Processo Salvini: ecco come si trasforma l’abuso di potere in eroismo

Il processo a Salvini per Open Arms diventa una farsa politica, con il governo schierato a difesa del ministro e la giustizia italiana sempre più delegittimata.

Il processo a Matteo Salvini per il caso Open Arms si trasforma in un circo politico, con l’imputato che gioca a fare la vittima sacrificale, gridando al complotto mentre si vanta di “difendere i confini”. Sei anni di carcere chiesti dai pm? Lui non patteggia, non si dimette e, se condannato, troverà “altri” che gli daranno ragione. Intanto, la corte dei miracoli del governo, da Meloni a Tajani, si mobilita in difesa dell’eroe nazionale, sferrando attacchi eversivi alla magistratura, accusata di fare politica. Questo grottesco attacco a uno dei poteri dello Stato non sorprende più nessuno: il veleno instillato da Berlusconi continua a scorrere, mentre il governo realizza i suoi sogni di demolire la giustizia e rafforzare il proprio potere, senza che nessuno muova un dito.

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Salvini tira la corda, il governo lo segue, la democrazia muore

di Silvia Truzzi

Il processo è politico per la sola ragione che l’imputato di professione fa il politico. Anzi di più: è un ministro, anche se non più dell’Interno ma dei Trasporti, materia di cui peraltro non pare appassionarsi particolarmente. Matteo Salvini, per il quale i pm di Palermo hanno chiesto sei anni di carcere nel processo Open Arms, ci tiene a sottolineare che “non patteggerà”. Il riferimento naturalmente è all’ex governatore della Liguria Toti che, a sorpresa, ha patteggiato la sua pena cercando di farla passare per un’assoluzione, anzi un premio che gli hanno dato i giudici (e facendo passare noi per idioti). Ma Matteo Salvini, che finalmente si riprende la scena dopo esser stato messo in ombra da ministri ben più carismatici di lui (da Lollobrigida al fu Sangiuliano) ha detto e continua a dire anche molte altre cose, assai pericolose (nel suo spericolato italiano). Per esempio: “Se mi assolvono continuo a fare il mio lavoro, se venissi condannato lo ritengo profondamente ingiusto, troveremo altri che ci danno ragione. Non ho nessuna intenzione di patteggiare, mediare o dimettermi, ritengo fosse il mio dovere difendere i confini”. E chi sono gli “altri” che gli daranno ragione? Forse altri giudici, o meglio è sperabile che si riferisca ad altri giudici – d’appello o di cassazione – visto che si è detto pronto ad affrontare tutti i gradi di giudizio e non vogliamo nemmeno pensare a diverse possibili interpretazioni. Non è chiaro cosa farebbe se lo condannassero in via definitiva: ci sarà da essere pazienti e aspettare, si sa che la giustizia in questo Paese non va di fretta.

Così il ministro può fare il martire della patria (è il caso di dirlo): “Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani. Mi dichiaro colpevole di aver mantenuto la parola data”. Intanto però quel che è successo sabato è di una gravità inaudita, come ha ben scritto ieri il dottor Esposito su queste colonne. Appena è uscita la notizia della richiesta dei pm, è arrivata una nota di solidarietà della premier: “Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo”. Segue a ruota mezzo Consiglio dei ministri: il noto giureconsulto Tajani (“Matteo Salvini ha fatto il suo dovere di ministro dell’Interno per difendere la legalità. Chiedere 6 anni di carcere per questo motivo appare una scelta irragionevole e per giunta senza alcun fondamento giuridico”); il successore Piantedosi (“Il rischio di una condanna a sei anni di carcere, per aver fatto fino in fondo il suo dovere nel contrasto all’immigrazione irregolare, è una evidente e macroscopica stortura e un’ingiustizia per lui e per il nostro Paese”); il guardasigilli Nordio (“Piena e affettuosa solidarietà”), il primo che avrebbe dovuto astenersi. E pure il presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato: “Non tocca alla magistratura correggere le norme, anche quando fossero sbagliate: può solo applicare la legge”. La cosa, cioè la reazione del governo – nella sostanza eversiva – non ha sconvolto quasi nessuno. Del resto la plurimputata ministra Daniela Santanchè è ben salda sulla poltrona. Eppure, se ci pensate, siamo di fronte a un attacco a testuggine contro un potere dello Stato da parte di un altro potere dello Stato: il lungo inverno della democrazia, in cui Silvio Berlusconi ha sistematicamente introdotto veleno contro i magistrati, continua allegramente a dare i suoi frutti delegittimanti. Tanto che migliaia di messaggi di insulti e minacce indirizzati ai pm di Open Arms hanno spinto la procuratrice generale di Palermo Lia Sava a rivolgersi al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. E il governo che depenalizza l’abuso d’ufficio, separa le carriere, smantella l’ordinamento giudiziario e vuole rafforzare a dismisura i propri poteri realizza tutti i sogni di Berlusconi: altro che democratura.

Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2024

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