Il declino americano e la crisi della visione globale secondo Emmanuel Todd

Emmanuel Todd analizza il declino degli USA come parte di una crisi occidentale, tra disuguaglianze, polarizzazione politica e perdita di influenza globale.

di Alberto Piroddi

Da decenni, il dibattito sul declino americano si rinnova, alimentato da analisi che spaziano tra la convinzione dell’inevitabilità di una fine imminente e la ferma negazione di un qualsiasi segno di cedimento. Emmanuel Todd, nel suo ultimo libro La sconfitta dell’Occidente [La Défaite de l’Occident], abbandona questi estremi per costruire un quadro complesso e articolato, nel quale la crisi degli Stati Uniti viene letta come parte di un fenomeno più ampio e stratificato, che coinvolge l’intero Occidente. La sua riflessione combina elementi economici, culturali, politici e militari per offrire una diagnosi profonda, dove il declino non è soltanto una questione di perdita di influenza globale, ma una trasformazione interna, strutturale e apparentemente inarrestabile.

Un impero senza visione e senza direzione

Per Todd, uno dei tratti più significativi della crisi americana risiede nella perdita di una visione unificante e di una direzione strategica chiara. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti avevano assunto il ruolo di guida del “mondo libero”, presentandosi come baluardo contro l’espansione del comunismo sovietico. Questo progetto, pur con i suoi limiti e contraddizioni, riusciva a offrire una narrativa potente e unificante, capace di mobilitare risorse e alleati intorno a un obiettivo comune. Oggi, quella coerenza ideologica sembra svanita, sostituita da un mosaico di interventi militari e diplomatici spesso incoerenti, che tradiscono l’assenza di un vero progetto globale.

L’egemonia culturale, una delle armi più potenti del soft power americano, sta mostrando segni di affievolimento. La cultura pop statunitense, per decenni esportata in ogni angolo del pianeta, non gode più del monopolio che aveva un tempo. Produzioni provenienti da altre regioni del mondo, come l’Asia orientale, hanno conquistato un pubblico globale, sfidando il dominio incontrastato di Hollywood e della musica americana. A ciò si aggiunge il progressivo svuotamento del mito del “sogno americano”, un ideale che, pur restando vivo nell’immaginario collettivo, si scontra con una realtà fatta di crescenti disuguaglianze economiche e opportunità sempre più limitate per le classi medio-basse.

Le crepe di una società frammentata

La società americana, che in passato si è presentata come un modello di integrazione e pluralismo culturale, appare oggi attraversata da fratture profonde che ne compromettono la coesione. Todd individua in queste divisioni una delle principali debolezze strutturali degli Stati Uniti. Da un lato, persistono le tensioni razziali, una piaga che affonda le sue radici nella storia del paese e che continua a generare disuguaglianze economiche e sociali. Dall’altro lato, la polarizzazione politica ha raggiunto livelli tali da paralizzare il sistema decisionale, trasformando il conflitto tra Democratici e Repubblicani in una guerra ideologica senza quartiere.

Questa radicalizzazione non si limita all’arena politica, ma investe anche la cultura e la società civile. Fenomeni come la cancel culture, che Todd interpreta come sintomo di una società incapace di affrontare i propri conflitti storici e contemporanei, hanno ulteriormente accentuato il senso di divisione. L’incapacità di trovare un equilibrio tra il bisogno di rinnovamento e il rispetto per il passato ha prodotto un contesto nel quale l’identità nazionale si frammenta, rendendo sempre più difficile costruire una narrativa condivisa che possa unire il paese.

Debolezze economiche mascherate dal dollaro

Nonostante il dominio economico degli Stati Uniti sembri apparentemente intatto, Todd mette in evidenza vulnerabilità che potrebbero minare alla base questa posizione. Il ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale continua a garantire agli Stati Uniti un potere economico straordinario, permettendo loro di finanziare il debito pubblico e mantenere un’economia basata sui consumi interni. Tuttavia, questa posizione privilegiata maschera un problema più profondo, legato alla deindustrializzazione e alla crescente dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali.

La delocalizzazione della produzione manifatturiera verso paesi come la Cina ha creato una vulnerabilità strategica significativa. Intere regioni degli Stati Uniti, come la Rust Belt, sono state devastate dalla chiusura delle fabbriche, privando milioni di persone della stabilità economica e alimentando il malcontento sociale. Questo fenomeno non ha solo impoverito le comunità locali, ma ha anche contribuito all’erosione della classe media, un tempo considerata il pilastro della democrazia americana.

Parallelamente, l’emergere di alternative al dollaro negli scambi internazionali, promosse da potenze come Cina e Russia, rappresenta una minaccia crescente. Se il dollaro dovesse perdere il suo ruolo centrale nell’economia globale, le conseguenze per gli Stati Uniti sarebbero devastanti, compromettendo la loro capacità di finanziare la spesa pubblica e sostenere il loro ruolo egemonico.

Supremazia militare sotto pressione

Todd non nega che gli Stati Uniti mantengano una posizione di forza sul piano militare, ma ne ridimensiona l’efficacia strategica. L’enorme spesa per la difesa, che supera quella di tutte le altre principali potenze messe insieme, non si traduce necessariamente in risultati concreti. Gli interventi in Afghanistan e Iraq hanno dimostrato i limiti dell’approccio americano ai conflitti prolungati, evidenziando l’incapacità di garantire stabilità a lungo termine.

Nel frattempo, la competizione con la Cina si è intensificata. Quest’ultima non solo ha incrementato i suoi investimenti nelle infrastrutture militari, ma ha anche fatto progressi significativi in settori strategici come l’intelligenza artificiale, le telecomunicazioni e le tecnologie spaziali. Sebbene gli Stati Uniti mantengano un vantaggio in alcuni ambiti, il divario si sta riducendo rapidamente, mettendo a rischio la loro posizione di supremazia.

Un modello morale ed etico in declino

Per Todd, la crisi degli Stati Uniti non è solo economica o militare, ma anche culturale e morale. Disuguaglianze crescenti, un sistema sanitario inaccessibile per molti e un’istruzione pubblica in declino sono tutti segnali di un sistema che sta mostrando segni di logoramento. L’aspettativa di vita, un indicatore fondamentale del benessere di una società, è in calo negli Stati Uniti, un’anomalia tra i paesi industrializzati che evidenzia la gravità della situazione.

A livello globale, l’immagine degli Stati Uniti come modello da seguire è in crisi. Sempre più paesi, soprattutto tra le potenze emergenti, percepiscono l’egemonia americana come un sistema che perpetua disuguaglianze e squilibri globali. Le scelte di politica estera, spesso aggressive, hanno alienato alleati e limitato la capacità degli Stati Uniti di costruire nuove coalizioni.

Declino o trasformazione?

Todd analizza il declino degli Stati Uniti cercando di esplorare non solo le cause profonde di questa crisi, ma anche le strade che potrebbero essere percorse per invertire questa tendenza. Al centro della sua riflessione emerge un interrogativo cruciale: gli Stati Uniti riusciranno a superare le contraddizioni interne che li affliggono e a trovare un nuovo equilibrio in un mondo sempre più multipolare? Le trasformazioni richieste per affrontare questa sfida sono di portata enorme e comprendono la necessità di ristrutturare l’economia per affrontare le disuguaglianze, ricostruire un senso di coesione nazionale e definire una narrativa globale capace di guidare il loro ruolo internazionale in un contesto che cambia rapidamente.

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