L’ultima campagna diffamatoria contro Report, il programma di inchiesta di Rai 3 guidato da Sigfrido Ranucci, rappresenta un’ulteriore dimostrazione di come in Italia il giornalismo investigativo sia costantemente sottoposto a pressioni e delegittimazioni sistematiche. Ci troviamo di fronte a un intreccio di interessi, manipolazioni e ipocrisie che, se analizzati nel dettaglio, svelano non solo il tentativo di screditare una delle poche voci indipendenti rimaste nel panorama mediatico nazionale, ma anche le dinamiche di potere e controllo dell’informazione a opera di gruppi politici ed economici ben definiti.
Il fulcro di questa vicenda ruota attorno al giornalista Luca Fazzo, autore di un presunto scoop volto ad accusare Report e uno dei suoi inviati di punta, Giorgio Mottola, di aver ottenuto dossier illeciti dalla società Equalize, una realtà finita al centro di un’indagine della Procura di Milano per attività di spionaggio e dossieraggio. Fazzo, che oggi scrive per Il Giornale di Alessandro Sallusti, non è un personaggio estraneo a scandali e controversie. Nel 2006, infatti, fu sospeso dall’Ordine dei Giornalisti e licenziato da Repubblica per i suoi rapporti con Marco Mancini, funzionario del SISMI coinvolto in operazioni opache di intelligence.
La circostanza che proprio Fazzo, con un passato segnato da accuse di collusione con i servizi segreti, si erga a paladino della trasparenza giornalistica appare quantomeno paradossale. Non è casuale che questa figura sia tornata alla ribalta in un momento in cui il programma di Rai 3 continua a produrre inchieste che disturbano gli equilibri di potere, sia politici che economici. È evidente che l’obiettivo non sia una ricerca genuina della verità, ma un’operazione studiata per screditare e indebolire chi, come Report, ha il coraggio di indagare dove altri preferiscono non guardare.
La fragilità delle accuse mosse da Fazzo è stata messa a nudo dalla pubblicazione di un’intercettazione da parte di Sigfrido Ranucci, nella quale emerge chiaramente che il vero punto di riferimento degli spioni di Equalize non è Report, ma lo stesso Luca Fazzo. Questo elemento non è una semplice smentita, ma una vera e propria inversione delle responsabilità che rivela come Fazzo stesse proiettando su Report le sue stesse pratiche e relazioni compromesse. La logica del ribaltamento è una tecnica classica nella costruzione della propaganda diffamatoria: accusare l’altro di ciò che si è colpevoli di fare, con l’intento di confondere l’opinione pubblica e distogliere l’attenzione dai veri responsabili.
Non è difficile comprendere perché le accuse di Fazzo abbiano trovato spazio su Il Giornale, diretto da Alessandro Sallusti e di proprietà di Antonio Angelucci. Quest’ultimo, imprenditore della sanità privata e deputato della Lega, rappresenta un esempio lampante di come politica, affari e informazione possano convergere in un sistema di potere integrato. Angelucci, noto per le sue frequenti assenze in Parlamento e per il controllo di un impero di cliniche private, ha tutto l’interesse a sostenere una narrazione giornalistica allineata agli obiettivi del centrodestra, soprattutto quando si tratta di contrastare programmi di inchiesta come Report, spesso critici verso gli intrecci tra politica e affari privati.
Sallusti, dal canto suo, è un direttore che ha sempre sposato una linea editoriale apertamente schierata, utilizzando la sua piattaforma per attaccare sistematicamente chiunque osi mettere in discussione gli interessi dei suoi editori e dei loro alleati politici. In questo contesto, l’articolo di Fazzo non è un caso isolato, ma parte di una strategia più ampia per indebolire la credibilità di Report e di tutto il giornalismo investigativo che non si piega alle logiche del potere.
A corroborare l’attacco mediatico si è aggiunta immediatamente la politica, con Fratelli d’Italia in prima linea. Il partito di Giorgia Meloni ha chiesto chiarezza sulla vicenda, cavalcando l’onda della polemica per ragioni che poco hanno a che fare con la ricerca della verità e molto con la volontà di delegittimare un programma scomodo. Tra i protagonisti di questa richiesta troviamo Galeazzo Bignami, noto per le sue discutibili foto con simboli nazisti, e Maurizio Gasparri, veterano della politica italiana, noto per le sue posizioni fortemente conservatrici e per la sua insofferenza verso il giornalismo indipendente.
L’intervento di Fratelli d’Italia non è un episodio isolato, ma l’ennesimo tassello di una campagna orchestrata per creare un clima di sfiducia nei confronti di Report e di chi, come Giorgio Mottola, continua a svolgere il proprio lavoro con rigore e dedizione. La richiesta di chiarezza avanzata dal partito stride con il silenzio imbarazzato su come un verbale di un interrogatorio sia finito nelle mani di Luca Fazzo. Ma evidentemente, in questo gioco di specchi, alcune domande è meglio non porsene.
Sigfrido Ranucci ha risposto con fermezza, sottolineando come Report non abbia mai lavorato su dossier segreti o informazioni sottratte illegalmente, ma seguendo una metodologia giornalistica rigorosa e verificata. Le inchieste interne e gli audit aziendali hanno sempre confermato la trasparenza dell’operato della redazione. A differenza di chi accusa senza prove, Report ha sempre pubblicato le proprie notizie alla luce del sole, rendendo conto ai telespettatori e alla magistratura quando necessario.
Questa vicenda dimostra ancora una volta come il giornalismo investigativo sia una delle ultime difese contro la manipolazione dell’informazione. Ogni tentativo di delegittimare Report è, in realtà, un sintomo della sua efficacia nel mettere a nudo i meccanismi di potere e di corruzione che altri preferirebbero mantenere nascosti. E finché esisteranno giornalisti come Sigfrido Ranucci e Giorgio Mottola, nessuna campagna diffamatoria potrà spegnere la luce della verità.