di Dino Buzzati
Da Genova, Marina Ravano, 10 anni, mi scrive: «Perché i grandi, quando dicono “forse” vogliono dire “mai?”».
Hai ragione, cara Marina. Anch’io ricordo la mortificazione, la rabbia, l’esasperazione che mi prendevano, da bambino, quando a una richiesta, che giudicavo più che legittima, mi sentivo rispondere: «Vedremo, forse, ci penseremo». In un certo senso mi sembrava peggio che se mi avessero detto un bel «no» deciso. Si trattava, per lo più, di piccole cose, ma per me importantissime: non so, poter andare a giocare in casa di un compagno di scuola, poter comperare un foglio di certi soldatini con i gradi dorati (a quei tempi lontani erano di gran moda tra i bambini, più ancora dei francobolli, e servivano come moneta di scambio), poter andare a vedere un certo film di selvaggi.
Quando si è piccoli, i desideri sono spesso improvvisi e violentissimi. Si ha la convinzione che il dover rinunciare ci farebbe terribilmente infelici. E la pazienza è una virtù ancora del tutto sconosciuta. Perciò l’indecisione sulla nostra sorte, l’essere costretti ad aspettare, riesce insopportabile, doloroso, umiliante, peggio di un castigo. Perciò quel «forse», quel «vedremo», quel «ci penseremo» ha un suono così odioso.
E allora perché i grandi — mi domandavo io allora e adesso ti domandi tu — ricorrono a questo sistema così antipatico?
Il motivo, probabilmente, è questo: non è che i grandi siano cattivi, o poco intelligenti, o per incomprensione non prendano sul serio i tuoi desideri. Il fatto è che ricordano le trepidazioni, le pene, i pianti di quando erano piccoli anche loro. E ricordano pure l’irritazione, il cruccio, il risentimento che li prendeva al sentirsi rispondere «forse, vedremo, ci penseremo». (Il mondo infatti, nel corso della loro vita, è molto cambiato, adesso c’è una quantità di nuove macchine, di nuove invenzioni, di nuovi problemi, di nuovi costumi che solo trent’anni fa manco si sarebbero immaginati; invece il cuore dell’uomo, e il cuore del bambino, no, non è cambiato, e si rallegra, o soffre, esattamente come cento, duecento, mille anni fa.)
Ma i grandi ricordano ancor più la desolazione, il senso di vuoto, lo smarrimento, le lacrime disperate di quando i loro genitori, o nonni, o parenti anziani, a cui avevano chiesto una cosa, rispondevano subito con un risoluto «no». E alle volte non era facile, o addirittura non era possibile, spiegare al bambino, o alla bambina, il motivo del rifiuto. E allora, se si chiedevano giustificazioni, la replica era secca e perentoria, come nella canzone oggi di moda: «perché di no», il che era peggio di tutto.
Motivo per cui i grandi pensano: sappiamo benissimo che il «forse», il «vedremo», il «ci penseremo» darà alla piccola Marina un dispiacere, però anche per lei sarà sempre meglio che un «no» categorico. Tanto più che nei bambini i desideri sono violentissimi, e le mortificazioni penosissime, però in compenso hanno breve durata. Perché dunque farti disperare con un netto rifiuto (quando la cosa non è possibile)? Il «forse» è una via di mezzo, che ti lascerà col broncio ma non ti farà scoppiare in singhiozzi. E domani stesso, macché domani, tra un paio d’ore, è molto probabile che tu non ci pensi più.
Conclusione: ciò che tu dici è vero, cara Marina. Il «forse» dei grandi, molto spesso, se non sempre, significa «mai». È una specie di menzogna, dunque, si potrebbe definire anche ipocrisia, però dettata solamente da bontà. Anche tu del resto, quando sarai mamma, e la tua bambina ti chiederà una cosa che ti sembrerà sbagliata, per non farla troppo soffrire anche tu risponderai: «Forse, vedremo, ci penseremo»; pur ricordandoti di aver mandato, tanti anni prima, una certa lettera al Corriere dei Piccoli.
Tratto da Il Corriere dei Piccoli
Tra il marzo del 1968 e l’aprile del 1969 Dino Buzzati tenne sul Corriere dei Piccoli una rubrica intitolata I perché di Buzzati, nella quale rispondeva alle domande dei bambini sulla vita e sulla attualità. 22 risposte a 22 domande raccolte ora in un libro, I perché. Le risposte alle lettere dei bambini sul “Corriere dei Piccoli”, Dino Buzzati, a cura di Lorenzo Viganò, Silvia Bonanni (illustrazioni), Electa Junior, 2018.