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Giorgia Meloni e l’arte della propaganda: il nulla cosmico travestito da sovranismo

Giorgia Meloni, tra slogan vuoti e servilismo verso poteri esteri, governa con retorica patriottica ma poca sostanza, lasciando l'Italia in balia del nulla.

di Alberto Piroddi

Non c’è che dire: Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio e regina incontrastata dell’autoreferenzialità, è riuscita a trasformare il nulla cosmico in un’arte governativa. Con il suo lessico trito, fatto di slogan patriottici e citazioni pseudo-storiche, sembra uscita da una pubblicità del Ventennio, ma con un budget da influencer di medio livello. Eppure, nonostante la retorica roboante e la posa da paladina del popolo, ciò che emerge è una figura priva di sostanza, che oscilla tra il servilismo verso Washington e Bruxelles e il paternalismo verso quel popolo che pretende di rappresentare.

Meloni si definisce sovranista, ma è un sovranismo curioso, quello che si inginocchia di fronte agli Stati Uniti e si fa schiacciare dall’Europa. Si indigna contro i burocrati di Bruxelles, salvo poi firmare qualunque cosa le venga messa davanti, come i piani di riarmo, le politiche migratorie che scaricano l’intera gestione sui paesi di frontiera (spoiler: noi), e il caro vecchio Patto di Stabilità, che ha giurato di voler riscrivere per poi accettarne una versione ancora più indigesta.

Ma non basta: da buona sovranista, ha dimostrato un’abilità sorprendente nel servire interessi altrui. Dalla sottomissione a Tel Aviv, che guarda caso non riceve mai una critica per le sue politiche in Palestina, alla fedeltà incondizionata alla NATO, con un Ministro della Difesa che sembra più un rappresentante di vendita di Lockheed Martin che un responsabile della sicurezza nazionale.

Se c’è una cosa che Meloni sa fare bene, è vendere il mito della difesa dei “deboli”. Tassisti, balneari, piccoli evasori fiscali: sono loro i destinatari delle sue attenzioni, almeno a parole. Ma quando si passa dalle parole ai fatti, l’unico risultato tangibile è il solito: una politica che favorisce i forti, i potenti, le multinazionali e le lobby. D’altra parte, servire gli interessi della gente comune è complicato, mentre fare promesse vuote per guadagnare consenso è molto più redditizio.

E così, mentre la Meloni stringe mani con i grandi della terra e fa inchini davanti ai potenti, in Italia il salario minimo resta un miraggio, i diritti dei lavoratori vengono erosi e i giovani continuano a fuggire all’estero. Ma tranquilli, ci pensa il “Made in Italy” a risollevarci, con le sue crociate contro il Nutri-Score e altre battaglie di cui non sentivamo la mancanza.

Meloni si presenta come la dura e pura sulla questione migratoria. Blocchi navali, pugno di ferro, lotta ai trafficanti: tutto molto scenografico, se non fosse che nel frattempo le coste italiane continuano a registrare numeri record di sbarchi. Non che questo le impedisca di recitare lo stesso copione, ogni volta più stanco: “La colpa è della sinistra, delle ONG, dell’Europa cattiva.” Peccato che nel frattempo i suoi decreti sulla sicurezza si traducano solo in caos amministrativo e in un peggioramento delle condizioni di vita per i migranti e per chi cerca di aiutarli.

In un paese in cui sanità e istruzione soffrono tagli cronici, il governo Meloni ha trovato il modo di spendere miliardi: armi, armi e ancora armi. Perché, si sa, non c’è niente di più sovranista che comprare missili dagli americani e mandarli in giro per il mondo. E se qualcuno osa criticare, viene subito bollato come “amico di Putin” o “nemico dell’Occidente”. Nel frattempo, però, gli italiani faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, ma Meloni li tranquillizza con un discorso infarcito di parole come “sovranità”, “patria” e “identità”. Un po’ come dare un volantino della propaganda fascista a qualcuno che chiede pane.

Meloni ama definirsi una leader autentica, vicina al popolo, ma le sue azioni raccontano un’altra storia. Le sue conferenze stampa sono simili a uno show dell’Istituto Luce, con giornalisti selezionati e domande rigorosamente concordate. Il confronto? Roba d’altri tempi. Meglio un monologo ben studiato, che non rischia di mettere in evidenza le contraddizioni di un governo che naviga a vista, tra slogan vuoti e incapacità croniche.

E così, mentre Giorgia si ostina a parlare di futuro, il paese è intrappolato nel passato. Un passato fatto di retorica autoritaria, promesse non mantenute e una classe politica sempre più distante dai problemi reali dei cittadini. Il tutto, ovviamente, accompagnato dall’applauso di chi continua a credere al suo teatrino, magari ignorando che, dietro la cortina di fumo, c’è il vuoto.

Giorgia Meloni non è solo un problema politico; è un simbolo di un’Italia che non riesce a liberarsi delle sue contraddizioni. Un’Italia che applaude chi urla più forte, chi alza i toni, chi si presenta come “l’anti-sistema” per poi finire col diventare il sistema stesso. Il tutto, ovviamente, sulla pelle degli italiani. Ma finché ci saranno gli applausi, Meloni continuerà a recitare la sua parte. Perché in fondo, per lei, la politica è questo: uno spettacolo. Peccato che gli spettatori siano sempre più affamati. E non di retorica.

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