Mentre il governo italiano si concentra su questioni interne e gossip, la situazione in Libia si fa sempre più critica. La Turchia ha nuovamente impedito all’UE di ispezionare una nave sospettata di trasportare armi a Tripoli, segnalando un coinvolgimento crescente nel conflitto libico. L’Italia, alleata di Tripoli, si trova in una posizione delicata tra gli interessi turchi e il sostegno della Russia al generale Haftar. La crisi si complica ulteriormente con lo scontro per il controllo dei proventi petroliferi, che potrebbe precipitare la Libia in un collasso economico, con conseguenze gravi per l’Italia. La situazione richiede attenzione urgente, ma il governo sembra più preoccupato di faccende marginali.
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Presa dal gossip Meloni rimane spiazzata in Libia
di Alessandro Orsini
Mentre il governo Meloni profonde il massimo sforzo per controllare il gossip, la situazione in Libia assume una piega pericolosa per l’Italia. Ed è forse giunto il momento di lanciare un grido d’allarme. Domenica scorsa, la Turchia ha impedito nuovamente ai funzionari dell’Unione europea di ispezionare una sua nave sospettata di trasportare armi a Tripoli. L’Ue è impegnata nella missione Irini per l’embargo delle armi in Libia stabilito dalla risoluzione 2292/2016 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. È la sesta volta dal 2022 che la Turchia impedisce di ispezionare una sua nave diretta in quel Paese martoriato. È significativo che il rifiuto turco sia arrivato pochi giorni dopo l’incontro tra Ibrahim Kalin, capo dei servizi segreti di Erdogan, e Abdul Hamid Dbeibah, premier di Tripoli. Kalin è arrivato a Tripoli il 5 settembre; la Turchia ha proibito l’ispezione della sua nave tre giorni dopo, l’8 settembre. La questione è estremamente complessa. L’unico modo di renderla chiara è procedere per punti.
La prima informazione è che la Turchia sta inviando armi a Tripoli perché la Russia le sta inviando alla fazione del generale Haftar e viceversa. In Libia, si è nuovamente scatenato il “dilemma della sicurezza”. La seconda informazione è che la Turchia e l’Italia sono alleati in Libia. L’Italia difende il governo di Tripoli a sua volta difeso dalla Turchia. La gran parte degli interessi nazionali dell’Italia è concentrata in Tripolitania. L’Italia e la Turchia difendono il governo di Dbeibah e sono entrambi rivali del generale Haftar che, invece, è difeso da Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e pure dalla Francia. Quando Mario Draghi accusava Erdogan di essere un “dittatore”, dimenticava che i soldati turchi avevano difeso l’ambasciata italiana a Tripoli durante l’assedio di Haftar del 2019-2020. Se Haftar avesse conquistato la città, l’Italia avrebbe subito un danno geopolitico grandissimo in proporzione al suo ruolo ormai piccolissimo nel Mediterraneo. La penetrazione strategica in Tripolitania è quasi tutto ciò che resta all’Italia dopo decenni di ridimensionamento geopolitico causato principalmente dalla sua caduta economica e da politiche estere sbagliate, incluso il bombardamento illegale della Nato del 2011 per il rovesciamento di Gheddafi in collaborazione con i ribelli libici.
Senza l’intervento militare di Erdogan approvato dal parlamento turco, il 2 gennaio 2020, Tripoli sarebbe caduta quasi certamente nelle mani di Haftar e la Libia sarebbe oggi sotto l’influenza della Russia che ambisce a ottenere un porto davanti all’Italia per le sue navi da guerra. Non proprio una prospettiva entusiasmante visto che il governo Meloni fa la guerra ai russi usando gli ucraini. La difesa degli interessi nazionali dell’Italia in Libia è una delle ragioni per cui invocavo la diplomazia in Ucraina, il 24 febbraio 2022. Haftar controlla la Cirenaica e si espande pure nel Fezzan, dove sta negoziando con il Niger il controllo della base di confine di Madama, un tempo della Francia, fondamentale per la gestione dei flussi migratori. Esiste il rischio che Haftar, conquistando Tripoli, tratti l’Italia come un’immigrata irregolare, foglio di via incluso.
La terza informazione è che in Libia la situazione sta precipitando a causa di uno scontro per il controllo dei proventi del petrolio. La cosa riguarda l’Italia in maniera strettissima. I due rivali, Haftar e Dbeibah, si sono messi d’accordo come segue. La Banca centrale, basata a Tripoli, controlla i soldi ricavati dal petrolio, che si trova in misura preponderante nella zona di Haftar. E adesso veniamo alla corsa verso il baratro. Alcune settimane fa, il premier di Tripoli ha licenziato il governatore della banca centrale, Sadiq al-Kabir. Timoroso di essere ucciso, al-Kabir è scappato a Istanbul con alcuni codici segreti che hanno paralizzato le transazioni. Haftar si è infuriato e ha sospeso la produzione di petrolio, crollata dell’81% in pieno scandalo Sangiuliano. La Libia rischia il tracollo finanziario. La quarta informazione, la peggiore di tutte, è che Haftar sta inviando soldati nell’oasi strategica di Gadames, al confine tra Tunisia e Algeria, perché vuole porsi nella condizione di attaccare Tripoli (anche) alle spalle. A Tripoli c’è un ambasciatore italiano, della cui sicurezza, in teoria, dovremmo occuparci più del gossip agostano. Per non parlare degli interessi di Eni e, quindi, di mezza Italia o forse tutta, in piena crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. Dalla Libia all’Ucraina, la classe dirigente italiana dà pessima prova di sé. Un Paese che discute di guerre senza valutare i propri interessi nazionali è perso, quasi completamente.
Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2024