di Antonio Padellaro
In un Paese normale, un giornalismo poco poco normale avrebbe accolto con favore la notizia che attraverso un giudice terzo, chiamato Tribunale dei ministri, forse potremmo saperne qualcosa di più sulla oscura e “sporchissima” (copy Bruno Vespa) vicenda dell’assassino e torturatore libico fermato a Torino e poi rispedito a Tripoli con volo di Stato. Ok, il suddetto organismo previsto dalla Costituzione non potrà emettere sentenze, ma può soltanto o archiviare o trasmettere al Parlamento la richiesta di rinvio a giudizio. Questa seconda ipotesi avrebbe un destino pressoché segnato: venire bocciata dal voto della maggioranza di destra, la cui sola idea di un processo alla premier (e a mezzo governo) per le decisioni adottate sul rimpatrio del generale aguzzino equivale a un colpo di Stato.
Parlandone però da giornalisti interessati all’accertamento dei fatti e al servizio di una corretta informazione, la possibilità che nel corso della necessaria attività d’indagine quel collegio possa avere accesso a documenti e testimonianze, altrimenti tumulati in un segreto tombale, in qualche modo rassicura. E non soltanto perché l’interesse professionale di un giornalista (direi la vocazione, la missione, l’orgoglio, la vanità, la tigna) è che qualcosa filtri da quelle stanze per poi pubblicare. C’è in gioco molto di più: per esempio le motivazioni reali che hanno spinto il governo italiano a ignorare la richiesta della consegna del figuro alla Corte penale dell’Aia per i crimini internazionali. Perché in una democrazia costituzionale anche la ragion di Stato andrebbe sostenuta con solidi appigli. Altrimenti può trasformarsi in un arbitrario scambio di favori intriso di sangue, quello dei tanti sciagurati finiti nelle mani del criminale Almasri. Tutti argomenti che sembrano non interessare i fanclub dattilografi di Giorgia Meloni, anzi abbastanza inorriditi che una qualche informazione possa sfuggire alle veline di Palazzo Chigi. Costoro agiscono in automatico e sbattono i tacchi fedeli alla regola del “cosa fatta o detta dalla premier capo ha”. Se costei un giorno affermasse che gli asini volano essi, statene certi, correrebbero in soccorso del sacro verbo per dimostrare sui loro fogli e nei talk che li ospitano che effettivamente chi non vede gli asini volare agisce proditoriamente contro gli interessi della Nazione. Lo stesso spirito servile deve avere ispirato i consiglieri della premier quando hanno lasciato che nel video in cui sventolava la comunicazione di Lo Voi la Meloni annegasse le possibili ragioni della ragion di Stato in un guazzabuglio di accuse, allusioni e vittimismi vari. Ci si domanda come sia possibile che una presidente del Consiglio apprezzata a livello internazionale per tratto istituzionale e moderazione, una volta rientrata in patria tenda ad assumere i modi e il linguaggio del capopopolo.
Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2025