Il fumo nero che è uscito (ancora una volta) dalla Saras fa impressione per il suo impatto sull’ambiente di Sarroch e dintorni.
Ma c’è un altro impatto ambientale, un impatto sull’intera Sardegna, che quel fumo nero dovrebbe risvegliare nella mente dei sardi e della classe dirigente sarda: sono i soldi delle Accise spettanti alla Sardegna che vanno ogni anno in fumo perché la Saras, con la complicità dello Stato, le paga fuori dall’isola. Invece che farlo qui, dove i 9/10 di quelle tasse andrebbero alla Regione Sardegna. Invece che allo Stato italiano, come succede ora.
Erano gli inizi degli anni 2000 – sì, 25 anni fa! – quando la Corte dei Conti ricordava il continuo ammanco di risorse dal bilancio della Regione Autonoma della Sardegna dovuto al fatto che la Saras paga una parte enorme delle Accise fuori dall’isola. E questo perché una legge le consente di portare “in sospensione” quel pagamento, ritardandolo fino al momento (e al luogo!) della messa in commercio del carburante.
Così, una tassa sulla produzione – che avviene in Sardegna – si trasforma di fatto in una tassa sulla messa in commercio dei prodotti petroliferi – che avviene per la maggior parte nella Penisola.
Su quanto pesi questo ammanco annuale sulle nostre casse si discute ancora. E anche questo dice quanto poco abbiamo esercitato la nostra responsabilità e autodeterminazione. Quella di chi, proprio perché si dice “povero”, dovrebbe avere ogni cura nel capire quanti soldi ha in tasca, quanti gliene spettano, quanti ne sta perdendo per strada, quanti ne può recuperare.
C’è chi dice che si tratti di almeno 1 miliardo all’anno. Chi è arrivato a dire che sono addirittura 3 miliardi. In una terra il cui Bilancio annuale è di 9 miliardi all’anno si capisce cosa significa perdere anche solo il 10% della propria ricchezza.
Ma forse no, forse non si capisce. Una delle conseguenze della dipendenza, della subalternità mentale e politica, è che non si capisce più nemmeno l’ovvio. Si è talmente dentro al loop mentale che sono gli altri a doverci risolvere i problemi, a doverci dare soldi, che ogni fatto che porta una prova contraria a questa logica, che testimonia che potremmo essere più forti e ricchi senza dipendere sempre dall’aiuto altrui, diventa invisibile e insensato.
Quale è la soluzione? Il punto è semplice. Essendo questo drenaggio di soldi sardi verso l’Italia consentito dalle leggi italiane, allo stato delle cose il modo più diretto per recuperare la nostra ricchezza è portare la Saras ad un tavolo con la Sardegna e fare pressione perché rinunci alla “sospensione” del pagamento consentita dallo Stato. Detto in altri termini, si tratta per Saras di far risultare che la messa in commercio avviene tutta in Sardegna.
Questo è quanto propongo da anni – anche grazie ad un lavoro di scavo sulla questione fatto insieme a Giuliu Cherchi – questo è quanto proponiamo ancora una volta con A innantis!
Se in Saras dovessero avere dubbi, si potrebbe ricordargli che sono loro che si sono definiti “petrolieri sardi” in una famosa campagna di autopromozione e captazione della benevolenza dei sardi. Sono stati loro a spendersi in dichiarazioni in cui si rendevano disponibili a fare tutto il possibile per il bene della Sardegna. E se la nuova proprietà dovesse lavarsene le mani dicendo che quelle erano affermazioni dei Moratti, gli si potrebbe ricordare che quei soldi ci servono proprio per rimediare ai danni ambientali che le fumate nere rendono evidenti, per dare servizi al territorio di Sarroch e di tutta la Sardegna, per generare altro lavoro a fronte di un mercato dell’energia in profonda crisi e trasformazione.
Perché va bene che la Saras “dà lavoro”, ma anche lasciando da parte il sottile ricatto psico-politico che tutte le grandi imprese attuano sulle istituzioni democratiche, resta il fatto che se poi questo lavoro lo stiamo pagando noi, se il beneficio per la Sardegna viene azzerato dall’impatto delle montagne di soldi che ci vengono ogni anno a mancare, allora le cose devono cambiare.
E si badi bene: la Saras quelle tasse deve comunque pagarle! Non si vede perché non le debba pagare qui, dove andrebbero per la quasi totalità a noi, invece che sulla Penisola, dove vanno nelle casse di altri. Non si vede perché Saras non debba pagare le Accise proprio qui, dove produce il suo petrolio. E dove quella produzione impatta sull’ambiente.
Dunque, chiudiamoci in conclave con la Saras. E alziamoci dal tavolo solo dopo una fumata bianca. Quella che annuncia che dopo vent’anni di soldi persi (che purtroppo mai più recupereremo) abbiamo per davvero risolto a vantaggio della nostra gente e della nostra terra questa enorme partita. Una partita che ruota attorno alla ricchezza e alla dignità della Sardegna.
A innantis!