Marcenaro e Il Foglio: il fondo del giornalismo spazzatura contro Ranucci

Il Foglio pubblica un’uscita spregevole di Andrea Marcenaro contro Sigfrido Ranucci. Il figlio Emanuele lo zittisce con eleganza e una lezione di stile.

Oggi su Il Foglio Andrea Marcenaro (ma chi cazzo è costui?) ha superato sé stesso, lamentando che Sigfrido Ranucci non sia morto nel 2005 durante un’inchiesta a Sumatra. Una caduta di stile che non sorprende da chi ormai confonde il cinismo con l’intelligenza.

La vera lezione, però, arriva dal figlio di Ranucci, Emanuele, che con poche parole ben calibrate ha ridicolizzato la bassezza del commento, mostrando cosa significhi avere classe. Marcenaro dovrebbe prendere appunti, ma temo non saprebbe nemmeno dove cominciare.

Caro Andrea,
fortunatamente mi sono imbattuto così poche volte nelle pagine del “giornale” in cui scrivi da non sapere né il tuo cognome né se tu – spero vivamente per la categoria di no – sia un giornalista professionista o un comico satirico, sono il figlio di Sigfrido Ranucci e nonostante alcune volte me ne sorprenda anche io, non sono ancora orfano di padre.

Vivo da sempre con il pensiero, il timore che ogni volta che saluto mio padre possa essere l’ultima, del resto credo sia inevitabile quando vivi per decenni sotto scorta, quando hai sette anni e ci sono i proiettili nella cassetta della posta di casa tua, quando vai a mangiare al ristorante e ti consigliano di cambiare aria perché non sei ben gradito nella regione, quando ti svegli una mattina e trovi scientifica, polizia, carabinieri e DIGOS in giardino perché casualmente sono stati lasciati dei bossoli, quando ricevi giornalmente minacce, pacchi contenenti polvere da sparo e lettere minatorie, o semplicemente quando ti abitui a non poter salire in macchina con tuo padre.

Ricordo perfettamente il periodo dello Tsunami e dell’isola di Sumatra, che giusto per precisione si trova in Indonesia e non India, quando papà con il parere contrario del suo Direttore Roberto Morrione decise di raccontare la vicenda in uno dei luoghi più martoriati dalle inondazioni, lontano dalle comodità e dai luoghi privilegiati dai quali tutti i media scrivevano.

È uno dei primi ricordi di cui ho contezza, avevo 5 anni, mia sorella 6, mio fratello forse 8, eravamo in macchina, erano circa 40 ore che nessuno riuscisse ad avere contatti con papà, mamma tratteneva le lacrime a fatica, sola con noi tre, faceva finta che andasse tutto bene, forse è stata la prima volta che ho avuto la sensazione che dovessi percepire la vita con papà come se fosse a tempo, con una data di scadenza.

Ebbene sì, è tornato sano e salvo e a distanza di 20 anni purtroppo per te, Andrea, per fortuna per noi e credo di poter dire per il paese è ancora qui, a svolgere il suo lavoro come sempre, vivo e vegeto anche se in tanti lo vorrebbero morto.

Il morto del giorno è il giornalismo italiano, ancora una volta, e chi è l’assassino è evidente a tutti.

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