Emanuele Severino propone una filosofia radicale che sostiene l’eternità dell’essere, rifiutando la nozione di divenire come illusoria. Riprendendo il pensiero di Parmenide, Severino afferma che tutto ciò che esiste è eterno e immutabile, e critica la tradizione filosofica occidentale, da Platone e Aristotele alla scienza moderna, per aver introdotto l’idea di un mondo in continuo cambiamento. Questa visione ha suscitato dibattiti accesi, con critiche che la considerano un atto di fede simile alla teologia, mentre altri la vedono come una sfida alla metafisica tradizionale e alle scienze contemporanee. Severino, respingendo sia il pensiero religioso che il paradigma scientifico, afferma che solo l’essere, in quanto tale, è reale, lasciando il divenire e la corruzione come mere apparenze.
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di Lorenzo Verani
La questione della natura dell’essere, del nulla e del divenire è un tema centrale che ha attraversato tutta la storia del pensiero occidentale, portando a infinite interpretazioni e contrapposizioni. Su questo terreno complesso e affascinante si inserisce il contributo di Emanuele Severino, uno dei filosofi italiani più influenti del XX secolo. Severino propone un ritorno radicale al parmenidismo, sostenendo che tutto ciò che esiste è eterno, e che il divenire, così come lo percepiamo, è in realtà un’illusione. Questa visione ha generato un ampio dibattito tra filosofi, scienziati e pensatori di varia estrazione, sollevando questioni che coinvolgono non solo la metafisica, ma anche le scienze moderne e la teologia.
Severino parte dall’idea che l’essere, in quanto tale, non può mutare, diventare nulla o essere annullato. La sua visione affonda le radici nel pensiero di Parmenide, il quale affermava che “l’essere è e non può non essere”. L’intera tradizione filosofica occidentale, a partire da Platone e Aristotele, secondo Severino, ha commesso un grave errore nel separare l’essere dal divenire, concependo l’essere come qualcosa che può mutare o venire a mancare. Questa frattura, per Severino, ha portato a una visione distorta della realtà, che presuppone un mondo in costante cambiamento, mentre in realtà tutto ciò che è, è eterno. L’essere non si trasforma, non nasce e non muore, ma è solo la nostra percezione che ci induce a pensare il contrario.
Una delle critiche più frequenti rivolte a Severino riguarda il carattere fideistico della sua concezione. Il suo pensiero viene spesso accusato di poggiare su un atto di fede, simile a quello che si attribuisce a una dottrina religiosa. Questa critica è particolarmente evidente quando si confronta il pensiero severiniano con la tradizione tomista. La metafisica tomista, infatti, distingue nettamente tra l’essere di Dio, che è eterno, e l’essere del mondo, che è contingente e soggetto al divenire. Secondo questa visione, il mondo materiale partecipa dell’essere divino, ma non è esso stesso eterno: tutto ciò che è creato è destinato a corrompersi e a morire. Questa distinzione è fondamentale per comprendere il senso della finitudine e della contingenza nella filosofia cristiana, dove la creazione e la caducità del mondo sono segni della condizione umana, della sua miseria e della sua grandezza.
Severino, tuttavia, rifiuta categoricamente questa distinzione. Per lui, l’essere è tutto ciò che esiste, e non può mai trasformarsi in nulla. Il divenire, secondo questa prospettiva, è solo un’illusione generata dalle categorie che noi applichiamo alla realtà. Non c’è nascita, né morte, né corruzione: ciò che appare come un cambiamento è semplicemente una manifestazione temporanea dell’essere eterno. Di fronte a questa visione, la critica tomista appare meno incisiva, poiché si basa su una concezione dell’essere che Severino respinge alla radice. Il divenire non è reale, e la finitudine del mondo non è altro che un travisamento della vera natura dell’essere.
Questo contrasto tra Severino e la tradizione aristotelico-tomista si fonda su una diversa concezione del tempo e del mutamento. Mentre Aristotele introduce la nozione di atto e potenza per spiegare il divenire, Severino nega che queste categorie abbiano una validità ontologica. L’essere è pienamente presente in ogni sua manifestazione, e non c’è spazio per una trasformazione o un passaggio dal nulla all’essere. Questa visione, tuttavia, solleva importanti questioni epistemologiche e ontologiche, in quanto implica che ciò che noi percepiamo come cambiamento sia in realtà un’illusione. Ma può questa posizione essere sostenuta senza cadere in una contraddizione interna? Se tutto ciò che appare è eterno, come possiamo spiegare la nostra esperienza del tempo e del mutamento?
Alcuni hanno avanzato l’idea che la filosofia di Severino possa essere interpretata come una forma estrema di idealismo, in cui la realtà è ridotta a una serie di apparenze. Tuttavia, Severino rifiuta anche questa interpretazione, poiché per lui l’essere non è un costrutto della mente umana, ma una realtà immutabile e oggettiva. In questa prospettiva, la scienza moderna, con le sue teorie sul mutamento e sulla trasformazione dell’universo, appare come una forma di pensiero erronea, fondata sulla presunzione che il divenire sia reale. Anche se la fisica quantistica e la cosmologia contemporanea possono introdurre nuove questioni sulla natura dell’essere, Severino nega che queste discipline possano alterare la verità fondamentale che l’essere è eterno e immutabile.
Questo rifiuto del divenire si scontra con la concezione comune della realtà, che vede il mondo come un luogo di cambiamento continuo. Ogni giorno assistiamo alla nascita e alla morte, alla crescita e alla decadenza, e la scienza stessa ci insegna che l’universo è in continua espansione e trasformazione. Ma per Severino, questa visione è il frutto di un errore fondamentale, che ha radici nella tradizione filosofica occidentale. Secondo lui, è solo attraverso un ritorno alla verità parmenidea che possiamo superare questa falsa concezione e comprendere la vera natura dell’essere.
Le critiche alla visione di Severino non si limitano alla sfera metafisica, ma toccano anche la dimensione pratica della vita umana. Se tutto ciò che esiste è eterno, allora che senso ha parlare di morte o di corruzione? Il pensiero religioso, in particolare il cristianesimo, si fonda sull’idea che la vita umana sia finita e che il destino dell’uomo si giochi nel rapporto con un Dio trascendente. Ma per Severino, la morte non è che un’apparenza, e non vi è alcuna necessità di un Dio creatore che dia senso alla vita. In questo senso, la sua filosofia si pone in netta opposizione non solo alla metafisica tomista, ma anche alla teologia cristiana, che vede nella caducità del mondo una prova della sua dipendenza da un essere trascendente.
Una delle questioni più interessanti sollevate dal pensiero di Severino riguarda la relazione tra filosofia e scienza. Alcuni studiosi suggeriscono che la filosofia dovrebbe confrontarsi con le scoperte della fisica moderna, in particolare con la teoria quantistica e la cosmologia. La fisica quantistica, con le sue nozioni di vuoto quantistico e fluttuazioni, sembra mettere in crisi le tradizionali categorie metafisiche di essere e nulla. Tuttavia, Severino respinge anche queste teorie, poiché esse si fondano sulla concezione del mutamento, che egli considera erronea. Per Severino, la scienza moderna non può penetrare la verità dell’essere, poiché parte da presupposti sbagliati: l’idea che l’essere possa trasformarsi, che il nulla possa esistere in qualche modo, e che il mondo sia in costante divenire.
Un’altra linea di critica al pensiero di Severino riguarda la sua interpretazione riduttiva del pensiero di Parmenide. Alcuni filosofi sostengono che Severino non abbia compreso appieno la complessità del pensiero parmenideo, riducendolo a una semplice affermazione logica sull’essere. In questa prospettiva, Parmenide non era un semplice logico, ma un “maestro di verità”, il cui pensiero trascende le categorie del discorso razionale. Questa critica, tuttavia, si scontra con la visione severiniana dell’essere come una realtà accessibile alla ragione, e non come un mistero ineffabile. Per Severino, il pensiero non può separarsi dall’essere, e qualsiasi tentativo di ridurre l’essere a una sfera mistica o irrazionale è destinato al fallimento.
Severino, dunque, non solo respinge il divenire, ma nega anche la possibilità di una separazione tra essere e pensiero. L’essere è pensiero, e il pensiero è sempre pensiero dell’essere. Questo aspetto del suo pensiero lo colloca in continuità con una lunga tradizione filosofica che va da Parmenide a Heidegger, ma lo distingue da altre forme di idealismo o misticismo. In questa prospettiva, il pensiero stesso è eterno, così come l’essere che esso riflette.
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Il pensiero di Emanuele Severino rappresenta una sfida radicale alla nostra comprensione della realtà. La sua affermazione che tutto ciò che esiste è eterno ribalta la visione comune del mondo come luogo di cambiamento e corruzione. Questa visione ha sollevato critiche sia da parte della metafisica classica, che difende la distinzione tra essere e divenire, sia da parte della scienza moderna, che vede l’universo come un luogo di trasformazione continua. Tuttavia, Severino ci invita a ripensare profondamente il nostro rapporto con l’essere e a mettere in discussione le nostre presunzioni più radicate. Se accettiamo la sua tesi, dobbiamo riconsiderare non solo la nostra comprensione della realtà, ma anche il senso della vita, della morte e della nostra stessa esistenza.