Islam e Occidente: la scolastica di propaganda firmata Giardina, Sabbatucci e Vidotto

Il manuale scolastico di Giardina, Sabbatucci e Vidotto propone una visione semplificata di Islam e Occidente, tra propaganda, omissioni e pregiudizi consolidati.

di Alberto Piroddi

Nel capitolo 17, intitolato “Islam e Occidente”, di Lo spazio del tempo di Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (Laterza, 2016), tre storici che da decenni dominano la scena della manualistica scolastica italiana, ci si aspetterebbe un’analisi profonda e articolata. Invece, siamo di fronte a un affresco ideologico semplificato e tendenzioso, un esempio di come la storia possa essere plasmata per conformarsi a una narrazione a senso unico. Questi tre autori, da anni colonne portanti dei libri di testo nelle scuole superiori, hanno prodotto volumi adottati in larga parte degli istituti italiani. Una posizione di indiscusso prestigio e autorità che implica una responsabilità enorme: quella di formare le menti critiche dei cittadini di domani.

Eppure, in questo capitolo, l’approccio è quanto di più lontano da un’esposizione critica e pluralistica. Siamo di fronte a un esercizio di riduzionismo storico, dove il complesso rapporto tra Islam e Occidente viene distillato in una formula semplicistica e allineata alla narrazione atlantista. Non si tratta solo di un’occasione mancata di fare storia, ma di un vero e proprio tradimento della missione educativa.

Giardina, Sabbatucci e Vidotto non sono certo dei novellini nel panorama accademico italiano. Le loro opere, adottate da decenni, hanno modellato la visione storica di intere generazioni di studenti. Hanno raccontato il Novecento, le guerre mondiali, il fascismo e la Repubblica italiana con uno stile accessibile e una struttura chiara. Tuttavia, il prestigio non può diventare un lasciapassare per la semplificazione e la propaganda.

I manuali di storia dovrebbero fornire strumenti critici, non imporre visioni ideologiche preconfezionate. La scelta delle fonti, la selezione degli eventi, il linguaggio utilizzato: tutto contribuisce a formare una narrazione. E nel caso di questo capitolo, la narrazione è chiaramente sbilanciata. L’Islam viene ridotto a una minaccia monolitica, mentre l’Occidente assume i panni del civilizzatore benevolo. Una visione che strizza l’occhio a decenni di retorica colonialista e post-colonialista.

Ci si chiede come sia possibile che storici di tale esperienza possano scivolare in un’analisi così piatta e parziale. È forse il peso della tradizione? L’inerzia di una narrazione consolidata che dipinge l’Occidente come l’apice della civiltà e tutto ciò che è esterno come una minaccia latente? Oppure si tratta di una scelta deliberata, una concessione al clima politico e culturale di questi anni, dove il sospetto verso l’altro è diventato la norma?

Andrea Giardina è noto per i suoi studi sul mondo romano, Giovanni Sabbatucci per le sue analisi sul fascismo, e Vittorio Vidotto per le sue ricerche sulla storia contemporanea. Tre specialisti, tre competenze che dovrebbero garantire una trattazione equilibrata e approfondita. Eppure, in questo capitolo, sembra che le competenze siano state messe da parte per lasciare spazio a una narrazione superficiale e propagandistica.

Non stiamo parlando di un semplice errore accademico. I manuali scolastici hanno un potere immenso: quello di plasmare le menti dei giovani, di fornire loro gli strumenti per comprendere il mondo. Un manuale che presenta una visione distorta della realtà non sta solo facendo cattiva educazione, sta contribuendo a formare cittadini incapaci di pensare criticamente.

Un capitolo come questo non educa alla complessità, ma rafforza pregiudizi. Non spiega le cause profonde dei conflitti tra Islam e Occidente, ma offre una versione semplificata che legittima le guerre di aggressione e le politiche di esclusione.

Giardina, Sabbatucci e Vidotto costruiscono una narrazione in cui l’Islam è sempre associato al fondamentalismo e alla violenza. Si parla della crescita del jihadismo senza mai menzionare il ruolo delle potenze occidentali nel finanziarlo e sostenerlo, come accadde in Afghanistan negli anni ’80​. Si descrive l’immigrazione musulmana come una minaccia latente, senza mai spiegare le ragioni storiche e geopolitiche che hanno spinto milioni di persone a lasciare le loro terre.

La Palestina è ridotta a un conflitto tra israeliani civilizzati e palestinesi recalcitranti​. La guerra al terrorismo è presentata come una crociata giustificata, senza menzionare le violazioni dei diritti umani e le devastazioni causate dagli interventi occidentali.

La cosa più grave non è solo la semplificazione, ma l’omissione. Si omettono fatti cruciali, si evitano domande scomode. Perché non si parla del colonialismo occidentale nei paesi islamici? Perché non si menzionano i regimi autoritari sostenuti dalle democrazie occidentali? Perché si tace sulla radicalizzazione come risposta alla violenza e all’oppressione?

Queste omissioni non sono casuali. Sono il segno di una scelta deliberata di fornire una versione dei fatti che tranquillizzi e giustifichi. Una versione che evita di mettere in discussione le responsabilità dell’Occidente e dipinge l’Islam come un blocco arretrato e pericoloso.

Lo scontro di civiltà: la Favola di Huntington per bambini obbedienti

Già la premessa del capitolo ci trascina dentro una trappola ideologica ben congegnata. La fine della Guerra Fredda viene dipinta come il preludio di un nuovo conflitto mondiale, questa volta non più tra blocchi ideologici ma tra culture incompatibili. Samuel Huntington avrebbe gongolato nel leggere queste pagine, dove la sua teoria dello “scontro di civiltà” viene adottata acriticamente e senza esitazioni​.

Eppure, uno storico degno di questo nome dovrebbe chiedersi: chi ha reso possibile questa divisione manichea? Chi ha interesse a dipingere il mondo islamico come una massa informe e pericolosa, opposta a un Occidente luminoso e civilizzatore? La risposta è tanto evidente quanto assente nelle pagine del manuale. È un processo deliberato di creazione del nemico, iniziato ben prima dell’11 settembre e alimentato a suon di bombe intelligenti e guerre di liberazione.

L’intero mondo islamico viene descritto come una realtà omogenea, attraversata da fanatismi religiosi e regimi illiberali. Poco importa se la storia reale mostra una molteplicità di tradizioni culturali, di società secolari e di tentativi di modernizzazione soffocati proprio dagli interventi occidentali. La Siria di Assad, la Libia di Gheddafi, l’Iran dello Scià: esperimenti di modernizzazione laica che, con tutte le loro contraddizioni, sono stati spazzati via o destabilizzati proprio dagli stessi poteri che oggi predicano la democrazia a suon di missili.

Palestina: il manuale delle omissioni

Arriviamo alla questione palestinese, il banco di prova più eloquente per misurare l’onestà intellettuale di un testo. Qui il manuale scolastico dimostra tutta la sua natura propagandistica. La creazione dello Stato di Israele nel 1948 è trattata come un evento inevitabile, mentre l’esodo forzato dei palestinesi – la Nakba – è ridotto a un dettaglio scomodo. L’accordo di Oslo del 1993 tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat viene citato con il tono di chi annota un’inezia burocratica, mentre la colpa del fallimento del processo di pace è attribuita interamente alla “recrudescenza del terrorismo palestinese”​.

E delle continue violazioni del diritto internazionale da parte di Israele? Delle espansioni delle colonie illegali? Dell’occupazione militare permanente? Neanche l’ombra di una riflessione critica. Il messaggio è chiaro: Israele è il baluardo della civiltà in una regione arretrata e violenta. Una narrazione che risuona sinistramente con le parole di Golda Meir, la quale negava persino l’esistenza del popolo palestinese: “Non esiste un popolo palestinese. È stata la nostra terra per duemila anni”​.

La guerra al terrorismo: la violenza ha sempre due pesi e due misure

Il capitolo si addentra poi nella cosiddetta “guerra al terrorismo”, un altro tema affrontato con l’approssimazione di chi ha già deciso da che parte stare. L’11 settembre è l’evento spartiacque, il casus belli che giustifica ogni invasione, ogni bombardamento, ogni violazione dei diritti umani. La narrazione è così lineare da sembrare scritta sotto dettatura: il terrorismo è una piaga esclusivamente islamica, mentre le guerre occidentali sono missioni umanitarie, operazioni di polizia internazionale.

Il fatto che Osama bin Laden fosse un ex alleato degli Stati Uniti durante la guerra contro i sovietici in Afghanistan non viene menzionato. Come non si accenna al fatto che il caos e la radicalizzazione nei paesi islamici sono spesso il risultato diretto di interventi militari occidentali. Il manuale dimentica, o sceglie di dimenticare, che l’invasione dell’Iraq del 2003 ha prodotto l’ascesa dello Stato Islamico, che la distruzione della Libia ha spalancato le porte ai traffici di esseri umani e al terrorismo jihadista​.

È questa l’educazione che vogliamo per i nostri ragazzi? Un’educazione che spaccia per realtà storica una versione dei fatti modellata sulle esigenze geopolitiche delle potenze occidentali? Dove l’Occidente è sempre nel giusto e l’Islam è sempre dalla parte sbagliata della Storia?

Immigrazione e integrazione: la pedagogia del sospetto

L’ultimo tassello di questa narrazione tossica riguarda l’immigrazione. Il manuale associa subdolamente l’arrivo di migranti musulmani in Europa al rischio di radicalizzazione e terrorismo​. Una correlazione tanto insinuante quanto infondata. La maggioranza delle comunità islamiche in Europa vive pacificamente e contribuisce alla società nei modi più disparati, dai medici agli ingegneri, dagli insegnanti agli imprenditori. Eppure, il messaggio sottotraccia è che ogni immigrato musulmano è una bomba a orologeria.

Questo tipo di narrazione non educa alla convivenza, ma semina diffidenza e paura. È una pedagogia del sospetto, in cui il diverso è sempre una minaccia in potenza. E così si preparano le generazioni future non a comprendere il mondo, ma a temerlo. Non a costruire ponti, ma a innalzare muri.

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Il capitolo 17 di Lo spazio del tempo non è un’analisi storica, è un manifesto ideologico travestito da testo didattico. Gli studenti non imparano a comprendere le dinamiche complesse tra Islam e Occidente, ma vengono indottrinati con una versione distorta della realtà. Una versione che legittima le guerre di aggressione, giustifica le occupazioni militari e semina paura verso l’altro.

In un mondo in cui la verità storica è già sotto assedio da troppe parti, consegnare ai ragazzi strumenti di diseducazione civica è un crimine culturale. Un crimine che pagheremo caro, quando ci accorgeremo che abbiamo formato generazioni incapaci di pensare, e pronte solo a obbedire.

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