L’editoriale di Marco Travaglio esamina le affermazioni di Giovanni Toti riguardo al patteggiamento e alle sue implicazioni legali. Toti sostiene che il patteggiamento non costituisce un’ammissione di colpa, dichiarando di non aver mai preso denaro illegalmente, nonostante abbia scelto di patteggiare una condanna di 2 anni e 1 mese per corruzione, con l’interdizione dai pubblici uffici.
Travaglio contesta questa affermazione, riportando quanto scritto sul sito del Ministero della Giustizia, che definisce il patteggiamento come un’implicita ammissione di colpevolezza. Cita anche la Corte di Cassazione, secondo la quale la richiesta di patteggiamento deve essere interpretata come un’ammissione del fatto contestato*. Questo contrasta con l’insistenza di Toti sul non aver commesso reati, nonostante il patteggiamento.
Un punto centrale dell’articolo è l’ironia sul fatto che Toti, pur dichiarando di non aver mai preso denaro, sia disposto ad accettare una pena detentiva basata sulle accuse del pubblico ministero, piuttosto che difendersi in un processo ordinario. Travaglio sostiene che, se il giudice accetterà il patteggiamento, scatteranno automaticamente l’interdizione dai pubblici uffici e l’applicazione della legge Severino, che rende incandidabile chi ha patteggiato una pena superiore ai due anni per reati contro la pubblica amministrazione.
L’articolo fa riferimento anche al Tribunale del Riesame di Genova, che aveva rigettato una richiesta di revoca degli arresti domiciliari per Toti, argomentando che il politico non fosse in grado di comprendere la differenza tra atti legali e illeciti. Travaglio riprende questo punto per sottolineare come Toti avesse confuso le erogazioni liberali con le tangenti, il che lo aveva portato a patteggiare due volte per corruzione: la prima volta per denaro ricevuto da Aldo Spinelli, e la seconda per quello di Luigi Alberto Amico.
L’articolo conclude con un paragone tra Toti e Matteo Salvini. Quest’ultimo, in risposta a una domanda se avesse intenzione di patteggiare per il caso Open Arms, ha negato qualsiasi possibilità, affermando di non essere un delinquente. Travaglio, implicitamente, mette in contrasto l’atteggiamento di Salvini, che rifiuta il patteggiamento, con quello di Toti, che ha scelto di farlo due volte.
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* L’affermazione della Corte di Cassazione è corretta. In base alla giurisprudenza italiana, la richiesta di patteggiamento viene generalmente interpretata come un’ammissione del fatto contestato. Nello specifico, la Corte di Cassazione ha stabilito in diverse sentenze che il patteggiamento implica un’accettazione delle conseguenze legali del fatto contestato, e quindi, in termini pratici, rappresenta un’ammissione di responsabilità, seppure non formale.
Il patteggiamento, secondo l’articolo 444 del Codice di procedura penale, prevede che l’imputato e il pubblico ministero trovino un accordo sulla pena, che poi deve essere accettato dal giudice. Sebbene il patteggiamento non sia tecnicamente una confessione esplicita, in termini giuridici ha effetti simili, perché si traduce nell’accettazione della pena senza che vi sia un approfondimento dibattimentale sulla colpevolezza.
Di conseguenza, il patteggiamento è considerato un’ammissione implicita del fatto, anche se viene spesso scelto per ragioni di opportunità e non per ammettere colpe specifiche. La legge Severino, ad esempio, equipara il patteggiamento a una condanna vera e propria per alcune conseguenze come l’interdizione dai pubblici uffici, in quanto lo considera un’ammissione di responsabilità per il reato contestato.