Meloni a Riad per stringere accordi con “uno Stato fondamentalista islamico”

Diplomazia dei soldi – L’accordo tra il gruppo pubblico e i sauditi chiuso a novembre, ma tenuto nascosto in attesa del viaggio della premier: a Riad a fine mese

di Marco Palombi

A dicembre non ha trovato il tempo, ma a gennaio dovrebbe: Giorgia Meloni oggi presenzierà negli Emirati Arabi alla Abu Dhabi Sustainability Week e qualche giorno dopo, il 26 e 27 gennaio, farà la sua annunciata visita a Riad. Potrà così finire la consegna del silenzio imposta al gruppo assicurativo pubblico Sace sull’accordo coi sauditi per garantire 3 miliardi di prestiti ricevuti dal Paese arabo per il mega-progetto Neom caro al principe Moahmmed bin Salman.

Palazzo Chigi ha prima sponsorizzato l’accordo, nonostante alcune perplessità della società del Tesoro, e poi imposto a Sace e alla controparte di non divulgarlo prima della visita di Meloni a Riad. E così per un paio di mesi è rimasto sepolto un comunicato ufficiale che i sauditi non vedevano l’ora di rendere pubblico: è la prima volta che un’Eca statale (Export credit agencies) assicura Neom.

Il viaggio era stato fissato per gennaio già a novembre, ma solo una riunione a Palazzo Chigi venerdì scorso ha definito i particolari operativi: nella delegazione sarà presente la chief international officer di Sace, Michal Ron, ed è previsto che Meloni firmi memorandum con diversi fondi sauditi, ovviamente a partire dal Public Investment Fund (Pif) che finanzia Neom ed è presieduto proprio da Bin Salman.

Il tempo passa e non sono neanche tre anni dacché, criticando il “Rinascimento saudita” cantato da Matteo Renzi, Meloni definì l’Arabia Saudita “uno Stato fondamentalista islamico che applica alla lettera la sharia” e “diffonde in modo sistematico teorie fondamentaliste (…) creando l’humus nel quale prospera il terrorismo”: ora la premier va a stringere accordi coi fondamentalisti, forte anche delle garanzie finanziarie al progetto simbolo del “rinascimento saudita” fornite da Sace su consiglio del governo.

Neom è infatti uno dei cinque giga-progetti della “Vision 2030” per diversificare l’economia saudita del principe Bin Salman, amico e occasionale datore di lavoro di Renzi: in sostanza si tratta di costruire, in una regione desertica grande come il Belgio, alcune smart city, un distretto turistico di superlusso con relativo porto, un distretto industriale, in parte galleggiante, con relativo porto, un parco giochi per gli sport invernali e una città capoluogo detta The Line, la linea, per 3 milioni di abitanti in tutto. Il costo totale sarebbe di circa 500 miliardi, 320 dei quali da spendere entro il 2030: si usa il condizionale perché l’anno scorso il fondo Pif ha bocciato il bilancio di Neom e i progetti si stanno ridimensionando.

Sono queste difficoltà che rendono così appetibile, per i sauditi, l’accordo con un grande gruppo pubblico come Sace, che peraltro ha aperto un ufficio a Riad proprio nel 2024: un segnale al mercato internazionale dei capitali che gli investimenti sauditi sono seri e sicuri. La società italiana – la cui proprietà è del Tesoro, che ne riassicura il 90% delle operazioni – s’è impegnata a garantire all’80% prestiti per 3 miliardi concessi a Neom da 9 grandi banche internazionali (JpMorgan, BofA, Crédit Agricole, Hsbc, Bank of China, etc.), nessuna delle quali italiana.

In realtà, le imprese italiane hanno già appalti nel futuribile progettone del principe Bin Salman per 6,3 miliardi di dollari (4,7 la sola Webuild), ma i sauditi promettono che ne avranno di più, specie le piccole e medie imprese dei settori infrastrutture, sviluppo urbano, costruzioni e trasporti. E se per questo serve ingoiare un po’ di fondamentalismo e di humus del terrorismo pazienza.

Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2025

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