di Alessandro Robecchi
Il peggior ministro dei Trasporti dall’invenzione della ruota, Matteo Salvini, parla di tutto meno che di trasporti, c’è da capirlo: nessun cacciatore parla volentieri di quella volta che mancò la lepre e si sparò in un piede. Esiste ormai una vastissima e deprimente letteratura sulla mobilità ferroviaria italiana, che andrebbe rilegata in più volumi (Autori Vari) e consegnata alle biblioteche. È composta in gran parte dalle lettere ai quotidiani di viaggiatori che, si suppone finalmente giunti a destinazione, raccontano le loro ore (a volte giorni) di odissea per andare da qui a là con regolare biglietto, prenotazione, scelta del posto e che si ritrovano a elencare ritardi, disguidi, partenze rinviate, tabelloni luminosi che servono ormai solo a comunicare tempi di attesa, disagi, ore sotto il sole nelle carrozze ferme, ore al gelo nelle carrozze ferme, ore in stazione a guardare le carrozze ferme. Un’altra letteratura, a diffusione orale, questa, più popolare, elenca le cose che i viaggiatori farebbero al ministro dei Trasporti, se potessero. Anche qui l’elenco sarebbe lungo, ma rinunciamo perché bisogna rifuggere da sentimenti come vendetta e crudeltà, ci limiteremo a dire che nessuno auspica che il ministro venga legato ai binari, solo perché la probabilità che poi il treno non passi è diventata piuttosto alta.
Una volta fu colpa di un chiodo, che fermò mezza Italia, poi dei cantieri, poi del destino, poi del grande traffico, poi dell’incidente tecnico. Probabilmente Salvini si tiene la scusa delle cavallette o dei meteoriti come ultima chance, per le prossime volte che andrete in stazione e troverete solo la stazione. Ma insomma, chi si prenda la briga di avventurarsi nel labirinto lisergico dei suoi social, le bacheche su cui Salvini scrive i suoi pensierini, ci troverà di tutto tranne che i treni fermi, o in ritardo, o soppressi. Moltissimi post contro gli immigrati, qualcuno sul Milan, un po’ di storie strappalacrime come il cane infreddolito che trova rifugio in caserma, gli auguri di Natale, Capodanno, Epifania, Trump, Musk, Le Pen, Orbán, la pallavolo, la bambina di otto anni che rompe il salvadanaio per fare il regalo alla mamma. Ma treni niente, zero, nemmeno l’ombra. Nell’immaginario del ministro delle Infrastrutture i treni non esistono, e se ogni tanto si parla di trasporti collettivi (bisogna risalire al 4 settembre 2023, centinaia di post orsono) è per dire che ha precettato i lavoratori in occasione di uno sciopero. Si dirà, come fanno i sette-otto leghisti che ancora lo sostengono, che non è tutta colpa sua, poverino, anche se, di fronte a un’emergenza, è il ministro che dovrebbe intervenire, non la Provvidenza, specie perché i vertici delle ferrovie sono di nomina politica, e quindi si torna sempre lì. Qualche idea però ce l’ha anche lui – siamo onesti – e la più luminosa è quella di ridurre le corse del 15 per cento, che non fa una piega, e siamo del resto sicuri che se partisse un treno solo, probabilmente arriverebbe in orario.
Quindi potremmo chiedere al ministro Salvini di non essere timido, di spingere su questa sua intuizione, inaugurando in pompa magna il Monotreno, un solo convoglio al giorno con biglietto da 80.000 euro e tutti i comfort, compresa la carrozza “silenzio” dove nessuno può dire ad alta voce cosa farebbe, se potesse, al ministro dei Trasporti. Una soluzione che metterebbe un po’ in crisi gli italiani che devono spostarsi, è vero, ma che preserverebbe le decine di miliardi stanziati per il ponte sullo Stretto.
Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2025