di Ivo Caizzi
La conferenza stampa annuale della premier Giorgia Meloni, in programma domani, può consentire di valutare la comunicazione di Palazzo Chigi e il livello dell’informazione in Italia. Dovrebbe produrre risposte con notizie principalmente su ombre ed errori dell’esecutivo, spesso negate a giornalisti impegnati nel “controllo del potere”. Ma gli ingenti aiuti pubblici del governo a tanti editori di testate probabilmente ammorbidiscono questi incontri fino a renderli potenzialmente “di regime”. Spuntano addirittura domande “assist” di media benevoli e fiancheggiatori per permettere al governante di turno di esibirsi con parole, parole, parole e promesse da comizio. I capi dell’Ordine dei giornalisti e della sotto-corporazione dei cronisti parlamentari, che gestiscono l’evento (e in genere non brillano per competenza nel “controllo sul potere”), peggiorano la situazione non pretendendo l’intervento bis di precisazione, detto nel gergo internazionale follow up. Senza questa replica del giornalista si possono svicolare le domande scomode.
Nella conferenza stampa del gennaio 2024, per esempio, fu ribadita alla premier una protesta per la “legge bavaglio”, che ha ridotto la libertà di stampa rendendo difficile far conoscere ai cittadini indagini penali soprattutto su notabili di partiti e potenti dell’economia. Meloni svicolò con uno scaricabarile: “È il Parlamento che si è assunto questa responsabilità”. Un follow up avrebbe potuto domandarle: ma il suo governo non è espressione della maggioranza parlamentare? E la sua linea non è sorvolare su illegalità dei “colletti bianchi” anche con condoni per gli evasori fiscali e abolendo il reato di abuso d’ufficio a vantaggio di politici scorretti nel gestire la cosa pubblica? L’anno scorso Meloni non fu interrogata su una sua decisione controversa di grande interesse per milioni di italiani: l’aver eliminato il servizio di tutela “gas&luce”, imponendo un mercato libero selvaggio – con bollette più care – gradito dalla lobby delle imprese energetiche, che comprano tanta pubblicità sui media. Avrebbe verosimilmente sostenuto – come il fido ministro Raffaele Fitto – “ce lo impone l’Europa”, in quanto inserito dal precedente governo Draghi nel piano Ue Pnrr. Un intervento di precisazione l’avrebbe però potuta spiazzare chiedendole: perché ha fatto rinegoziare tanti altri impegni del Pnrr e non quello non vincolante su “gas&luce”?
Sarebbe diventata più imbarazzante una domanda rivoltale sulla liberalizzazione degli stabilimenti balneari, che il governo ha rinviato a oltranza nonostante sia obbligatoria per una legge Ue con costose multe in caso di inadempienza. Meloni di fatto si schierò con la lobby dei balneari, considerati un serbatoio di voti per la destra, sbandierando una “mappatura” delle coste italiane. Questa dimostrerebbe ampia disponibilità di spiagge libere (irrealistica in molti litorali). Un follow up avrebbe potuto sottoporle le critiche per l’aver conteggiato tanti chilometri scogliosi, rocciosi o inaccessibili.
L’intervento di precisazione serve per rispettare il dovere di informare in modo completo. Il problema del tempo limitato è risolvibile. Basterebbe più sintesi, scoraggiare le domande “assist” o affettuose (per queste basta inviare una email a Palazzo Chigi) e ridurre di molto l’introduzione del capo dell’Ordine, inutile se elenca cose note. Questi dovrebbe munirsi di una lista con le più importanti domande da “controllo del potere”, per rivolgere alla fine a Meloni quelle non proposte. Anche perché l’anno scorso, tra “assist” celebrativi, affettuosità, una supplica per far partecipare la premier a un dibattito sulla tv privata Sky e perfino una rinuncia a domandare del servizio pubblico Rainews24 (considerato a guida meloniana), le “dimenticanze” sembrarono troppe.
Il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2024