di Chris Montanelli
Martin Scorsese, nel suo film L’ultima tentazione di Cristo (1988), ci offre una visione di Gesù profondamente radicata in interrogativi filosofici ed esistenziali. Il film, tratto dal romanzo omonimo di Nikos Kazantzakis, dipinge un Cristo diverso dall’iconografia tradizionale, presentandolo come un uomo tormentato dalle sue pulsioni umane e dalla sua missione divina. Quello che potrebbe sembrare solo un racconto religioso controverso diventa, invece, una riflessione complessa che prende le mosse dalla filosofia di Nietzsche e di Bergson, due pensatori apparentemente distanti dal cristianesimo, ma la cui influenza su Kazantzakis e Scorsese è innegabile.
L’approccio di Scorsese alla figura di Cristo si può leggere come un tentativo di sondare l’essenza stessa della divinità e dell’umanità, ed è qui che entrano in gioco due prospettive filosofiche fondamentali: da un lato, l’übermensch nietzschiano, il superuomo che sfida e supera la morale tradizionale, dall’altro l’élan vital di Henri Bergson, quella forza vitale creativa che attraversa l’essere e il mondo, spingendolo verso un’esistenza autentica, radicata nella libertà e nella crescita continua.
Nietzsche e l’Übermensch: La Sfida alla Compassione
Friedrich Nietzsche, con la sua critica feroce alla morale cristiana, pone al centro della sua filosofia l’Übermensch, l’uomo superiore che, liberatosi dai vincoli imposti dalla religione e dalla tradizione, si fa creatore dei propri valori. Nietzsche vede nel cristianesimo una dottrina della debolezza, che glorifica la compassione e il sacrificio, esaltando la sofferenza come virtù e rifiutando la volontà di potenza. Secondo Nietzsche, Cristo è l’emblema di questa rinuncia alla vita e alla forza, un simbolo di sottomissione che incarna una morale dell’umiltà e della sconfitta. L’Übermensch invece disprezza questa forma di compassione, vedendola come una limitazione della potenza creativa e dell’autorealizzazione dell’individuo.
Nel film di Scorsese, il Cristo che vediamo non è ancora il Dio della resurrezione e della gloria, ma un uomo che lotta con i propri desideri e le proprie debolezze. Questo Cristo è tentato dall’idea di vivere una vita ordinaria, sposarsi, avere dei figli, sfuggendo così al peso della croce e al suo destino divino. Questo desiderio di un’esistenza terrena risuona con l’idea nietzschiana di rifiuto del sacrificio, dell’abbandono della sofferenza come via per la redenzione. Tuttavia, mentre Nietzsche invoca un abbandono totale della morale cristiana, il Cristo di Scorsese resta intrappolato nella tensione tra il volere umano e il dovere divino.
Il film ci mostra un uomo dilaniato, che rifiuta l’idea di essere un messia in termini assoluti, ma che al tempo stesso non può del tutto liberarsi dalla missione che gli è stata affidata. È in questo conflitto che si intravede l’ombra dell’Übermensch: un Cristo che cerca di definire se stesso al di là dei dogmi, che vorrebbe affermare la propria volontà al di là delle aspettative divine e umane. Tuttavia, alla fine, il Cristo di Scorsese non raggiunge la libertà nietzschiana; la sua scelta finale, quella di accettare la croce, sembra ancora radicata in una logica di sacrificio.
Bergson e l’Élan Vital: La Vita come Creazione
Se Nietzsche ispira la tentazione di Cristo di rinunciare alla croce e abbracciare una vita terrena, è Henri Bergson, con il suo concetto di élan vital, a dare una chiave di lettura alternativa al film. L’élan vital è quella forza creativa, quel movimento incessante che attraversa tutta la vita e la spinge verso l’evoluzione, il cambiamento e la creazione. Per Bergson, la vita non è un dato statico, ma un flusso continuo che sfugge alle strutture rigide del pensiero e della morale tradizionale.
L’influenza di Bergson si percepisce nel modo in cui il film esplora la libertà e la creazione. Il Cristo di Scorsese non è solo un uomo che combatte con la sua missione divina, ma anche una figura che vive la vita come un processo in divenire, spinto da una forza vitale che lo attraversa. La sua tentazione di vivere una vita normale non è solo un atto di ribellione contro Dio, ma anche un’espressione di quell’élan vital che lo spinge a voler creare, amare, esistere nel mondo. In questo senso, Cristo diventa il simbolo di una tensione tra l’essere e il divenire, tra la vita come un progetto già scritto e la vita come un’opportunità creativa.
La forza vitale bergsoniana si riflette nelle visioni del film, in particolare nel sogno tentatore in cui Cristo immagina una vita normale, piena di gioia e amore. In queste scene, la vita non è vista come un sacrificio, ma come un’esperienza di bellezza e pienezza, una celebrazione della capacità umana di creare e vivere in modo autentico. Tuttavia, anche qui, la tentazione rimane incompleta, poiché il Cristo di Scorsese alla fine rinuncia a questa visione per abbracciare il proprio destino.
Il Cristo di Kazantzakis e Scorsese: Una Sintesi Impossibile?
In L’ultima tentazione, sia Kazantzakis che Scorsese sembrano muoversi su un filo sottile, cercando di integrare due visioni apparentemente inconciliabili: l’aspirazione nietzschiana al superamento della morale cristiana e la vitalità creatrice di Bergson. Cristo diventa così un uomo che vive al confine tra l’essere e il divenire, tra la volontà di potenza e la forza creativa. Ma questo Cristo non è né un Übermensch né un semplice mortale animato dall’élan vital. È piuttosto una figura che incarna la complessità dell’esistenza umana, la tensione tra la libertà individuale e la sottomissione a un ordine superiore.
Questa ambivalenza rende il film di Scorsese una riflessione filosofica profonda e controversa. Il Cristo che ci viene presentato non è solo una figura religiosa, ma un uomo che lotta con la sua stessa umanità, che cerca di trovare un equilibrio tra la volontà di vivere pienamente la propria esistenza e l’accettazione di un destino che lo trascende. L’opera di Scorsese non offre risposte definitive, ma piuttosto apre uno spazio di riflessione sulle contraddizioni dell’esistenza, sulle scelte che definiscono l’essere umano e sul ruolo che la libertà e la creatività giocano nella nostra vita.
L’ultima tentazione di Cristo è, quindi, molto più di un film religioso. È un’esplorazione filosofica che mette in scena la tensione tra Nietzsche e Bergson, tra l’Übermensch e l’élan vital, tra la rinuncia e la creazione. Il Cristo di Scorsese è una figura che vive nell’ambiguità, una sintesi impossibile tra la volontà di potenza e la vitalità creatrice. In questo senso, il film invita lo spettatore a riflettere non solo sulla figura di Cristo, ma anche sulla natura dell’essere umano, sulla sua capacità di scegliere, creare e definire se stesso in un mondo che offre infinite possibilità e altrettante contraddizioni.