Trump Ferito in Pennsylvania: La Lotta Politica Diventa Violenta

L’ex presidente americano, e candidato presidenziale, Donald Trump è stato oggetto ieri di un attentato ad un raduno a Butler, […]

L’ex presidente americano, e candidato presidenziale, Donald Trump è stato oggetto ieri di un attentato ad un raduno a Butler, in Pennsylvania.

Un proiettile di fucile lo ha ferito all’orecchio destro, senza ulteriori conseguenze.

Il cecchino, che in una ripresa pochi istanti prima del colpo si vede in bella vista, è il ventenne Thomas Matthew Crooks, ucciso nella successiva sparatoria.

Nella medesima sparatoria uno spettatore è stato ucciso e due feriti.

Se la dinamica dell’attentato non lo escludesse (un proiettile a due centimetri da un punto vitale non può essere una messinscena) si sarebbe potuto pensare ad un finto attentato a sostegno della candidatura, visto che poche cose sono generalmente più benefiche ad un risultato elettorale che apparire nel ruolo della vittima.

Ma siamo tempi singolarmente stupidi e, purtroppo, Trump appare come una “vittima dell’odio” semplicemente perché lo è. Questo non lo rende una bella persona ma è un fatto che merita qualche riflessione.

Il processo e la recente condanna di Trump da parte del tribunale di New York per il caso Stormy Daniels andavano precisamente nella stessa direzione.

In effetti, neanche 24 ore prima Biden in un discorso pubblico aveva presentato Trump come “minaccia per la nazione”, e questo è il tenore normale del dibattito.

La stessa atmosfera serena è quella che ha coinvolto le sorti del più noto sostenitore di Trump in questa campagna elettorale, Ellon Musk, le cui attività economiche (in particolare il social X) sono state oggetto di una serie di attacchi concertati di tipo istituzionale (in USA e UE). Lo stesso Musk – stando a quanto da lui stesso riferito – è stato oggetto di due tentativi di assassinio negli ultimi otto mesi.

Ciò che traspare, e che pur non essendo una novità merita di essere soppesato, è che la radicalizzazione della lotta politica in Occidente ha raggiunto livelli inediti, pur in assenza di significative differenze ideologiche.

In Occidente, e negli USA in particolare, il mutuo disprezzo, l’assoluta mancanza di riconoscimento di legittimità agli avversari politici, è divenuta parte integrante, ordinaria, della vita pubblica. Ma, diversamente da altri periodi storici, questa delegittimazione radicale NON è dovuta al contrapporsi di visioni del mondo distanti e antitetiche, non al confronto tra ideologie palingenetiche incompatibili. Tutt’altro. Il disprezzo e l’avversione hanno una carattere personale, psicologico, epidermico, e tuttavia assoluto.

Questa forma di tribalismo primitivo, prepolitico, è analoga all’avversione e disprezzo che può avvenire, oggi, tra due tifoserie calcistiche: le squadre sono di fatto intercambiabili, spesso gli stessi giocatori cominciano in una squadra e finiscono acquistati dall’altra; non c’è nessuna “sostanza” della squadra che rimane la medesima, e tuttavia la coltivazione dell’odio reciproco è essa stessa un ultimo livello di motivazione, e può portare alla violenza più estrema.

Nella cornice del nichilismo occidentale, in mancanza di ideali alternativi, di prospettive positive, l’ultimo orizzonte motivazionale rimasto è quello implicito nella creazione dell’odio, del disgusto per l’avversario, che viene dipinto in forme umanamente deprecabili e di cui l’unico attributo esposto è l’assoluta, inderogabile inaccettabilità. Se non puoi amare niente, se non hai niente da sperare, almeno puoi mantenere in vita una spinta motivazionale minima in forma di un’oscura “difesa dalla minaccia estrema”.

Lo scenario politico è costantemente polarizzato (o frammentato se il sistema non è bipartitico), pur in sostanziale assenza di autentiche differenze ideali.

Quest’assoluta delegittimazione de L’Altro, percepito letteralmente come Alieno, in un senso naturalistico, quasi biologico, si accompagna alla legittimazione di qualunque cosa sia atta a metterlo fuori gioco.
Le regole saltano, il fine giustifica i mezzi, perché (come nei film americani) la scelta viene sempre presentata all’insegna del rischio del Male Assoluto. Nella recente filmografia americana la dinamica morale più frequente è quella in cui vengono presentate delle regole morali (virtù, regole kantiane o religiose) solo per mostrare come esse debbano cedere il posto – a malincuore, si intende – ad una scelta ultima di tipo drasticamente utilitarista: “Sì, non si dovrebbe torturare o uccidere l’innocente, ma se l’alternativa è la Fine Del Mondo?” (Nei film americani si fa regolarmente strame di ogni regola morale ordinaria perché bisogna salvare il mondo e l’umanità almeno due volte prima di cena, e di fronte a simili scelte tragiche, va da sé che il fine giustifica qualunque mezzo.)

Il meccanismo di delegittimazione prepolitica dell’Altro è presente, soprattutto nella politica americana, da lungo tempo: qui i candidati si fanno e disfano non sulle idee, ma sulle foto con l’amante, sulle registrazioni a microfoni spenti, sulle accuse a scoppio ritardato di testimoni compiacenti, insomma sulla base di un letamaio da cui ci si difende soltanto con carriole di soldi per avvocati e media.

Ma, come sempre accade, il peggio degli USA trasmigra regolarmente in Europa con un paio di decenni di ritardo ed ora queste dinamiche sono ben visibili anche da noi.

Più la politica è intercambiabile, più è impermeabile alla volontà popolare, più è vuota di visione, di idealità alternative, e più la lotta si psicologizza, si animalizza, si riduce a disprezzo epidermico di fronte all’Alieno.
E quanto più ciò si verifica, tanto più ogni regola morale, ogni equilibrio giuridico, saltano: perché con i rettiliani non si discute, si spara.

Andrea Zhok

Torna in alto