Per la forzista Rita Dalla Chiesa i giornalisti di Report sono “sciacalli”

Rita Dalla Chiesa aveva già detto una volta in un'intervista di non aver mai sentito parlare suo padre né Falcone di Dell'Utri e Silvio Berlusconi.

di Salvatore Granata

Vorrei chiedere a Rita Dalla Chiesa, che ha definito “sciacalli” i giornalisti di Report, paragonando il suo dolore per la perdita di un padre a quello della figlia di Silvio Marina (evidentemente ponendo sullo stesso piano etico e professionale il Generale Dalla Chiesa con Berlusconi) che ha definito la trasmissione di Sigfrido Ranucci “pattume mediatico-giudiziario”, che cosa ella pensi delle Stragi del ’93, di Dell’Utri e di Silvio stesso.

Ah vero, ha già detto una volta in un’intervista che non ha mai sentito parlare suo padre né Falcone di Dell’Utri e Silvio.

E allora le faccio presente che su un foglio di block notes a quadretti, Falcone nel lontano 6 novembre del 1989, mise in fila alcuni appunti durante l’audizione del pentito Francesco Marino Mannoia.

E che in quegli scritti il giudice sottolineò due volte il cognome Berlusconi, all’epoca già al culmine della sua carriera; una volta, il nome di Vittorio Mangano, lo stalliere boss della villa di Arcore. E poi il cognome di un altro mafioso, Cinà, compare anche una seconda volta nella pagina, cerchiato.

Questi nomi non sono mai finiti nei verbali di Mannoia, che si è sempre rifiutato di fare dichiarazioni ufficiali su Silvio Berlusconi.

L’appunto, che recita “Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni ai Grado e anche a Vittorio Mangano”, è stato ritrovato alcuni anni fa (mi pare nel 2017) nell’ufficio-museo del giudice dal suo ex collaboratore Giovanni Paparcuri che ha sottolineato come il dottor Falcone prendeva degli appunti prima di verbalizzare quando poi dettava, tagliava con un tratto di penna gli argomenti affrontati.

Le parole annotate da Falcone fra altri argomenti di mafia appaiono oggi come una conferma postuma della condanna di Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Berlusconi che ha scontato 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il Cinà citato pare sia Gaetano Cinà, il mafioso molto amico dell’ex senatore di Fi, che gli annunciava al telefono (conversazione intercettata nel 1986) l’arrivo di una grande cassata con il simbolo del biscione a casa Berlusconi. Gaetano Grado è uno dei boss palermitani che più frequentava Milano negli anni Settanta. Secondo la sentenza Dell’Utri, Berlusconi avrebbe stipulato con la mafia un “patto di protezione”, nel 1974: prima, per evitare i sequestri che impazzavano su Milano, poi per “mettere a posto” i ripetitori Tv in Sicilia.

E proprio questo sembra confermare l’appunto ritrovato di Falcone quando si parla di soldi che Berlusconi avrebbe dato ai mafiosi.

Ora, su suo padre non lo so, non mi posso pronunciare, ma Falcone, qualche parolina, anche scritta, ogni tanto la riportava.

Un abbraccio.

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