L’attacco attraverso cercapersone esplosivi in Libano rappresenta un colpo psicologico e terroristico su larga scala, colpendo indiscriminatamente civili e causando morti e feriti. Questo evento sottolinea come la globalizzazione, anziché essere un paradiso di scambi, riveli il potenziale di trasformare beni di consumo in strumenti di conflitti politici e militari. Il coinvolgimento di Taiwan nella catena produttiva occidentale accentua l’idea di una separazione crescente tra il “miliardo d’oro” e il resto del mondo. Hezbollah, nato come reazione all’invasione israeliana, oggi è un partito politico potente in Libano, e le azioni di Israele sono ormai assimilate alla normalità.
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di Andrea Zhok
L’attacco israeliano attraverso i cercapersone in Libano sta suscitando, comprensibilmente, grande dibattito.
A quanto pare una carica di 20 grammi di un potente esplosivo è stato inserito a monte in uno stock di cercapersone Motorola (azienda USA) provenienti da Taiwan 5 mesi fa. Questo stock era destinato al mercato libanese, con acquirenti nel gruppo di Hezbollah. Al momento si parla di 11 morti e 4000 feriti, di cui 200 in condizioni critiche.
Un attacco del genere naturalmente non può essere selettivo per definizione. Anche laddove ci fosse stata la certezza dell’identità dell’acquirente mesi fa, al momento dell’attacco l’oggetto poteva essere in prossimità di chiunque. E infatti le immagini che vediamo dall’ospedale di Beirut mostrano una variegata umanità coinvolta nei ferimenti.
Un attacco del genere ha tutte le caratteristiche definitorie dell’attacco terroristico. Si tratta di un attacco in zona civile su soggetti civili, indiscriminato, il cui primario intento non ha carattere né militare né difensivo, ma psicologico: si tratta di impressionare il nemico con la propria capacità di colpirlo in forma dura, remota e inaspettata.
Il colpo è indubbiamente riuscito.
Quale sarà l’impatto psicologico lo vedremo probabilmente a breve, visto che tutto lascia presagire l’avvio di un’azione militare israeliana in Libano in tempi brevi.
Non va trascurato qui un messaggio secondario che emerge dalla vicenda. Si tratta dell’ennesima pietra tombale sull’oramai stecchita idea della globalizzazione come realizzazione di un lieto villaggio globale, un paradiso di liberi scambi internazionali. Qui non c’è naturalmente niente di casuale nel fatto che il fornitore dei cercapersone esplosivi, Taiwan, appartenga ad una catena produttiva legata all’Occidente (pur essendo il territorio formalmente parte della Repubblica Popolare Cinese). Se finora si era in qualche misura mantenuta l’idea che i manufatti sono semplicemente manufatti, e chi li ha prodotti non conta, da oggi in poi è chiaro a chiunque che in ogni manufatto si cela potenzialmente il tassello di una strategia politica, militare, spionistica che va al di là dei meccanismi di mercato; e che da chi compri l’auto, il televisore, il telefonino, il computer (ma anche beni meno tecnologicamente elaborati) diviene cruciale non solo dal punto di vista economico. Questo fatto credo spingerà in ancora maggior misura i paesi estranei al blocco produttivo occidentale a sviluppare catene produttive indipendenti, portando ad una separazione progressiva tra il “miliardo d’oro” e il resto del mondo.
Ma, tornando al Libano, è utile ricordare che Hezbollah, il bersaglio esplicito dell’attacco, nasce come milizia paramilitare nel 1982, come reazione difensiva dei gruppi sciiti all’invasione israeliana del Libano nell’operazione “Pace in Galilea” (quella durante la quale avvenne il massacro di Sabra e Shatila, per intenderci).
Nel tempo, tuttavia, Hezbollah è divenuto un partito politico, che si presenta regolarmente alle elezioni e che rappresenta il partito di maggioranza relativa nell’assemblea legislativa libanese (nelle elezioni del 2022, 61 seggi su 128).
Che Israele agisca con modalità di natura terroristica oggi non solleva più neppure uno sbuffo, tanta è l’assuefazione. Dopo quello che è accaduto nell’ultimo anno in Palestina il terrorismo tecnologico è la modalità più civile ed elegante tra quelle messe in campo dall’IDF: cosa vuoi che sia un attacco indiscriminato che unabomber nasconditi rispetto a una bella bomba intelligente da 500 kg su un campo rifugiati?
Siamo oramai da tempo al di là di ogni limite morale e civile.
A noi, sguardi periferici ed impotenti, non resta che cercare di conservare la memoria del male, senza scuse, senza infingimenti, registrarlo e ricordarcene in futuro, per quando arriveranno nuovi discorsi sulla necessità inderogabile di “guerre umanitarie”, sull’esigenza di “esportare la democrazia”, sull’imperativo categorico del bianco cavaliere occidentale di difendere in ogni dove i “diritti umani”.