La vera storia di Giovanna di Castiglia prigioniera e non pazza

Giovanna di Castiglia fu etichettata come "pazza" per motivi politici. Colta e combattiva, fu confinata dai familiari per mantenere il potere nelle mani maschili.

di Alberto Piroddi

Iniziare a raccontare la storia di Giovanna di Castiglia è come sfogliare le pagine di un racconto gotico che ci parla più del nostro mondo che del suo. Giovanna, spesso ricordata con l’epiteto ingiusto di “la Pazza”, fu una figura drammatica e tragica della storia europea, non perché fosse realmente folle, ma perché venne etichettata tale da una serie di uomini—il marito, il padre, e, infine, il figlio—interessati a relegarla in una posizione di silenzio forzato. Ma era davvero pazza? Come la storia ci ricorda, probabilmente no.

Giovanna nacque il 6 novembre 1479 a Toledo, figlia di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, i sovrani cattolici che segnarono l’inizio della potenza spagnola moderna. Si trovò a dover interpretare il ruolo di pedina matrimoniale, un destino che per secoli ha visto le principesse sacrificate sull’altare della politica. A soli sedici anni venne data in sposa a Filippo d’Asburgo, detto “il Bello”, figlio di Massimiliano I d’Asburgo e di Maria di Borgogna. Il soprannome del marito appare, nella sua ironia, quasi sinistro: secondo i ritratti contemporanei, Filippo era tutt’altro che bello, e ancor meno affettuoso. Uomo ambizioso e noto per le sue infedeltà, Filippo cercò di tenere Giovanna in una posizione subordinata e quasi decorativa, tipica delle consorti di corte.

La storia di Giovanna inizia a intrecciarsi con una tragedia di abusi emotivi. Filippo sfogava il suo bisogno di conquista non solo sui campi di battaglia, ma anche tra le dame di corte, trattando Giovanna con una fredda indifferenza e una crudele irriverenza. Giovanna, come testimoniano le cronache, non sopportava questo disprezzo. Rivendicava, con una rabbia comprensibile, il rispetto che le spettava non solo come donna, ma come regina e come moglie. La sua dignità femminile si scontrava con una corte che non solo tollerava, ma favoriva una serie di soprusi psicologici che lei percepiva come una negazione dei suoi diritti fondamentali. Ed è qui che la parola “pazza” inizia a insinuarsi nelle cronache e nei rapporti politici dell’epoca.

In verità, “pazza” è un’etichetta spesso impiegata per definire il dissenso femminile. Giovanna non era pazza; piuttosto, la sua “follia” era una costruzione artificiale, un comodo artificio per delegittimare la sua pretesa al trono di Castiglia. Quando Filippo morì, lasciandola vedova e madre, Giovanna rivendicò il diritto di governare come erede legittima. Tuttavia, suo padre Ferdinando d’Aragona, già Re di Sicilia e d’Aragona, aveva altri piani. Temendo che il potere di Castiglia scivolasse definitivamente nelle mani di una donna, Ferdinando dichiarò che Giovanna fosse incapace di governare a causa della sua “instabilità mentale” e la confinò in un convento.

Le testimonianze dell’epoca ci parlano di una donna colta e sofisticata: Giovanna padroneggiava il latino e si dilettava nella poesia, attività che richiedevano capacità di ragionamento e sensibilità, caratteristiche che la presunta pazzia avrebbe dovuto compromettere. La sua passione letteraria emerge come segno di un’intelligenza che, in altre circostanze, sarebbe stata motivo di vanto, ma che, per lei, si trasformò in una condanna.

Giovanna venne visitata, anni dopo, dal figlio Carlo, che sarebbe divenuto il famoso Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero. Secondo le cronache ufficiali, Giovanna avrebbe “ceduto graziosamente” il potere al figlio, un gesto che gli storiografi di corte descrivono come una dimostrazione della sua incapacità di governare. In realtà, le fonti più indipendenti suggeriscono che Giovanna fu costretta a firmare, privata di ogni supporto e lasciata in una prigione dorata. Il fatto che Carlo abbia perpetuato la narrazione della “follia” di Giovanna testimonia la complicità di tutta una classe dirigente, interessata a mantenere il potere nelle mani degli uomini della dinastia Asburgo.

La “pazzia” di Giovanna, in effetti, sembra essere stata costruita a tavolino: un’astuzia politica per mantenere salda una concezione del potere esclusivamente maschile. La sua vicenda, dunque, non è solo la storia di una regina incarcerata dai suoi stessi cari, ma una testimonianza amara del modo in cui le donne potenti, nel passato come nel presente, vengono ridotte al silenzio con ogni mezzo disponibile. Non era nuova, né unica, questa strategia di delegittimazione. Altri personaggi storici, come Elisabetta di Baviera, detta Sissi, e la stessa Maria Stuarda, subirono una simile opera di demolizione morale, volta a negare loro una vera voce pubblica.

La storia ufficiale ha tramandato il nome di Giovanna come “la Pazza”, ma è un’etichetta che appare, oggi, non solo ingiusta ma grottesca. Se fosse possibile parlare con lei, Giovanna, probabilmente, direbbe ciò che la storica femminista Gerda Lerner scrisse secoli più tardi: “La storia ha troppo a lungo considerato le donne come pedine e non come partecipanti attive”. Giovanna non fu una pazza; fu una donna di potere che volle farsi ascoltare, e che, per questo, venne ridotta al silenzio e alla prigionia.

Questa vicenda ci ricorda che le parole “pazza” o “isterica” sono, troppo spesso, il primo grido d’accusa contro le donne che osano sfidare l’ordine costituito. Giovanna di Castiglia, come tanti altri esempi di figure femminili relegate al silenzio, non ci dice solo qualcosa del passato, ma anche di noi stessi, e delle strutture di potere che ancora dominano il nostro presente. Per secoli, uomini di potere hanno etichettato come “folle” o “isterica” ogni voce femminile che, in qualche modo, rappresentava un rischio per il loro dominio. Giovanna di Castiglia è solo uno dei tanti esempi di questa lunga lista di vittime del patriarcato istituzionalizzato.

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