronista giudiziario qualsiasi (il Corriere qualcuno dovrebbe ancora averlo) per sapere che – a parte le denunce sporte da cittadini, che non dipendono dalle Procure – le indagini nascono da comportamenti gravi o comunque sospetti: le “notizie di reato”, che vengono scoperte quasi sempre per puro caso.
Mani Pulite partì dalle mazzette a Chiesa scoperte da Di Pietro grazie agli articoli di un cronista del Giorno querelato dal manager.
Tangentopoli cadde pezzo a pezzo perché imprenditori e politici a caccia di attenuanti facevano a gara a denunciarsi a vicenda per le mazzette che gli uni pagavano e gli altri chiedevano, su su fino alla maxitangente Enimont da 150 miliardi che decapitò il pentapartito.
I 21 miliardi di B. sui conti svizzeri di Craxi dopo la legge Mammì li svelò Tradati, prestanome di Bettino.
Le mazzette Fininvest alla GdF, oggetto del primo invito a comparire a B., le confessarono alcuni finanzieri corrotti anche da altre aziende.
La corruzione berlusconiana dei giudici romani la raccontò la Ariosto ai finanzieri che la sentivano su un libretto al portatore di B. usato dal fidanzato Dotti per pagare un pezzo di antiquariato.
La mazzetta di B. a Mills la svelò quest’ultimo in una lettera al commercialista.
Il caso Ruby emerse quando il premier B. chiamò la Questura per far rilasciare la minorenne marocchina contro il parere della giudice minorile.
E il caso Santanchè affiorò quando alcuni dipendenti raccontarono di aver lavorato mentre risultavano in cassa Covid.
Che dovevano fare i pm con questa montagna di notizie di reato: mangiarsele?
La “guerra dei 30 anni” finirà quando i politici rispetteranno il Codice penale e la Costituzione. O, in alternativa, li aboliranno.
Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2025