Israele: partner privilegiato e complicità italiane
La storia di Israele e dei suoi alleati si arricchisce di un nuovo capitolo, questa volta cucito su misura da marchi sportivi. Mentre l’Unione Europea e l’Italia continuano a chiudere un occhio sui crimini di guerra e il genocidio contro il popolo palestinese, il movimento Boycott, Divestment, and Sanctions (BDS) ottiene una vittoria significativa: Puma, dopo anni di pressioni globali, terminerà il suo contratto di sponsorizzazione con la Israel Football Association (IFA) il 31 dicembre 2024. Tuttavia, la gioia per il successo della campagna lascia presto spazio all’indignazione: al posto del colosso tedesco, entra in scena l’italiana Erreà, pronta a sponsorizzare una federazione sportiva che rappresenta uno stato genocida.
Dal 2018, 215 squadre sportive palestinesi avevano chiesto a Puma di interrompere il contratto con l’IFA, accusata di includere nei suoi campionati squadre provenienti da insediamenti illegali su terra palestinese rubata. Una campagna globale ha preso piede, con azioni che andavano dall’occupazione dei negozi Puma alla pressione sugli ambasciatori del marchio. Quando, a dicembre 2023, Puma ha annunciato che non avrebbe rinnovato il contratto con l’IFA, il movimento BDS ha esultato. Era la prova che il boicottaggio funziona: Puma, incapace di sostenere la crescente pressione internazionale, ha deciso di abbandonare una sponsorizzazione ormai tossica.
Ma ogni luce ha la sua ombra. Dal 1° gennaio 2025, sarà il marchio italiano Erreà a sponsorizzare l’IFA. Un contratto firmato solo nell’agosto 2024, che ha già suscitato polemiche: non solo il valore del nuovo accordo è ridotto del 40% rispetto a quello di Puma (60.000 euro contro i precedenti 100.000), ma la tempistica stessa rivela le difficoltà dell’IFA nel trovare un nuovo sponsor. Nessun marchio di rilievo internazionale ha voluto associare il proprio nome a una federazione che rappresenta uno stato accusato di genocidio e apartheid.
Per Erreà, l’accordo rappresenta un rischio enorme. Il BDS ha già annunciato che, se il contratto non sarà cancellato, lancerà una campagna di boicottaggio mirata contro il marchio italiano. Un disastro d’immagine in agguato per un’azienda che negli anni ha vestito con orgoglio squadre e atleti italiani e internazionali.
Mentre Puma si è piegata alla pressione etica, l’Italia si distingue ancora una volta per la sua ambiguità morale. Le istituzioni italiane, come il governo, non solo continuano a fare affari con Israele, ma restano silenziose anche di fronte a casi evidenti di complicità con crimini internazionali. È emblematico che un marchio italiano come Erreà, parte di un sistema economico che si professa rispettoso dei diritti umani, decida di collaborare con un’entità legata a un regime accusato di genocidio.
L’Unione Europea, dal canto suo, si conferma il teatro dell’assurdo: mentre si vantava del 16° pacchetto di sanzioni contro la Russia per “violazioni dei diritti umani,” nulla viene fatto per punire Israele. Anzi, le sue innovazioni belliche, testate sui corpi dei palestinesi, continuano a essere importate e celebrate.
La campagna contro Puma dimostra che la pressione funziona. Ma non basta. Ora è necessario fare altrettanto con Erreà, un marchio che rischia di legare il proprio nome a un genocidio. Il BDS ha già lanciato l’allarme: ogni giorno che passa senza la rescissione di questo contratto è un giorno di complicità con un regime genocida.