È diventato quasi impossibile trovare le parole per descrivere l’orrore che ogni giorno si consuma in Palestina, ma pare che a nessuno importi più. L’IDF e i coloni uccidono sistematicamente, mentre il mondo osserva in silenzio. Bombardare campi profughi, sparare ai bambini, impedire soccorsi e distruggere ospedali sono ormai la normalità, e il tutto si svolge sotto l’impeccabile protezione americana. Nessuna indignazione dura a lungo: ci si abitua persino ai massacri, e alla fine diventa solo una questione di contabilità. Del resto, la vita di un palestinese vale quanto la precisione di un missile israeliano. Ma tranquilli, i difensori dei “diritti umani” faranno sicuramente qualcosa… prima o poi.
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di Andrea Zhok
È difficile trovare le parole giuste per parlare ancora, dopo quasi un anno di massacri, di ciò che accade nella Palestina occupata. Non passa giorno che l’IDF, o gruppuscoli di coloni, non assassinino palestinesi innocenti.
Chi si informa su fonti attendibili, e non in quella sentina omissiva1 che è l’informazione ufficiale, sa che la bomba sul campo rifugiati, il cecchinaggio di bambini, l’uccisione dei (pochi) giornalisti presenti, il blocco armato dei soccorsi ONU, le mitragliate sulle ambulanze, l’arresto, la detenzione arbitraria e la tortura di semplici sospetti, sono eventi quotidiani.
E il tutto avviene in un contesto dove gli edifici rimasti in piedi sono una minoranza, e dove la morte per stenti o per mancanza di cure mediche è un evento ordinario.
Psicologicamente ogni essere umano ha una quantità di risorse emozionali limitate: non si può essere h24, per undici mesi in una condizione di disgusto e sdegno, per quanto questa sia l’unica disposizione emozionale corretta. Ad un certo punto subentra un ottundimento psicologico inevitabile, una stanchezza di fondo. La specie umana è disegnata in modo che all’emozione segua una decisione e un’azione. Se nessuna decisione e nessuna azione trovano spazio, l’emozione comincia ad appassire, anche se le sue ragioni rimangono vive.
È su questo meccanismo psicologico che contano tutti i macellai in doppio petto della storia: un assassinio efferato suscita sdegno, ma se l’assassinio sistematico, quotidiano, diviene una ruotine burocratica, allora ad un certo punto diventa una statistica. L’eccidio dei palestinesi è una partita doppia in cui bisogna solo calcolare con precisione quanto esce per le bombe e quanto entra dai finanziatori americani, e il resto è macellazione programmata ordinaria.
L’altro giorno la regista ebrea Sarah Friedland, accettando un premio alla Biennale di Venezia ha detto poche, importanti, parole:
“Accetto questo premio nel 336° giorno del genocidio di Israele a Gaza e nel 76° anno di occupazione. È nostra responsabilità, come registi, utilizzare le piattaforme istituzionali in cui lavoriamo per affrontare l’impunità di Israele sulla scena globale”.
Queste parole sono importanti innanzitutto perché sono un ammonimento a non far scivolare il sacrosanto disgusto per il comportamento dello stato israeliano in generico antisemitismo. Ci sono ebrei consapevoli dell’indifendibilità di Israele. E questo vale naturalmente anche in un altro senso: Israele la deve smettere di prendere in giro il mondo con il proprio stucchevole vittimismo, dove ogni critico sarebbe un antisemita.
E poi queste parole sono importanti per la loro pesata semplicità: 76 anni di OCCUPAZIONE armata illegittima + 336 giorni di GENOCIDIO (uccisione indiscriminata degli appartenenti ad un gruppo etnico con il fine di eliminarli da un territorio) + IMPUNITA’ sulla scena globale. Sono naturalmente certo che sul riferimento al genocidio qui salterà su il solito raffinato filologo da social che ci spiegherà, sul filo di un diritto elastico quanto un chewingum, che sì, ma no, “genocidio” è inappropriato, dipende, vedremo, le fonti, il consenso internazionale…
Ma anche basta.
Se vi basta cincischiarvi2 in verbalismi per distrarvi abbastanza da non vedere l’elefante nella stanza, questo è un vostro problema. E l’elefante è che noi stiamo vedendo qualcosa che fa impallidire illustri precedenti storici come la Rivolta del ghetto di Varsavia e lo stiamo vedendo in diretta (lì gli insubordinati all’occupante vennero uccisi nel numero di 13.000, qui siamo già a tre volte tanto.)
E l’unica, pelosa, ragione dell’impunità di Israele, la sola ragione al mondo per cui Israele non è messo immediatamente di fronte alle sue responsabilità, è che chiunque governi negli USA, garantisce e garantirà comunque protezione illimitata al proprio avamposto in Medio Oriente, Israele appunto.
L’unica ragione per cui un eccidio di innocenti continua su base quotidiana, senza scrupoli, nel più totale spregio di ogni legge terrena e divina, di ogni norma morale e di ogni diritto internazionale, è che questo rogue state3 è protetto dal bullo del quartiere.
E ora, commissari europei, senatori americani, presidenti e premier di varia estrazione, per piacere, continuate a spiegarci quanto a cuore vi stanno i “diritti umani”, quanto indomito è il vostro senso di giustizia. Attendiamo fiduciosi.
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NOTE
1. L’espressione sentina omissiva è una costruzione letteraria che può evocare l’immagine di un luogo oscuro o trascurato dove si accumulano omissioni, errori, e fallimenti. La parola “sentina” si riferisce originariamente alla parte più bassa di una nave dove si raccolgono i liquami, quindi ha un connotato negativo, un luogo di scarto. “Omissiva” invece richiama l’idea di omissione, di mancanza di azione o di responsabilità.
In un contesto metaforico, “sentina omissiva” potrebbe descrivere una situazione o una realtà caratterizzata da negligenze, omissioni e responsabilità ignorate, dove problemi e malefatte vengono accantonati e lasciati accumulare, senza essere risolti o affrontati.
Ad esempio, si potrebbe usare in un articolo per descrivere un’istituzione o un’organizzazione che ha ignorato ripetutamente delle problematiche: “La gestione dell’azienda è diventata una sentina omissiva, dove le carenze strutturali vengono coperte e i problemi accumulati senza mai trovare una soluzione.”
L’espressione ha un tono critico e si presta bene a un contesto di denuncia o di osservazione di mancanze.
2. Cincischiare è un verbo di origine colloquiale che significa perdere tempo in modo frivolo o distratto, dedicandosi a piccole azioni irrilevanti o evitando di affrontare compiti più importanti. Quando si dice che qualcuno “cincischia”, si vuole indicare che quella persona non si concentra su ciò che dovrebbe fare, indugia su dettagli insignificanti o si lascia distrarre facilmente.
Ad esempio, in un contesto di lavoro, si potrebbe dire: “Invece di finire il progetto, ha passato la giornata a cincischiare con i documenti.”
In una conversazione più leggera, può anche riferirsi a un atteggiamento noncurante o casuale verso un’attività, come quando si fa qualcosa senza metterci particolare attenzione o interesse.
3. Il termine rogue state (tradotto in italiano come “stato canaglia”) viene utilizzato nel linguaggio diplomatico e politico per descrivere un paese che si comporta in modo considerato pericoloso o imprevedibile rispetto agli standard internazionali. Un “rogue state” è solitamente un paese che:
- Viola il diritto internazionale o i diritti umani.
- Non rispetta i trattati internazionali.
- Sostiene o finanzia il terrorismo.
- Minaccia la stabilità globale, spesso con lo sviluppo di armi nucleari o altre armi di distruzione di massa.