L’Unione Europea tra missili contro la Russia e la sudditanza agli Stati Uniti

Il Parlamento Europeo approva l'uso di missili contro la Russia e chiede l'arresto di Maduro, confermando la crescente dipendenza dell'UE dagli USA.

Ieri il Parlamento Europeo ha approvato l’uso di missili europei contro obiettivi in Russia e ha chiesto un mandato di arresto per Maduro, riconoscendo il leader dell’opposizione venezuelana. Questo ennesimo atto dimostra come l’UE sia ormai uno strumento nelle mani degli USA, che mantengono una distanza prudente, mentre l’Europa diventa sempre più dipendente da Washington. L’americanizzazione delle élite europee, iniziata negli anni ’90, ha portato alla distruzione dell’indipendenza politica e culturale dell’Europa, riducendola a un meccanismo autolesionista privo di alternative, dominato dalla logica neoliberale.

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di Andrea Zhok

Ieri, simpatico uno-due del prode Parlamento Europeo, che prima approva l’utilizzo di missili europei per colpire bersagli in Russia (377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti) e poi chiede l’emissione di un mandato di arresto internazionale contro il presidente del Venezuela, Maduro, oltre al riconoscimento come presidente del leader dell’opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia.

Oramai l’UE, l’Europa politica reale (e non quella vagheggiata, ideale, auspicata, ecc.) è semplicemente il botolo rabbioso che gli USA scagliano contro i loro nemici – mentre loro si tengono un passo indietro (gli Stati Uniti NON hanno approvato l’utilizzo di missili americani su territorio russo).

Talvolta, da ex-europeista uscito da un percorso di disintossicazione, continuo a chiedermi come sia stato possibile tutto questo.

L’UE è oramai ridotta ad essere un sistema di sabotaggio di quella forma di vita che fu l’Europa.

Dalle raccomandazioni pedagogiche dell’agenda 2030, alla distruzione del tessuto industriale nel nome di un’agenda sedicente “green”, allo smantellamento sistematico dello stato sociale, alla rottura dei rapporti con tutti i propri vicini (ad est e sud, Russia e medio-oriente in primis) per accrescere la dipendenza dagli USA, l’UE è solo un grande meccanismo di autosabotaggio e di americanizzazione deteriore della cultura europea residua.

E all’origine di tutto ciò c’è, a monte, quel processo di americanizzazione dei ceti dirigenti che si è avviata negli anni ’90 del secolo scorso, e che ora dà i suoi pieni frutti. Le popolazioni europee, – al netto della devastazione delle menti prodotta dagli schermi portatili – rimane ancora in parte inassimilata rispetto alla pervasiva americanizzazione della cultura e dei valori.

Il trionfo della mente liberale, ora neo-liberale, di cui la cultura statunitense è incarnazione eminente ha dapprima egemonizzato i blocchi sociali più “aggiornati” e “moderni” (una volta li avremmo chiamati “borghesi”), per poi divenire consenso politico.

Nella politica ridotta a varianti del (neo)liberalismo i vari “centro-destra” e i vari “centro-sinistra” sono perfettamente intercambiabili. Per ogni abiezione in un’area legislativa del centro-destra si può trovare una simile abiezione (nel nome dell’alternanza) del centro-sinistra. A votare a favore dell’utilizzo dei missili europei in territorio russo, per dire, sono stati per l’Italia: FdI, FI e PD; tutta gente che, potendo, si venderebbe l’Abruzzo per un attico a Manhattan.

Così, oggi siamo tutti all’interno di un meccanismo infernale, autolesionista, privo di sbocchi perché incapace di immaginare una forma di vita alternativa, che non sia una variante delle rappresentazioni hollywoodiane.

Siamo tutti dentro la bolla del thatcheriano “there is no alternative” e tutto ciò che culturalmente non vi si confà è derubricato a deplorevole eccentricità, roba che nessuna persona per bene intratterrebbe (“oscurantismo – va da sé, religioso”, “familismo – va da sé, amorale”, “populismo”, “sovranismo”, “rossobrunismo”, ecc.).

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Alfio Squillaci, autodefinitosi sulla sua pagina Facebook come “studioso dilettante di trame letterarie e ideologiche”, propone una riflessione sul post del professor Andrea Zhok, mettendo in luce una potenziale contraddizione nella critica espressa dal filosofo. Squillaci riconosce la severità della critica che Zhok rivolge all’Unione Europea, accusata di essere subordinata agli interessi del neoliberismo statunitense. Osserva che Zhok, con il suo libro Critica della ragione liberale, si pone in maniera anticapitalista, antiamericanista e antineoliberista, posizioni che Squillaci considera pienamente legittime e comprensibili. Tuttavia, sottolinea come Zhok possa esprimere queste posizioni liberamente all’interno di un’università italiana, parte del mondo occidentale, da lui stesso criticato.

Squillaci si concentra poi su un passaggio specifico dell’articolo di Zhok, in cui viene lamentata la “devastazione delle menti prodotta dagli schermi portatili”. In modo autoironico, Squillaci ammette di trascorrere molte ore davanti agli schermi, leggendo contenuti su piattaforme digitali, incluse quelle considerate parte del sistema neoliberista. Egli riconosce che anche lui è parte di quel fenomeno di “devastazione mentale” denunciato da Zhok, ma allo stesso tempo sottolinea come lo stesso Zhok diffonda i propri scritti critici attraverso queste stesse piattaforme.

Il nodo centrale del commento di Squillaci risiede nella riflessione sul paradosso implicito: sia il critico del neoliberismo, sia chi ne consuma le idee, sembrano entrambi intrappolati all’interno del sistema neoliberista che cercano di criticare. Squillaci si domanda se sia lui a peccare nell’utilizzare queste piattaforme, o se anche Zhok non commetta una simile infrazione nello scriverci sopra. Chiude con una riflessione filosofica, richiamando l’immagine dell’ouroboros, il serpente che si morde la coda, simbolo di un circolo vizioso da cui sembra impossibile sfuggire, dove critica e partecipazione al sistema convivono inestricabilmente.

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In una discussione intellettuale, è comune imbattersi in un tentativo di ridimensionare la validità di una critica mettendo in luce le contraddizioni personali di chi la esprime. Questo approccio, tuttavia, sposta l’attenzione dal cuore del problema e non ne affronta i contenuti. Non è insolito, infatti, che si utilizzi il contesto o i mezzi offerti da un sistema per criticarlo dall’interno. Eppure, questa apparente contraddizione non inficia la legittimità della critica stessa. Un tale approccio, a ben vedere, somiglia alla classica fallacia “ad hominem”, che non risponde all’argomentazione, ma mira a discreditare chi la propone.

Il fatto che una critica al neoliberismo venga espressa tramite piattaforme create e alimentate da quel medesimo sistema è un’inevitabile conseguenza della pervasività del contesto culturale ed economico in cui viviamo. Il vero nodo da sciogliere non riguarda l’uso di tali strumenti, ma piuttosto la capacità di discernere, analizzare e, quando necessario, sovvertire il sistema stesso. Non si tratta di abbandonare tali strumenti, ma di usarli in maniera critica e consapevole.

La domanda non dovrebbe essere se il semplice fatto di usare piattaforme digitali neoliberiste comporti un’adesione al neoliberismo, ma se chi le usa riesca a mantenere una lucidità critica. Non è l’uso della tecnologia in sé a generare asservimento, quanto l’accettazione passiva dei modelli e dei valori che essa veicola. Esiste una differenza sostanziale tra il leggere e l’assorbire passivamente, tra l’utilizzare e l’essere utilizzati. In questo senso, una critica efficace non si esaurisce nell’abbandonare gli strumenti del sistema, ma si realizza nel mettere in discussione le strutture di potere e le narrazioni dominanti da cui tali strumenti traggono origine.

L’apparente paradosso che emerge dall’uso di strumenti “neoliberisti” per criticare il neoliberismo non è un circolo vizioso irrisolvibile. È piuttosto il riflesso di una condizione in cui la totalità culturale ed economica è tale che nessuno può agire al di fuori di essa. Tuttavia, ciò non significa che sia impossibile proporre un pensiero critico all’interno di quel contesto. È proprio da dentro, dalla comprensione e dall’uso delle sue contraddizioni, che si può combattere il sistema. Rinunciare a questi strumenti equivarrebbe a cedere il campo senza neanche aver tentato una battaglia.

La questione non è se si debba fuggire da questa situazione rifiutando in blocco la modernità tecnologica, ma se si sia in grado di utilizzare le sue risorse per sviluppare una critica che non si limiti alla superficie delle cose. La vera lotta consiste nel mantenere viva la capacità di giudizio e non accettare il dogma del “there is no alternative” come inevitabile.

In definitiva, non si combatte il neoliberismo spegnendo il proprio smartphone, ma alimentando una consapevolezza che vada oltre l’apparente normalità di ciò che ci circonda, senza cedere alla passività di una vita dominata da ciò che altri hanno già immaginato per noi.

Chris Montanelli

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