Netanyahu holds up maps illustrating the 'blessing' and 'curse' facing Mideast

Bene l’accordo per Gaza, ma la guerra non è finita

La tregua è debole. Netanyahu ha legato la sua sopravvivenza alla guerra. È condizionato dalla destra messianica che dichiara apertamente di volere la fine di Gaza.

di Elena Basile

Come non rallegrarsi dell’accordo che l’inviato di Trump in Medioriente Richard Witkoff è riuscito a imporre a Netanyau, recandosi in Israele una sola volta e non una decina come l’incompetente Anthony Blinken. Se soltanto l’amministrazione repubblicana riuscisse a difendere gli interessi statunitensi (e della comunità ebraica) contro la lobby di Israele sarebbe un passo avanti notevole. Si porrebbe fine alla criminale complicità con Netanyahu che ha macchiato la politica dei Dem americani e della maggioranza dei governi europei.

La lobby difende le politiche del nazionalismo messianico di destra e da tempo persegue un atto di forza nella regione a spese dell’Iran. Come abbiamo ripetuto più volte, la lobby non ha molto a che vedere con la comunità ebraica. È composta anche da donatori cristiani e evangelici. Date le grandi leve finanziarie di cui dispone condiziona la politica di Washington. Questo spiega anche le ovazioni bipartisan ricevute dal “criminale di guerra” Netanyahu al Congresso. La lobby ha molteplici influenze sulla politica europea.

Le lobby sono riconosciute in Europa e dalle società democratiche. Non vi è quindi nulla di anormale nel dichiararsi membro della lobby di Israele. Si lamenta la mancata trasparenza. Sarebbe auspicabile che i giornalisti, gli accademici e i politici che ne fanno parte lo rivelassero prima che sacrosante inchieste rivelassero l’appartenenza ad essa di membri del governo.

Chi può non rallegrarsi per una tregua e per la possibilità apertasi che gli ostaggi israeliani e i detenuti palestinesi siano liberati? Guardo le foto degli ostaggi israeliani riportate dalla stampa e la solidarietà sorge spontanea. Eppure non posso non provare un disagio terribile al pensiero dei 43.000 morti di cui si ignora tutto. Se almeno potessimo conoscere i volti dei bambini palestinesi, di quelli massacrati sotto le macerie, o deceduti dopo agonie in ospedali distrutti. Certo, ben venga l’accordo, ma il dolore delle vittime ci perseguita.

Ci sembra impossibile un accordo che forse rafforzerà Netanyahu libero, come afferma, di ritornare alle sue politiche criminali (ha già ricominciato in Cisgiordania) prima ancora della tregua totale. Spero che il paragone non offenda nessuno ma a me sembra abbia fondamento. Vi immaginate se dopo i crimini dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, invece di fare giustizia col processo di Norimberga, si fosse pervenuti a un accordo con l’élite tedesca?

La tregua è debole. Netanyahu, come sappiamo, ha legato la sua sopravvivenza alla guerra. È condizionato dalla destra messianica che dichiara apertamente di volere la fine di Gaza. Trump, che è stato eletto anche grazie alla lobby, cerca un compromesso che possa almeno evitare una guerra con l’Iran e una normalizzazione dell’area in virtù di un ritorno alla logica degli accordi di Abramo, di una mediazione con l’Arabia Saudita.

Hamas ha giocato il tutto per tutto per riportare alla luce la questione palestinese. La sua leadership è decapitata, il popolo palestinese ha subito l’inferno, un dolore e una distruzione senza precedenti, ma gli obiettivi strategici sono stati in parte raggiunti. Hamas è il vincitore politico molto più di Netanyahu, che ha inflitto sconfitte all’asse della resistenza – Hamas, Hezbollah, Iran e Siria – ma non li ha eliminati. Sono vivi, con nuove reclute e più rabbia in corpo.

Israele, sebbene abbia con atti di forza e violazione del diritto internazionale, divenendo agli occhi del mondo uno Stato canaglia, non ha migliorato la sua posizione neanche in Siria. Gli ex tagliagole pilotati dalla Turchia non sono amici di Israele. Trump non ha avuto scrupoli ad assecondare il sogno suprematista israeliano. Non credo riuscirà a creare una pace duratura che potrebbe basarsi sul riconoscimento di una soggettività palestinese, in grado di includere Hamas, la ricostruzione di Gaza e la garanzia della sua sicurezza a opera degli Stati arabi, Ryad in primis, la fine della colonizzazione della Cisgiordania, l’apertura di una conferenza di pace che includa l’Iran e la Russia, firmatari di recente di un nuovo accordo sulla cooperazione energetica.

Temo che l’Amministrazione repubblicana abbia individuato un compromesso nuovamente sulla pelle dei palestinesi. Le ondate di violenza ritorneranno in modo ricorrente e assicureranno la sopravvivenza di Netanyahu, al quale non mi sembra esistano grandi alternative nella politica israeliana, dominata da una destra impresentabile. Il lavoro sporco a Gaza a intermittenza e affinché parte degli ostaggi siano liberati? In cambio moderazione nell’estensione del conflitto. Questa una possibile logica interpretativa. L’auspicio remoto resta invece una sconfessione a 360 gradi, come in Ucraina, della politica neoconservatrice basata sulla destabilizzazione e la supremazia militare.

Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2025

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