Umberto Galimberti esplora la crisi della religione nel mondo moderno, dove la temporalità breve della tecnica contrasta con il tempo lungo della fede. L’autore critica la religione organizzata, distinguendola dalla fede genuina, e accusa il cristianesimo di non aver recepito correttamente le parole di Gesù, che enfatizzavano l’amore, la fraternità e l’azione concreta, piuttosto che la contemplazione o la rigidità dogmatica. Propone una riflessione sulla necessità di superare la logica del nemico e di sviluppare una cultura basata sulla fratellanza, includendo anche i diritti della natura, per salvare la Terra e l’umanità, evidenziando la necessità di superare i confini nazionali e abolire gli Stati.
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La religione, la religione… No, non è al crepuscolo totale per la semplice ragione che il tempo religioso è un tempo lungo, escatologico, fino agli ultimi giorni, e quindi deve avere questa dimensione psichica del tempo lungo. Ma la tecnica è abituata ad avere il tempo breve, il tempo scopico: oggi, domani, i risultati si devono vedere subito. E quando ti sei allenato a questa temporalità, non c’è più spazio per una temporalità più ampia.
Ed è qui che crolla la religione, per l’incapacità psichica di ospitare una temporalità che oltrepassi la brevità del tempo tecnico. Dopodiché, se le religioni crollano, io la vedo solo come un beneficio per l’umanità. Non dico queste cose tanto per provocare, quanto piuttosto perché le religioni non sono la fede. Il cristianesimo non ha recepito niente delle parole di Gesù.
Io ho scritto un libro per i bambini, Le parole di Gesù. L’ho scritto insieme al più grande biblista che abbiamo in Italia, Ludovico Monti, che ha tradotto per la prima volta in Italia la Bibbia dall’aramaico. In Italia siamo andati avanti con la Bibbia per 2000 anni dalle traduzioni greche e non era mai stata tradotta dall’aramaico o dall’ebraico. Dico queste due lingue perché alcuni libri sono in aramaico, altri in ebraico, e finalmente sono state tradotte da lì per la prima volta. Tre anni fa le edizioni Einaudi le hanno pubblicate. Costa l’ira di Dio, e quindi nessuno la compra. E poi, anche se la comprano, nessuno la legge. E quindi siamo sempre alle solite, no? Siamo sempre alle solite.
Per esempio, una bella scoperta che si è fatta è che la Bibbia dice che Gesù è nato da una “betulah”. “Betulah” vuol dire una giovane ragazza. Che problema c’è se fosse nato da una giovane ragazza? Solo che “betulah” è stata tradotta in greco con “parthenos”, che vuol dire vergine. E da lì è partita la storia che la Madonna era vergine. Ma in aramaico “vergine” si dice “almah”. E allora, mettiamo le cose a posto, no? Mettiamo le cose a posto per bene! Che problema c’è? Se la religione ha in mente lo spirito, perché deve sempre partire dall’imene per stabilire se le cose sono pure o impure? Ma per quale ragione? Perché questo materialismo grasso della religione?
Va bene, Gesù, per esempio, anche qui salta fuori una bella storia. Gesù dice che la salvezza è di questo mondo, non la proietta nell’aldilà. Ma i bambini, quando vanno a catechismo per fare la prima comunione, non sentono le parole di Gesù, sentono i precetti, i comandamenti della Chiesa. Altrimenti sentono altre cose, ma le parole di Gesù non sono state proprio percepite dal cristianesimo. Per esempio, la parola “verità” in ebraico si dice “emet”, che vuol dire “fare”. Non vuol dire, alla maniera greca, contemplare il vero rispetto al falso. Vuol dire fare le cose. Infatti Gesù dice: “Facciamo poca verità”. E cosa vuol dire fare verità? “Ero straniero e mi avete accolto, ero ignudo e mi avete vestito, ero affamato e mi avete nutrito, ero carcerato e mi avete visitato”. Si fa la verità, non la si contempla. La salvezza è nel fare verità.
Perché non si spiegano queste cose ai bambini? Poi non so, prendiamo il Samaritano che scende sulla strada, incontra un poveraccio che era stato bastonato dai briganti che gli avevano portato via tutto quello che aveva. Prima passa un levita e cambia marciapiede, poi passa un sacerdote del tempio e anche quello non lo degna di uno sguardo. Passa il Samaritano, i Samaritani erano molto odiati dagli ebrei, erano ebrei anche loro, ma erano una setta odiata perché era considerata eretica. Passa il Samaritano e cosa fa? Il Samaritano prende sulle spalle quest’uomo, lo porta in una locanda, lascia un anticipo al locandiere, dice di prendersi cura di quest’uomo e di rimetterlo in sesto. Lui va a Gerusalemme e dice: “Quando torno, se non ti sono bastati i soldi che ti ho dato, ti compenserò dell’altro purché mi risani questo poveraccio”. Questo è fare verità.
Questo è fare verità. E il prossimo non sei tu che stai davanti a me, il prossimo sono io che mi faccio prossimo a te. Il prossimo sono io nell’approssimarmi a te. Esattamente come fa il samaritano. Siamo prossimo noi? Ci approssimiamo? Per questo dico, le parole di Gesù non sono proprio passate nel cristianesimo, e quando sento dire “io sono Cristiano”, “i valori cristiani”, i crocifissi nei comizi, le corone del rosario nei comizi… Ma come cristiani! Tu, da politico puoi fare quello che vuoi, e fai bene a fare quello che vuoi. L’unica cosa che non ti riconosco è che quando fai quello che vuoi, per esempio i respingimenti, non sei cristiano. Smettila di dire queste robe, perché non c’entra niente col cristianesimo questa roba qua. Fai pure la tua politica, sei il capo del governo, falla. Ma non dire che questo è cristianesimo per raccattare voti.
Gesù, una volta invitato da Simone, che è un sacerdote fariseo del tempio, perché voleva vedere se Gesù era davvero un Messia o quanto meno un profeta, e mentre mangiano, arriva una donna, Maria di Magdala, che si inchina ai piedi di Gesù, glieli lava, glieli unge e glieli asciuga con i suoi capelli. Poi si porta alle sue spalle, gli unge i capelli. A quel punto Simone si mette a parlare con i suoi amici: “Ma quello non è il Messia, perché il Messia non va con le prostitute”. Gesù sente e gli dice: “Simone, io sono venuto nella tua casa, ma tu non mi hai lavato i piedi”. Dunque, lavare i piedi, per chi non lo sapesse, era la prima cosa che chi ospitava doveva fare con l’ospite, perché si andava in giro a piedi scalzi e bisognava lavare i piedi. I musulmani ce l’hanno ancora, quando entrano nel tempio si lavano i piedi. Non so se siete mai andati in quelle terre, così pure gli ebrei. “Io sono venuto nella tua casa, tu non mi hai lavato i piedi, non mi hai unto i capelli. Questa donna sì”. Si rivolge a questa donna e dice: “Ti siano rimessi i tuoi peccati, perché hai molto amato”.
Ecco qua la categoria fondante del cristianesimo: l’amore. Se gli illuministi fossero stati un po’ più svegli, avrebbero capito che liberté, égalité, fraternité erano già stati annunciati dal cristianesimo all’origine. Nel senso che l’égalité: siamo tutti figli di Dio; la liberté: non ci sono più né schiavi né liberi; e la fraternité è l’amore, fino al nemico, fino al nemico.
L’unica volta che Gesù si arrabbia come una iena, è quando va nel tempio e lì vede i sacerdoti e i farisei e gliene dice di tutti i colori. Li chiama “sepolcri imbiancati”: “Voi ponete sul popolo dei pesi che voi non toccate neanche con un dito. Razza perversa”. Va proprio di testa lì, butta giù i banchetti dove la gente vendeva: “Avete reso questo tempio un mercato”, eccetera. Si arrabbia tantissimo, perché Gesù non voleva fondare una religione, non gli è mai passato per la testa questa cosa. Lui quello che chiedeva era la fiducia nella sua parola: “Io sono la via della salvezza, io sono la vita”. Dovete sapere che la parola “vita” ha una grossa importanza. Javè si chiama “il vivente”. Il contrario del vivente non è il peccato, ma la morte. E San Paolo dice: “O morte, dov’è il tuo pungiglione?” dopo la resurrezione di Gesù. Ma tutte queste cose non si spiegano ai bambini, che capirebbero molto bene che la vita è una cosa importante, che non la si butta via e che è più grande. E questo qua no, non lo si fa. Non lo si fa.
Va bene, andiamo avanti. Gesù ti dice questa cosa, ti chiede la fiducia, la fede, la fiducia nella sua parola. E la religione che cos’è? La religione è la sacralizzazione della cultura. La religione l’ha inventata San Paolo, e non poteva che inventarla lui, perché lui sapeva le lingue, sapeva l’aramaico, l’ebraico, il latino, il greco. Quindi poteva girare e parlare qualsiasi lingua e predicare. Non aveva mai conosciuto Gesù, San Paolo, mentre il povero Pietro sapeva l’aramaico, magari anche solo il dialetto. E quindi… sì, c’è lo Spirito Santo che dona il dono delle lingue, d’accordo, poi ciascuno si inventa la sua storia. Però San Paolo ha messo in circolazione il cristianesimo facendo una guerra bestiale nel primo concilio, nel 51 dopo Cristo, con Pietro, il quale voleva trattenere il cristianesimo nell’ambito dell’ebraismo, mentre San Paolo lo voleva diffuso anche ai gentili. I gentili non sono le persone gentili, sono le genti, tutte le genti. E da quel punto lì incomincia a diventare religione. Religione culturale diffusa. Poi, con Costantino, diventa la religione di Stato, sacralizzazione della cultura romana. Nel Medioevo, con Carlo Magno, diventa la sacralizzazione del Sacro Romano Impero.
Nel 1500, a partire dal 1492, quando Cristoforo Colombo va in Sud America, scambia oro in cambio di battesimi, e chi non si battezza viene ucciso. Lo dice lui stesso nel suo diario di bordo: “Abbiamo sacrificato uomini che rifiutavano il segno di Cristo”. Sacrificato uomini! Cioè, in Italia si celebrava l’Umanesimo nel ‘500, e di là non si riconosceva che un indigeno era un uomo. Erano 15 milioni prima dell’avvento di Colombo, sette anni dopo erano 15.000. Uno sterminio in nome di Cristo. La religione è la sacralizzazione della cultura. E questo vale per tutte le religioni. Anche il musulmanesimo, anche l’Islam, è una sacralizzazione della cultura musulmana. Si sacralizzano le culture, non c’entra niente con la fede che chiedeva Gesù, che non aveva nessuna intenzione di fondare una religione.
Un’altra bella scoperta: Gesù non dice mai di essere figlio di Dio. Mai! Non trovi nessun Vangelo che lo dica. Una volta sola, Pilato gli dice: “Dicono che tu sei figlio di Dio”, e lui risponde: “Tu l’hai detto”. Si è sempre definito “Figlio dell’uomo”. Quando Paolo va all’Areopàgo a parlare ai Greci, li loda perché, oltre ai loro dei, hanno fatto anche un altare al “Dio ignoto”. E dice: “Sono contento che avete riservato un altare al Dio ignoto, e io vi dico che questo Dio, a voi ignoto, è il Dio di Gesù Cristo, predicato da Gesù Cristo, il quale è risorto, dice Paolo. E i cristiani non moriranno, ma risorgeranno”. Leggetelo, negli Atti degli Apostoli, se siete cristiani, leggete i testi sacri. Se no, che cristianesimo è se non li leggete, eh?
Negli Atti degli Apostoli, capitolo 14, i greci, quando sentono che i morti risorgono, dicono: “Alcuni risero, altri gli dissero: ‘Questa storia ce la vieni a raccontare un’altra volta’”, e se ne vanno. Però dà il nome al Dio ignoto.
Dio… Dio. Non lo so, credi in Dio, non credi in Dio, ma se io dovessi chiedere chi è Dio, ciascuno di voi avrebbe una risposta diversa. Sono convinto che avremmo tanti dei quante sono le vostre immaginazioni di Dio. Perché nessuno ha conosciuto mai Dio. E giustamente Meister Eckhart dice: “Oddio, liberami di Dio”. E dice: “L’anima che pensa di conoscere Dio è la più lontana da lui, perché a nominare Dio è la sua volontà e la sua immaginazione”. L’unica maniera per onorare Dio, dice Meister Eckhart — grande teologo e filosofo del ‘300, del 1300 — finalmente sono uscite tutte le sue opere, cristianissimo, mistico: “L’unica maniera di onorare Dio è abbandonarlo a se stesso e liberarsi di lui”. E allora? E finisce che è un’astrazione, ma soprattutto Dio non ha un volto, perché ciascuno gli dà il suo. E dopo incominciano le guerre: “Dio dice così, Dio dice cosà”. Ma quel Dio è quello che c’hai in mente tu, è quello che ti sei immaginato tu. Dio nessuno l’ha mai visto.
Ecco, questo. E Gesù non annuncia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, anzi, si distacca radicalmente da quel Dio lì, che è il Dio degli ebrei. Non annuncia neanche il Dio dei filosofi, che è semplicemente un principio esplicativo per giustificare il rapporto causa-effetto: “Chi ha creato il mondo? Ci vuole una causa, la chiamiamo Dio”. Gesù predica un rapporto fantastico, bellissimo. A partire dall’Ultima Cena: “Uno di voi mi tradirà”. Poi c’è l’Orto degli Ulivi, va a vedere dove sono i suoi discepoli per ricevere un conforto da loro, e quelli dormono. Dormite iam et requiescite [Vangelo di Marco (14:41) e Matteo (26:45)].
Se ne torna da solo, sudando sangue, si rivolge al Padre e non dice “Padre, se puoi, allontana da me questo calice”. Non dice “se puoi”, perché Gesù non mette in dubbio l’onnipotenza del Padre. Dice “se vuoi”. Quella sì la mette in dubbio: “Se vuoi, allontana da me questo calice”. Il Padre non vuole, e Gesù subisce l’incoronazione di spine, la flagellazione, sale sul Golgota, cade tre volte, gli danno un cireneo che gli porta la croce, viene inchiodato, trafitto. E lì, con l’ultima parola, grida: “Abba, Padre, perché mi hai abbandonato?”. Assapora l’abbandono del Padre, l’abbandono di Dio. Questo è il momento della redenzione: la partecipazione alla sofferenza dell’umanità. Non è nel trionfo della resurrezione. C’è chi ci crede, c’è chi non ci crede. Io non sono cristiano, e quindi vi riassumo le cose così. Ma il vero momento redentivo è la partecipazione alla sofferenza dell’umanità. Questa è la grandezza di Gesù Cristo, è la partecipazione al dolore dell’umanità. È qui che ci si redime: “Io sono come voi, vi precedo nella sofferenza della vostra esistenza”. Questo è redentivo.
E nell’ora nona, quando si sente abbandonato dal Padre, “Abba, Padre, perché mi hai abbandonato?”, è nell’ora nona che scatta l’elemento della redenzione. E non è un caso che il cristianesimo, a sua insaputa, non ha assunto come simbolo della propria religione la resurrezione di Cristo. Ha assunto la croce. Perché è lì la redenzione, nella partecipazione alla sofferenza degli uomini.
Chiudo e dico che le religioni che muoiono sono solo un beneficio per l’umanità. La cosa interessante, invece, è ascoltare le parole di Gesù, che sarebbero la modalità con cui si potrebbe sviluppare il rapporto di fraternità, che è essenziale per salvare la Terra. Perché oggi non dobbiamo più considerarci divisi. Le ferite della Terra sono tali che ci interpellano come membri della specie umana. La specie è ciò che ci unifica: etnie, tribù, popoli possono essere salvati solo a condizione che si salvi la Terra. Perché, fino a prova contraria, è solo qui, e non altrove, che possiamo vivere.
Ma per salvare la Terra, bisogna abolire gli Stati, perché gli Stati si reggono sulla logica del nemico. Solo che oggi l’umanità non si trova più a dover difendersi da un nemico che sta ai suoi confini: deve difendersi da sé stessa. Deve difendersi da sé stessa. Se è vero quello che dice quel socio-biologo interessantissimo, Edward Wilson, che tra le specie dei viventi la specie umana, con la sua distruttività, è diventata una forza geofisica spaventosa, la cui capacità distruttiva supera le distruzioni che la natura può fare da sé. E allora? E allora ci vuole una cultura, una sorta di cultura della Terra, dove l’uomo non si senta interpellato tanto sulla base dell’appartenenza a una terra natia, ma su quella che c’è da salvare: la Terra.
La Terra viene prima della terra natia, ed è qui che si giocano le carte del nostro futuro. Per questo bisogna, come dicevo, abolire gli Stati. Cosa che, peraltro, la tecnica ha già fatto, perché la tecnica non si è fermata in uno stato, è diventata mondiale. È il mercato che ha già oltrepassato tutti i confini. Oggi le merci sono più libere di circolare di quanto non siano liberi gli uomini. A questo livello siamo arrivati noi. L’hanno fatto loro, allora proviamo a fare un’evoluzione di questo tipo. Come l’uomo si è evoluto biologicamente, non può evolversi anche culturalmente? Non può abbandonare quel modello di dominio del mondo di origine cristiana? Non può fare questo passaggio culturale?
Se la logica del nemico ha fatto progressi tali che, partendo dalla clava, è arrivata alla bomba atomica, non è possibile fare un passaggio culturale analogo e uscire fuori dalla logica del nemico per entrare in una logica di fratellanza? Questa fratellanza non è garantita dai diritti dell’uomo, perché i diritti dell’uomo, se non includono i diritti della natura, appartengono ancora all’antropocentrismo e diventano un elemento distruttivo.
I diritti dell’uomo devono comprendere i diritti della natura, sul modello di Francesco d’Assisi, che chiamava “fratello” il sole, “fratello” il vento, “sorella” l’acqua e “sorella” la luna. Solo se includi i diritti della natura, i diritti dell’uomo si giustificano. Ma se li escludi, non fai altro che rigenerare, in una forma apparentemente nobile, quell’antropocentrismo che ci ha portato alla rovina della Terra.
Grazie, buonasera.