L’Europa, sempre più malata di guerra, è nelle mani di élite neoliberali che usano il centro-sinistra come paravento per raccogliere consensi. L’opposizione è un mosaico di frammenti incapace di unire le forze contro questa deriva bellicista. Serve un fronte comune, capace di riportare al centro giustizia sociale, beni comuni e diritti umani senza cedere alle tentazioni di un nostalgico sovranismo. Non si può buttare via la modernità, l’internazionalismo e la libertà individuale. L’unico orizzonte possibile è quello di un’Europa riformata, autonoma, che dialoghi con un mondo multipolare e non ceda alla retorica guerrafondaia delle élite.
* * *
di Elena Basile
Ho letto il 29 novembre sul Fatto Quotidiano l’articolo “Ue malata di guerra da Angela a Sahra” di Gad Lerner, che in un suo libro recente mi ha regalato una pagina di insulti, arrivando persino a considerarmi “untuosa”.
Poiché i conflitti personali sono lontani dal mio interesse e, anche se non esito a chiamare per nome i tanti “public opinionmaker” da Mieli a Panebianco a Mauro, l’intenzione è di confliggere con le loro idee e non certo con loro come persone che poco conosco. Leben in ideen (“vivere nel mondo delle idee”), come affermava il filosofo tedesco Humboldt, fa bene all’anima.
Riprendo quindi l’articolo di Lerner senza alcuna acrimonia, sottolineando come esso riesca a mettere il “dito nella piaga” e stimoli una riflessione che dovrebbe stare a cuore all’intellighentia e a tutti coloro che vorrebbero contrastare la deriva irrazionale, bellicistica dell’Europa.
Le élite neoliberali, neoliberiste e filoatlantiche riescono attraverso i moderati e il centro-sinistra a raggiungere la maggior parte dei consensi.
Sono forti di una tradizione che dalla rivoluzione francese in poi, detiene il patrimonio dei valori universalistici, la parte bella del nostro Occidente che si è tuttavia affiancata alla sua barbarie.
L’insieme di partiti e movimenti che costituiscono l’area del dissenso, sono particolarmente frammentati, annaspano, non riuscendo a condividere una cultura altrettanto forte e nobile. Il contrasto alla guerra in nome di una politica che riporti al centro la persona, votata quindi ai beni comuni materiali e spirituali delle masse, dalla sanità all’istruzione , alla ricerca e innovazione, alla reale libertà di espressione contro il monopolio dell’audience mainstream, al senso di comunità e di partecipazione democratica attraverso i corpi intermedi, è portato avanti da movimenti e partiti in maggioranza volti al passato, ai valori di nazione sovrana, tradizione, autorità, conservatorismo culturale.
Viene quindi rispolverata la tradizione di destra, anche come reazione all’estremismo libertario, al suo rifiuto delle distinzioni di genere, all’utilizzo del neutro nelle scuole e all’obbrobrio dei cambiamenti di sesso per i minori.
In molte occasioni mi è capitato di invitare pubblicamente i vari movimenti del dissenso all’unità, evitando i distinguo identitari, in quanto il potere che oggi accomuna l’estrema e la destra moderata nonché il centro-sinistra (di fatto la Democrazia cristiana del Pd, in cui la componente di sinistra mi sembra assai esigua) può trovare un argine solo in un’opposizione unitaria.
Mentre scrivo si svolge a Roma una manifestazione dei lavoratori, in grado di riunire Cgil e Uil e sindacati di base, movimenti per il disarmo, la politica dal Pd a Rifondazione, e ne sono felice. È essenziale il contrasto alla guerra in nome della giustizia sociale, di politiche statali che limitino la belva sfrenata del mercato capitalista, degli interessi delle oligarchie della finanza. Questa è la strada.
È necessaria tuttavia una riflessione che ci aiuti a rafforzare il patrimonio culturale e ideologico del dissenso. La modernità, i diritti umani, la libertà individuale, il multilateralismo, l’internazionalismo che sconfigge il gretto orizzonte nazionale, fanno parte dei nostri geni. Non vanno rinnegati per anacronistici ritorni a comunità rurali, alle piccole patrie. Non si può buttare il bambino con l’acqua sporca. Il nostro orizzonte è tragicamente europeo.
Il problema è come cambiare questa Unione europea, espressione burocratica delle élite guerrafondaie e riesumare il sogno socialdemocratico, le convergenze tra i popoli in nome di un bene comune, tra creditori e debitori, per i diritti umani senza doppi standard, per una migrazione integrata, per il commercio ed il mercato regolamentati, per aree regionali coese, per l’ uguaglianza di genere e la protezione delle minoranze omosessuali e transgender, non per la retorica aberrante odierna contro l’identità sessuale.
Molti movimenti, nella loro purezza politica, vorrebbero un’Italia fuori dalla Nato e dall’Europa neoliberista, da due organizzazioni che oggi sono complici dello sterminio di una generazione di ucraini e della pulizia etnica dei palestinesi. Capisco la purezza ma siamo costretti alla politica.
Enrico Berlinguer dichiarò di voler restare nella Nato non perché temesse l’invasione sovietica, ma per evitare il destino cileno, il colpo di Stato della Cia in Italia.
Il sogno di Edgar Morin di un’Europa neutrale, che dialoghi con gli altri poli dell’universo multipolare va perseguito costruendo l’autonomia strategica di una nuova Ue.
Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2024