Introduzione alla storia greca

Buongiorno e benvenuti alla prima lezione del primo volume di questo corso di storia, che sarà dedicata alla storia greca […]

Buongiorno e benvenuti alla prima lezione del primo volume di questo corso di storia, che sarà dedicata alla storia greca e sarà strutturato con una serie di lezioni introduttive dedicate alle civiltà arcaiche, e quindi alla civiltà minoica e alla civiltà micenea, per poi invece scendere nel dettaglio dal fiorire delle polis e del movimento coloniale, fino al periodo successivo alla morte di Alessandro Magno.

Sarà un corso che coprirà diversi secoli di storia, diciamo dettagliatamente dall’VIII secolo al II secolo avanti Cristo, ed è pensato per la preparazione e l’approfondimento di interrogazioni e compiti in classe delle scuole secondarie, ma anche per un ripasso o per la preparazione di esami universitari.

Il volume di riferimento che abbiamo utilizzato è quello del manuale di Storia Greca della professoressa Cinzia Bearzot, che è una delle massime greciste italiane. Verranno poi di volta in volta aggiunti altri contenuti presi da altre fonti, con particolare attenzione anche all’aspetto topografico, quindi numerose cartine che aiutano allo studio e all’approfondimento della storia.

Prima di cominciare, però, ho pensato di fare una piccola introduzione riferita al concetto stesso di storia, ed è un aspetto che si concilia particolarmente con la storia greca. La storia, come molte altre cose che vedremo successivamente, è stata inventata in Grecia, precisamente nel V secolo, e la paternità del termine stesso storia si deve al titolo dell’opera di Erodoto, Le Storie (Ἱστορίαι), che vuol dire “le storie”, e che era il racconto e l’esposizione dei nove libri delle guerre persiane, che erano avvenute all’inizio del V secolo.

Vedete gli estremi di nascita e di morte di Erodoto, quindi un paio di generazioni precedenti alla vita del primo storico. La cosa però interessante è approfondire e soffermarsi un secondo sull’etimologia della parola storia, che vuole letteralmente dire “esposizione della ricerca”. Al suo interno contiene, nonostante i numerosi cambiamenti morfologici che chi ha studiato greco ben conosce, la radice del verbo indoeuropeo “vedere”. Di conseguenza, possiamo dire che la storia, in origine (e vedremo poi come si modifica la disciplina), è in origine l’esposizione del racconto fatto dallo storico su un argomento da lui ritenuto meritevole di essere tramandato.

Ora, questa invenzione del V secolo è un’invenzione di metodo e di concezione, perché non era certo la prima volta in cui l’uomo rifletteva sul proprio passato. Se ci pensiamo, le stesse tracce rupestri lasciate dall’uomo primitivo non erano altro che l’espressione della volontà di trasmettere ai posteri la traccia del proprio passaggio nel mondo, e quindi il segno di una riflessione sulla propria esistenza che è di fatto sempre passata, perché si riferisce a fatti della propria esistenza che sono già avvenuti. Quindi una prima riflessione sulla esperienza nel mondo.

Nel mondo greco, però, prima del V secolo, la narrazione del passato dell’essere umano assumeva le forme orali del mito prima e dell’epica omerica successivamente. Il mito, in particolare, è stato definito da molti studiosi come un racconto polisemico, cioè un racconto che era in grado di veicolare per l’uomo dell’antica Grecia una serie diversa di significati. Senza scendere nel dettaglio, se noi proviamo a riportare alla mente alcuni miti di cui siamo a conoscenza, ci rendiamo conto di come i soggetti narrati fossero i più disparati, dalle origini del cosmo (miti cosmogonici) ai miti che potevano spiegare i fenomeni atmosferici e lo scandire delle stagioni e del tempo, così come la fondazione delle città, che fondeva un avvenimento realmente accaduto con una dimensione mitologica, quindi con la presenza del divino nella storia umana, fino ad arrivare a racconti che esprimevano i precetti di condotta morale, quindi racconti di contenuto etico che erano ritenuti universalmente validi per l’uomo greco delle epoche arcaiche.

Il corpus poetico che, nel corso dell’VIII secolo, confluisce in quella che noi conosciamo come epica omerica, narrava come eventi storicamente avvenuti, come la guerra di Troia. La guerra di Troia è storicamente avvenuta, lo vedremo anche successivamente: le tracce archeologiche della città di Troia sono state scoperte da Heinrich Schliemann, un archeologo dilettante nel XIX secolo, studiando le descrizioni della città che trovava nei testi omerici, riuscì a individuare il sito dell’antica città di Troia. Alessandro Magno, anche questo lo vedremo, quando sbarca in Asia all’inizio della sua avventura di conquista dell’Impero Persiano, si reca alla tomba di Achille, che era appunto a Troia.

Cos’era questo evento realmente accaduto? Era un racconto in cui si fondevano la dimensione della storia, come noi la conosciamo (quindi gli eventi realmente accaduti), con la dimensione mitologica, dove gli dèi e gli eroi si muovevano sullo stesso piano dell’uomo.

Il grande cambiamento introdotto da Erodoto nel V secolo, che per la prima volta presentò i fatti e l’interpretazione di questi, è che, come dice la parola stessa, la storia è l’esposizione della ricerca fatta dallo storico, che interpreta i fatti su cui ha compiuto la sua ricerca. Per la prima volta, questa interpretazione non veniva fatta ricorrendo a spiegazioni soprannaturali o con il coinvolgimento della divinità, ma attraverso una spiegazione che possiamo definire immanente, cioè sul mero piano degli esseri umani. E questa è quella che noi possiamo considerare come la svolta epocale introdotta da Erodoto.

Non bisogna però pensare che Erodoto applicasse in ogni passaggio della sua imponente opera in nove libri un moderno metodo storiografico, perché dobbiamo considerare la realtà in cui viveva. Abbiamo detto che si trovava due generazioni successive agli eventi narrati, e quindi la sua possibilità di consultare fonti era limitata, soprattutto perché si trattava di scrivere un’opera che era ricca di divagazioni etnografiche. Sappiamo che Erodoto viaggiò molto, quindi fece una ricerca autoptica (vista con i propri occhi), epigrafica e scultorea. Pensiamo alla colonna persiana che ancora oggi possiamo vedere al santuario di Delfi. Quindi aveva a disposizione delle fonti materiali per la ricostruzione dell’evento delle guerre persiane. Tuttavia, come lui stesso confessa, molte delle informazioni che ha utilizzato le ha acquisite per sentito dire. Quindi, non seguì quello che noi potremmo definire un metodo storiografico rigoroso. D’altro canto, probabilmente, anche questa era una necessità per uno storico del V secolo a.C. Sarà poi il suo successore, Tucidide, che narrerà invece la guerra del Peloponneso, a stabilire per la prima volta un metodo di approccio critico alle fonti che può essere assimilato al lavoro dello storico moderno.

Tucidide era però avvantaggiato dal fatto di aver scelto un argomento non solo contemporaneo, ma che lui viveva in prima persona come stratego ateniese (anche questo lo vedremo), e quindi aveva accesso a un numero maggiore di fonti, delle quali poteva fare un’interpretazione critica.

Questa breve introduzione deve quindi farci riflettere sul fatto che la storia, cioè l’esposizione della ricerca, mette in primo piano il ruolo dello storico. Bisogna uscire dall’idea, fiorita in epoca positivista, nel XIX secolo, che il passato potesse essere studiato e recuperato in modo oggettivo, come se fosse una scienza esatta. Il fatto, in sé, non è ricostruibile nella sua piena oggettività: possiamo progredire negli studi e, con maggiore precisione nella nostra interpretazione, possiamo approssimarci sempre di più alla verità, senza tuttavia arrivare mai a coglierla nella sua completa oggettività. Il fatto è quindi che lo storico, in base alle fonti che ha a disposizione sull’argomento scelto, vi si rapporta trasmettendole sempre una sua visione. La storia è la visione del passato fornita dallo storico che ha compiuto la ricerca.

Questo è quindi il principale elemento che separa la storia, che è di fatto il regno della possibilità, dalla scienza, che invece è il regno dell’oggettività e dell’universalmente necessario. Ed è anche il motivo per il quale avrete sentito tutti la famosa espressione di Nietzsche che, nella seconda metà del XIX secolo, affermava che “non esistono fatti, ma solamente interpretazioni”. Il fondamento filosofico della differenza tra storia e scienza è proprio questo: la storia è un’interpretazione del passato, e deve uscire dalla pretesa di oggettività. Per questo motivo, per imparare la storia, è sempre importante fare riferimento alla fonte da cui traiamo l’informazione. Ecco perché, in questo corso, si farà sempre riferimento agli storici che di volta in volta ci forniscono l’interpretazione che noi abbiamo scelto di divulgare. La fonte, quindi, è sempre importante.

Grazie al lavoro degli storici, si è giunti a una periodizzazione della storia. Ora vedremo quella relativa alla storia greca. Cos’è la periodizzazione? È il lavoro di paleografi, archeologi e, in epoca storica, di storici che, sulla base di determinati tipi di fonti, dividono il corso del tempo in etichette. In Grecia, ad esempio, il periodo Paleolitico (40.000 a.C.) è caratterizzato da insediamenti umani di tipo nomade, come quelli ritrovati nella Grecia settentrionale. Le periodizzazioni, come l’epoca antica o il Medioevo (che va dal crollo dell’Impero Romano alla scoperta dell’America), sono costruite ex post, cioè a tavolino dagli storici, e non rispecchiano quasi mai cambiamenti così epocali da essere percepiti come tali anche dall’uomo che li ha vissuti.

Mi spiego meglio: nel 476 d.C., con la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo, nei mesi e nei giorni successivi il cittadino romano non aveva la percezione che si fosse giunti a un crollo o a un cambiamento epocale. D’altro canto, il cittadino romano del V secolo era abituato a crisi continue: imperatori deposti e sostituiti da generali, imperatori che perdevano battaglie contro i barbari, e barbari che scorrazzavano per tutto l’Impero almeno dal 178 d.C. Le etichette sono quindi una cosa moderna, costruita dagli storici, che ci aiuta nello studio e nella preparazione della storia.

Scendendo nel dettaglio della periodizzazione della civiltà greca, vediamo che, in quella che individuiamo come area greca, ovvero la Grecia continentale, le isole del Mar Egeo fino a Creta e all’Asia Minore, la storia si divide in:

  • Paleolitico (40.000 a.C.): periodo caratterizzato da insediamenti nomadi.
  • Neolitico (6000-3000 a.C.): in cui avviene il passaggio da una società nomade a una società stanziale. Questo passaggio implica il fiorire di attività che per i nomadi non erano possibili, come l’agricoltura e l’allevamento. Contemporaneamente, nello stesso periodo, si hanno i primi ritrovamenti di strumenti da lavoro e di ceramica. La lavorazione della ceramica sarà uno dei prodotti che maggiormente caratterizzerà l’intera civiltà greca, dall’età preistorica fino a tutta la sua storia.

Successivamente, fra il 3000 e il 2000 a.C., abbiamo l’Età del Bronzo Antico, nel quale crescono le relazioni e gli scambi tra il mondo greco e altre aree del Mediterraneo. Non ci stupisce, ad esempio, che tracce di reperti originari dell’area greca siano state ritrovate in Sardegna, nel Lazio, in Spagna, e persino nelle isole britanniche, una zona molto distante.

In più, gli archeologi, in riferimento a questo periodo, sono in grado di distinguere, per quanto riguarda la produzione di questi reperti, diverse aree regionali: la Grecia continentale, Creta, il Mar Egeo e l’Asia Minore. Pur producendo oggetti e reperti diversi e quindi identificabili con una zona piuttosto che un’altra, queste aree sono accomunate da una lingua, una religione e strutture politiche simili. Quindi, possono essere tenute comunque insieme da questi elementi.

Successivamente, fra il 2000 e il 1450 a.C., abbiamo la fioritura e il massimo splendore della civiltà palaziale minoica, che prende il nome dal re Minosse, famoso per il labirinto e il Minotauro nel palazzo di Cnosso. Parzialmente sovrapposto a questo periodo, fra il 1800 e il 1100 a.C., vediamo la civiltà micenea, che è la seconda delle due civiltà che andremo a studiare nelle prossime lezioni.

Fra il 1100 e l’800 a.C., gli storici hanno individuato un periodo definito Medioevo Ellenico oppure età oscura (Dark Age), durante il quale un fattore esterno (non abbiamo certezze, ma solo ipotesi) è intervenuto e ha determinato il crollo della civiltà micenea, con un significativo regresso tecnico, culturale e demografico. È per questo motivo che gli storici hanno fatto un parallelo tra questo “medioevo” e quello che noi conosciamo, che va dal crollo dell’Impero Romano fino alla scoperta dell’America. Questo periodo è visto come una fase di regresso rispetto all’età antica, seguita dal Rinascimento e dall’età moderna.

Anche in Grecia, quindi, c’è un periodo di oscurità, in cui le ipotesi non consentono di arrivare a una spiegazione univocamente accettata dagli storici. Successivamente, entriamo poi nell’epoca che maggiormente seguiremo nel dettaglio: a partire dal IX secolo, con l’epoca arcaica, che durerà fino all’inizio delle guerre persiane nel 490 a.C. Questo è un passaggio fondamentale, nel quale fiorisce il sistema delle polis (πόλεις), le città-stato.

Permettetemi di utilizzare l’etimologia corretta: polis al singolare, poleis al plurale. Questo vi può anche aiutare a fare bella figura nelle interrogazioni, visto che non è così complicato da imparare. Nell’epoca arcaica, fiorisce il sistema delle poleis, e contemporaneamente, sempre in questa fase, vediamo lo sviluppo del movimento coloniale, che porterà alla diffusione della civiltà greca dal Vicino Oriente, dalle coste del Mar Nero e dell’Asia Minore fino all’Occidente, in particolare nella Magna Grecia, in Italia, ma anche nella città di Marsiglia, in Francia, che fu fondata dai Greci.

Successivamente, vedremo il grande evento narrato da Erodoto: le Guerre Persiane. Questo evento diventerà fondativo della stessa identità dell’uomo greco di età classica. I Greci, coalizzati per la prima volta in un unico grande esercito, riescono a respingere due volte l’esercito del re di Persia, infinitamente superiore, e a difendere la propria indipendenza.

Nei cinquant’anni successivi, descritti da Tucidide, ci sarà un periodo di accrescimento della potenza di Atene e Sparta. Questo periodo, chiamato da Tucidide Pentecontetia (Πεντηκονταετία, che etimologicamente vuol dire “cinquantennio”), è il periodo in cui Atene e Sparta accrescono la loro potenza, dividendosi il mondo greco in due blocchi. Ciò porterà allo scoppio della Guerra del Peloponneso, narrata anch’essa da Tucidide, che ci trasmette un racconto unitario, senza soluzioni di continuità, dei ventisette anni di guerra tra il 431 e il 404 a.C.

La Guerra del Peloponneso non sarà solo una grande narrazione storica, ma anche un manuale di scienza politica, che vedremo in dettaglio successivamente. Avremo poi il IV secolo a.C., che segnerà il definitivo tramonto delle polis come entità politica in grado di esprimere egemonia sulla Grecia, lasciando il posto al fiorire di entità politiche territorialmente più importanti, come la Macedonia di Filippo II prima e di Alessandro Magno successivamente.

Partendo dalla civiltà minoica, vediamo che essa si sviluppa in due fasi principali: il primo periodo palaziale (2000-1700 a.C.) e il secondo periodo palaziale (1700-1450 a.C.). Quest’ultimo periodo è simboleggiato dal fiorire del potere del palazzo di Cnosso, che rappresenta l’apogeo dell’intera civiltà cretese, definito dallo stesso Tucidide come thalassocrazia (Θαλασσοκρατία), cioè il “potere sul mare”. **Tucidide** farà un paragone tra la thalassocrazia di Minosse, re mitico di Creta, e il potere navale ateniese durante la guerra del Peloponneso. La thalassocrazia minoica, ovvero il dominio sul mare, garantiva ai Cretesi non solo il controllo militare, ma anche il predominio nei traffici commerciali e nei rapporti diplomatici.

Tornando alla civiltà minoica, l’isola di Creta era organizzata attorno ad alcuni palazzi, che erano il centro del potere politico e religioso. Il re, che era anche sacerdote, incarnava nella sua figura il potere politico, religioso, giuridico ed economico. Gli scavi dei palazzi cretesi hanno infatti evidenziato numerose stanze riservate allo stoccaggio di derrate alimentari, che probabilmente venivano distribuite in base alle necessità della popolazione dei villaggi attorno al palazzo.

Il palazzo di Cnosso, durante il secondo periodo palaziale, riuscì a imporsi come centro egemonico non solo su tutta l’isola di Creta, ma anche su altre isole dell’Egeo, come le Cicladi. Grazie agli scambi commerciali, la civiltà minoica era connessa con molte aree del Mediterraneo orientale, inclusi l’Egitto, Cipro e l’Anatolia. Questo periodo è particolarmente interessante per gli storici e gli archeologi, che hanno scoperto numerosi reperti commerciali e strumenti di lavoro che mostrano la sofisticazione di questa civiltà.

Un elemento significativo per la civiltà minoica è il ritrovamento di due diversi sistemi di scrittura. La lineare A, utilizzata nel primo periodo, è una scrittura sillabica che purtroppo non è mai stata decifrata. La seconda scrittura, la lineare B, utilizzata nel secondo periodo, è stata invece decifrata ed è di tipo greco. Gli storici ritengono che la lineare B fosse utilizzata dai Micenei, poiché il linguaggio che essa rappresenta è stato riconosciuto come una forma arcaica di greco.

La civiltà micenea, che fiorisce tra il 1800 e il 1100 a.C., si sviluppa nella Grecia continentale e raggiunge il suo apogeo nelle città fortificate come Micene, Tirinto e Pilo. I Micenei erano noti per le loro strutture monumentali, come le tombe a tholos, grandi tombe circolari con un tetto a cupola, che venivano utilizzate per seppellire i membri delle famiglie reali e dell’aristocrazia.

Uno degli aspetti più importanti della civiltà micenea è il ritrovamento di ricchissimi corredi funebri, tra cui la famosa maschera di Agamennone, scoperta da Heinrich Schliemann nel 1876. Questo archeologo dilettante tedesco, mosso dal desiderio di dimostrare la veridicità dei poemi omerici, scoprì il sito della città di Troia e successivamente quello di Micene. Grazie ai suoi scavi, Schliemann dimostrò che la descrizione omerica di “Micene, ricca d’oro” non era un’invenzione poetica, ma corrispondeva alla realtà storica.

I Micenei si differenziano dai Minoici per la loro forte organizzazione militare e la costruzione di città fortificate, come si può vedere dalle imponenti mura ciclopiche di Micene e Tirinto. Mentre i palazzi minoici erano aperti e privi di fortificazioni, suggerendo un periodo di relativa pace e stabilità, le città micenee erano difese da mura colossali, costruite con blocchi di pietra giganteschi, che indicano la necessità di proteggersi da attacchi nemici.

La struttura del potere miceneo era centrata attorno al palazzo, o megaron (μέγαρον), un grande edificio con una sala centrale che fungeva da centro del potere politico e religioso. Il sovrano miceneo, il wanax (ϝάναξ), era il capo supremo, mentre il lāwāgetās (λαϝαγέτας) era il comandante militare. Al di sotto di queste figure, vi era una gerarchia di funzionari, ciascuno dei quali possedeva terre assegnate dallo stato. Il palazzo controllava strettamente la produzione agricola e l’immagazzinamento delle derrate alimentari, che venivano prodotte dal popolo (dāmos, δᾶμος) e dai servi (doeroi, δοῦλοι).

Un aspetto molto importante della civiltà micenea, che ci interessa particolarmente nel nostro studio della storia greca, è il fatto che i nomi degli dèi micenei, decifrati grazie alle tavolette in lineare B, sono gli stessi che ritroviamo nel pantheon greco classico: Zeus, Era, Atena, Artemide, Ares e Poseidone, per citarne alcuni. Questo dimostra la continuità culturale e religiosa tra la civiltà micenea e la Grecia classica, e sottolinea l’importanza di questi antichi culti che si sono tramandati attraverso i secoli.

Gli ultimi secoli della civiltà micenea, che sono cronologicamente collocati nell’epoca in cui si svolgono le gesta narrate nell’epica omerica, vedono l’ascesa di grandi re, come Agamennone, che guidò la spedizione greca contro Troia. La civiltà micenea, dopo il 1500 a.C., sostituì i Minoici nel dominio del Mar Egeo, espandendo i propri traffici commerciali ben oltre i confini del mondo greco.

Nel 1300 a.C., i Micenei conquistarono e distrussero il palazzo di Cnosso, come testimoniano i ritrovamenti di ceramica micenea diffusi in tutto il Mediterraneo. Da quel momento, la civiltà micenea divenne la potenza dominante nell’area, sostituendosi definitivamente ai Minoici nel controllo delle rotte commerciali e nella gestione dei traffici marittimi.

Concludiamo così la prima lezione introduttiva. Nella prossima lezione ci concentreremo sul Medioevo Ellenico, il periodo successivo che va dal 1100 all’800 a.C., che ci porta direttamente al fiorire delle città-stato (poleis) della Grecia e all’inizio della grande stagione della civiltà greca classica.

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