di Alberto Piroddi
La Sardegna si trova oggi al centro di una battaglia cruciale per il suo futuro, che riguarda non solo il passaggio alle energie rinnovabili, ma anche il controllo delle sue risorse e la protezione del territorio dalla speculazione energetica. La gestione della transizione energetica da parte del governo regionale guidato da Alessandra Todde è stata caratterizzata dall’approvazione della legge 5/24 e dall’introduzione di una moratoria di 18 mesi sulla realizzazione di nuovi impianti energetici. Tuttavia, questa decisione ha suscitato un acceso dibattito sia a livello locale che nazionale, sfociando in un confronto giuridico con il governo centrale. Al cuore di questa discussione c’è la volontà della Sardegna di affermare la propria sovranità energetica e di proteggere il proprio territorio da speculazioni legate all’installazione di grandi impianti di energie rinnovabili.
Il Decreto Draghi: un freno all’autodeterminazione energetica?
Il Decreto Draghi*, approvato durante il governo dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, ha introdotto una serie di norme per facilitare l’esproprio di terreni agricoli per la costruzione di impianti energetici, considerando la transizione energetica un interesse nazionale. La Sardegna, che da tempo cerca di affermare una propria autonomia decisionale, si è trovata in una posizione difficile. Questo decreto, infatti, consente alle aziende multinazionali di ottenere l’autorizzazione per la costruzione di impianti di energia rinnovabile con procedure accelerate, senza che le comunità locali abbiano un reale potere decisionale.
Il decreto ha suscitato un profondo senso di frustrazione in Sardegna, dove si teme che l’isola venga trattata come un semplice “serbatoio energetico” per il continente, senza che vi sia una reale redistribuzione dei benefici economici e ambientali tra i sardi. Il decreto ha inoltre alimentato il timore di una speculazione senza precedenti, con la possibilità che le risorse naturali dell’isola vengano sfruttate senza alcun riguardo per il territorio o le esigenze della popolazione.
Il Decreto Draghi è diventato il simbolo del conflitto tra autonomia locale e interesse nazionale, mettendo in discussione il diritto della Sardegna di decidere sul proprio modello energetico. La risposta a questo quadro giuridico è stata la forte reazione della giunta regionale sarda, che ha adottato una linea di difesa chiara con l’introduzione della moratoria inclusa nella legge 5/24.
La legge 5/24 e la moratoria: difendere il territorio dalla speculazione
L’approvazione della legge 5/24 da parte del governo regionale sardo nel luglio 2024 è stata una mossa audace, volta a bloccare temporaneamente la realizzazione di nuovi impianti di energie rinnovabili in aree sensibili. La moratoria di 18 mesi prevede infatti una sospensione delle autorizzazioni per la costruzione di impianti energetici, in attesa di una pianificazione territoriale più adeguata, che tenga conto delle esigenze locali e delle peculiarità del territorio sardo.
Il provvedimento è nato in risposta all’invasione di progetti di mega impianti eolici e fotovoltaici da parte di multinazionali straniere, che hanno presentato richieste per la costruzione di infrastrutture in diverse parti dell’isola, in particolare nelle zone rurali e costiere. Questi progetti, secondo i comitati locali, rischiano di danneggiare irreversibilmente l’ambiente e il paesaggio sardo, compromettendo settori chiave come il turismo e l’agricoltura.
Il governo regionale ha sottolineato che la moratoria non rappresenta una resistenza alla transizione energetica in sé, ma piuttosto un tentativo di assicurare che questa avvenga in modo sostenibile e che i benefici economici e ambientali ricadano sulle comunità locali. La presidente della Regione, Alessandra Todde, ha chiarito che il modello energetico sardo deve basarsi su un mix equilibrato di energie rinnovabili, che metta al centro le necessità del territorio e che eviti il rischio di speculazione da parte di attori esterni.
Il caso Gonnesa: una vittoria simbolica contro la speculazione
Un esempio concreto dell’efficacia della moratoria è stato il caso Gonnesa, una località nel Sulcis iglesiente dove era stato pianificato un vasto parco fotovoltaico. Grazie all’applicazione della legge 5/24, il Tar Sardegna ha bloccato la realizzazione del progetto, ritenendo che l’area non fosse idonea per ospitare un impianto di tali dimensioni. La sentenza ha rappresentato una vittoria significativa per il governo regionale, dimostrando che la moratoria può essere uno strumento efficace per proteggere il territorio dalle speculazioni.
La decisione del Tar si è basata sul principio di tutela delle aree sensibili, stabilendo che la realizzazione di impianti energetici in determinate zone non è compatibile con la salvaguardia del paesaggio e delle risorse naturali locali. Questo pronunciamento ha rafforzato la posizione del governo sardo, dimostrando che la legge 5/24 è in grado di bloccare i progetti speculativi che non rispettano i criteri di sostenibilità ambientale e sociale.
Il ruolo della Corte Costituzionale: un conflitto aperto
Nonostante il successo ottenuto con la sentenza del Tar, il governo italiano ha impugnato la moratoria davanti alla Corte Costituzionale, sostenendo che essa rappresenti un ostacolo agli obiettivi nazionali di transizione energetica e violi il principio dell’interesse nazionale. Questo conflitto giuridico riflette una tensione più profonda tra lo Stato centrale e la Sardegna, che rivendica il diritto di gestire autonomamente le proprie risorse energetiche.
La Corte Costituzionale, in un primo momento, ha rigettato la richiesta del governo di sospendere la moratoria, permettendo che il provvedimento rimanga in vigore fino alla discussione del merito, fissata per l’11 dicembre 2024. Questo rigetto è stato accolto come una vittoria temporanea per la giunta Todde, che ha potuto continuare a respingere i progetti speculativi, come accaduto a Gonnesa. Tuttavia, la vera sfida si giocherà sul merito del provvedimento, e il futuro della transizione energetica in Sardegna dipenderà in larga parte dalla decisione della Corte.
Il nodo centrale di questa battaglia giuridica riguarda il diritto della Sardegna di decidere autonomamente come gestire la propria transizione energetica. Il governo regionale ha sottolineato che, senza una pianificazione adeguata, l’isola rischia di diventare una semplice piattaforma energetica per il continente, con impianti gestiti da multinazionali e benefici che finiscono altrove.
La legge Pratobello 24: il ruolo dei comitati locali
Nel più ampio contesto della lotta contro la speculazione energetica, un ruolo cruciale è stato svolto dai comitati locali, che da anni si battono per un modello di sviluppo più equo e sostenibile. La legge Pratobello 24, ispirata alla storica rivolta di Orgosolo del 1969, rappresenta uno degli strumenti principali attraverso i quali i comitati cercano di limitare la costruzione di grandi impianti energetici che potrebbero danneggiare il paesaggio e le comunità locali.
Questa legge propone un approccio che privilegia l’autosufficienza energetica locale e l’autodeterminazione delle comunità sarde, puntando sulla creazione di comunità energetiche in cui i cittadini possano partecipare attivamente alla produzione e gestione dell’energia. L’obiettivo è garantire che la Sardegna possa trarre benefici reali dalla transizione energetica, evitando che il controllo delle risorse finisca nelle mani di attori esterni.
Tuttavia, la legge Pratobello 24 ha suscitato non poche polemiche. Alcuni settori industriali e politici hanno criticato il provvedimento, ritenendo che esso possa rallentare la transizione energetica e ostacolare lo sviluppo di nuove infrastrutture. Secondo i detrattori, un atteggiamento troppo restrittivo rischia di bloccare investimenti cruciali per il futuro dell’isola.
Le comunità energetiche: un modello di sviluppo sostenibile
Uno degli elementi più innovativi della legge Pratobello 24 e della legge 5/24 è il forte accento posto sulla creazione di comunità energetiche, cooperative locali che gestiscono autonomamente la produzione e la distribuzione di energia rinnovabile. Questo approccio non solo riduce la dipendenza dalle multinazionali, ma favorisce anche un modello decentralizzato di produzione energetica, in cui i sardi possono diventare sia produttori che consumatori di energia, riducendo il costo delle bollette e favorendo uno sviluppo economico locale più equo.
Le comunità energetiche sono considerate uno strumento chiave per raggiungere l’autosufficienza energetica. In questo sistema, l’energia prodotta localmente viene consumata dalle stesse comunità, limitando la necessità di trasportarla altrove e riducendo la dipendenza dalle fonti fossili. Questo approccio permette alle comunità di mantenere il controllo sulle risorse energetiche e di distribuire i benefici economici in modo più equo tra i cittadini. La Società Energetica Sarda, prevista dalla legge 5/24, si inserisce in questo contesto con l’obiettivo di garantire che la gestione delle risorse energetiche sia nelle mani dei sardi, piuttosto che delle multinazionali o delle autorità centrali.
La protezione dell’ambiente e la questione della speculazione
Oltre a garantire la sovranità energetica, la transizione verso le energie rinnovabili deve tenere conto delle necessità di protezione ambientale. La Sardegna è un’isola con un patrimonio naturale e paesaggistico unico, che rischia di essere deturpato dalla costruzione di grandi impianti industriali, eolici e fotovoltaici. Uno dei problemi principali legati ai grandi impianti di energia rinnovabile è il loro impatto ambientale. In molte aree dell’isola, soprattutto nelle zone rurali e costiere, la costruzione di questi impianti potrebbe danneggiare l’ecosistema locale, compromettendo la biodiversità e riducendo l’attrattiva turistica dell’isola, che rappresenta una delle principali fonti di reddito per i sardi.
La legge 5/24, con la sua moratoria, introduce una riflessione necessaria su come la Sardegna debba gestire la sua transizione energetica, bilanciando la necessità di abbandonare le fonti fossili con l’urgenza di proteggere il territorio dalle speculazioni. Molti dei progetti presentati da multinazionali prevedono l’utilizzo di vaste aree agricole o naturali per la costruzione di impianti industriali, spesso senza tenere conto delle esigenze ambientali e delle comunità locali. È evidente che una transizione verso un’economia più verde è fondamentale, ma è altrettanto importante che questa avvenga nel rispetto delle peculiarità ambientali e territoriali della Sardegna.
Il futuro della transizione energetica in Sardegna
La transizione energetica rappresenta una sfida epocale per la Sardegna, e il suo successo dipenderà dalla capacità di trovare un equilibrio tra sviluppo economico, sostenibilità ambientale e sovranità energetica. Il modello proposto dalla giunta Todde con la legge 5/24 e le iniziative di comunità energetiche rappresenta una via per un futuro più sostenibile, ma questo percorso è tutt’altro che privo di ostacoli.
Le decisioni del Tar Sardegna e della Corte Costituzionale hanno dato un segnale positivo a chi si oppone alla speculazione energetica, ma la vera sfida è ancora aperta. La moratoria introdotta dalla legge 5/24 rappresenta un’occasione per la Sardegna di ripensare il proprio modello energetico, ponendo al centro le comunità locali e la protezione del territorio. Tuttavia, la discussione sulla legittimità di questa moratoria avrà il suo culmine con la decisione della Corte Costituzionale il prossimo dicembre, e molto dipenderà dal risultato di questa battaglia giuridica.
La Sardegna ha tutte le risorse per diventare un leader nella produzione di energia pulita, ma deve essere in grado di farlo alle proprie condizioni, senza subire la pressione delle multinazionali o degli interessi esterni. Solo attraverso un approccio partecipativo, che coinvolga i cittadini e le comunità locali, l’isola potrà costruire un modello energetico che sia equo, sostenibile e rispettoso dell’ambiente. La creazione della Società Energetica Sarda e il modello delle comunità energetiche offrono una speranza concreta di raggiungere questo obiettivo, ma è necessario che la Sardegna continui a lottare per la propria sovranità energetica e per il diritto di decidere autonomamente il proprio futuro.
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* Il Decreto Semplificazioni introdotto durante il governo Draghi ha effettivamente modificato alcune norme riguardanti l’uso dei terreni agricoli per scopi energetici, facilitando in alcuni casi l’espropriazione di terreni per la costruzione di impianti di energia rinnovabile, come quelli fotovoltaici e eolici. Questo ha suscitato preoccupazioni sul fatto che i terreni agricoli, in particolare in regioni come la Sardegna, possano essere espropriati per favorire la realizzazione di grandi progetti energetici gestiti da multinazionali, senza un reale vantaggio per le comunità locali
Tuttavia, va sottolineato che non tutti i terreni sono soggetti a esproprio, e che in molti casi i proprietari terrieri sono coinvolti attraverso accordi di affitto o vendita dei loro terreni. Le misure contenute nei decreti successivi, compreso il Decreto Energia, puntano a semplificare le procedure per accelerare l’installazione di impianti rinnovabili, in linea con gli obiettivi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Questi includono misure per le comunità energetiche, che potrebbero portare benefici ai territori se gestite correttamente
Il rischio che si evidenzia riguarda la sovrapproduzione energetica e l’impatto ambientale dei tralicci e delle sottostazioni necessarie per trasportare l’energia prodotta. Questo è un tema particolarmente rilevante per la Sardegna, dove il territorio potrebbe subire gravi danni se non si attuano piani energetici che tengano conto delle esigenze locali
In sostanza, il decreto mira a favorire le rinnovabili, ma ci sono aspetti che devono essere monitorati attentamente per evitare che il territorio sardo diventi solo un serbatoio energetico per il continente, senza reali benefici per la popolazione locale.