“Vermiglio”: Un dramma intenso tra guerra, maternità e identità femminile

Vermiglio di Delpero è un dramma silenzioso ambientato in un villaggio durante la Seconda Guerra Mondiale, dove la quiete quotidiana nasconde tensioni profonde e non dette. Gran Premio della Giuria a Venezia81

VERMIGLIO

Regista: Maura Delpero
Anno: 2024
Paese: Italia, Francia, Belgio
Genere: Drammatico
Durata: 119 min
Data di uscita: 19 settembre 2024
Attori: Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Roberto Rovelli, Martina Scrinzi, Orietta Notari, Carlotta Gamba, Santiago Fondsevia Santer, Rachele Potrich, Anna Thaler, Patrick Gardner, Enrico Panizza, Luis Thaler, Simone Bendetti, Sara Serraiocco
Distribuzione: Lucky Red

di Alberto Piroddi

Vermiglio di Maura Delpero si apre con una lenta e deliberata panoramica delle montagne innevate, e subito si percepisce il peso di ciò che sta per accadere. Il paesaggio è vasto, freddo e indifferente, proprio come le vite degli abitanti del villaggio che vi si aggrappano negli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale. Siamo a Vermiglio, un piccolo e isolato paese tra le montagne del Trentino, dove la guerra esiste più come un’eco lontana che come una minaccia tangibile. Questo è il paradosso del film: il mondo esterno sta crollando, ma all’interno del villaggio la vita continua nella monotonia di mungere le mucche, preparare i pasti e crescere i figli. È un’apocalisse silenziosa, un microcosmo dell’Italia alla fine del suo “anno zero”.

Pietro, un soldato siciliano, viene introdotto come una sorta di spettro errante. Probabilmente è un disertore, ma il film non si sofferma sui dettagli. Il suo passato è irrilevante per il villaggio; è la sua presenza, la sua interruzione del ritmo quotidiano statico, che conta. Le donne di Vermiglio, le vere padrone di questa società matriarcale, accolgono Pietro con sospetto, come se avvertissero i segreti non detti che porta con sé. Gli uomini sono per lo più assenti, persi nella guerra o comunque silenziosi e ritirati, e l’arrivo di Pietro mette in discussione il fragile equilibrio di questa comunità dominata dalle donne.

La premessa del film potrebbe far pensare a un classico dramma di guerra, ma Delpero è meno interessata ai meccanismi del conflitto che ai suoi effetti collaterali. Vermiglio è un film fatto di silenzi—quelle lunghe pause cariche di significato che si insinuano tra i dialoghi, o gli spazi vuoti in cui avvengono momenti importanti fuori campo. Delpero ha fiducia nel suo pubblico, tanto da lasciarlo riflettere su questi vuoti, costringendoci a colmare le lacune da soli. È un modo esigente di raccontare una storia, che richiede pazienza, ma la ricompensa è enorme. Il film è una combustione lenta, costruendo tensione attraverso l’omissione piuttosto che l’azione.

Al centro di Vermiglio c’è il personaggio di Ada, una giovane donna divisa tra il desiderio di qualcosa di più e il richiamo delle sue responsabilità. Ada vuole studiare, spezzare il percorso tracciato dalla sua famiglia e dalla tradizione, ma è intrappolata dalle circostanze della sua vita—i bisogni della sua famiglia, le aspettative del villaggio e l’ombra della guerra. Rachele Potrich interpreta Ada con un’intensità contenuta; si può percepire il tumulto che ribolle sotto la sua superficie, anche se esteriormente resta stoica e devota ai suoi doveri.

L’arrivo di Pietro sconvolge non solo le routine quotidiane, ma anche le vite emotive delle donne, in particolare di Ada e sua sorella Flavia. Pietro diventa l’oggetto delle affezioni di Ada, ma non è una trama romantica nel senso convenzionale. La loro relazione è complessa, esitante e per lo più non detta, riflettendo la repressione emotiva che caratterizza gran parte dell’ordine sociale del villaggio. Pietro è un estraneo, un outsider, e in lui Ada vede non solo un uomo, ma un simbolo di fuga, di qualcosa oltre i confini ristretti di Vermiglio.

Ma non è il tipo di film che offre soluzioni facili o storie d’amore redentrici. Il destino di Pietro è segnato ben prima che il film giunga alla sua conclusione, e la sua morte avviene fuori scena, come tanti altri momenti cruciali in Vermiglio. È una scelta che potrebbe frustrare alcuni spettatori, ma la decisione di Delpero di trattenere questi momenti è fondamentale per la potenza del suo film. Ciò che conta non è lo spettacolo della morte di Pietro, ma la devastazione silenziosa che lascia dietro di sé. Gli abitanti del villaggio continuano, le stagioni cambiano, ma la perdita persiste negli spazi tra le parole, negli sguardi vuoti scambiati tra i personaggi.

Vermiglio è profondamente radicato nella tradizione del neorealismo italiano, ma non sembra un esercizio di nostalgia o imitazione. Delpero si ispira chiaramente al rigore estetico di registi come Ermanno Olmi e allo sguardo antropologico di Pasolini, ma fa propri questi riferimenti. C’è una rudezza nel film, una qualità grezza delle immagini che appare organica piuttosto che calcolata. La fotografia, curata da Mikhail Krichman, cattura la bellezza austera del paesaggio senza romanticizzarlo. Le montagne incombono minacciose sullo sfondo, un costante promemoria dell’isolamento e delle difficoltà che definiscono la vita di questi personaggi.

Delpero sfuma anche il confine tra finzione e documentario in un modo che risulta fresco piuttosto che forzato. Gli attori non professionisti, molti dei quali sono veri abitanti del villaggio, conferiscono al film un’autenticità difficile da riprodurre. I loro volti, segnati dal tempo, raccontano storie che i dialoghi non potrebbero mai esprimere. Si sente il peso della storia in ogni inquadratura, la sensazione che queste vite siano plasmate non solo dalla guerra, ma da secoli di tradizione e difficoltà. È un film profondamente radicato nel suo contesto, e quel contesto—sia il paesaggio fisico che le strutture sociali che governano il villaggio—diventa un personaggio a sé stante.

Uno degli aspetti più sorprendenti del film è il modo in cui tratta il tema della maternità. In Vermiglio, la maternità non è solo un ruolo biologico, ma sociale, una posizione di autorità e di peso. Il matriarcato che governa il villaggio si basa sul sacrificio delle madri—donne che devono nutrire, proteggere e mantenere il delicato equilibrio della comunità. Eppure Delpero rifiuta di idealizzare questo ruolo. La maternità in Vermiglio è carica di tensioni e sacrifici, e il film esplora i modi in cui può intrappolare le donne tanto quanto le potenzia.

Se c’è una pecca in Vermiglio, è che talvolta rischia di cedere a una sorta di sovraccarico narrativo. Ci sono momenti in cui il film sembra troppo ansioso di affrontare ogni questione contemporanea—la guerra, la maternità, la condizione femminile, l’orientamento sessuale—senza integrarle del tutto nella storia. L’ambizione del film è ammirevole, ma a volte sembra voler fare troppo. Tuttavia, questi passi falsi sono minori nel complesso, e non intaccano l’impatto generale del film.

Vermiglio non è un film per tutti. Il suo ritmo è deliberato, il suo dramma sottile, e i suoi silenzi possono risultare opprimenti. Ma per chi è disposto a immergersi nei suoi ritmi pacati e nelle tensioni non dette, è un’esperienza profondamente gratificante. Maura Delpero ha realizzato un film che è al contempo senza tempo e attuale, capace di trovare l’universale nel particolare e l’eccezionale nell’ordinario.

Leone d’argento. Gran Premio della Giuria all’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia

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