Racconto di due stagioni
Regia di Nuri Bilge Ceylan
Samet è un insegnante che viveva a Istanbul, ma da anni è stato assegnato a un villaggio remoto nell’Anatolia orientale. Tornato dalle vacanze per il trimestre invernale, lui e il suo collega e coinquilino Kenan vengono presto accusati di comportamento inappropriato da due studentesse. Con grande sgomento di Samet, una di loro è Sevim, che fino a quel momento era stata una sua protetta. Nel frattempo, sia Samet che Kenan incontrano insieme, e poi separatamente, Nuray, un’insegnante di un villaggio vicino. Quest’ultima è stata vittima di un’esplosione terroristica qualche tempo prima e ha perso una gamba. Insieme discutono delle possibilità e delle difficoltà di vivere nella regione. Mentre Kenan e Nuray sembrano innamorarsi, l’atteggiamento di Samet cambia e anche lui comincia a interessarsi a Nuray nonostante la sua prima impressione.
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Le “due stagioni” sono la “sinfonia” filmata da Ceylan
di Anna Maria Pasetti
Esistono film dalla regolare durata di un’ora e mezza che sembrano infiniti. Esiste poi il cinema di Nuri Bilge Ceylan che ne utilizza almeno il doppio ma lo fa apparire necessario, come un lungo e denso flusso di nutrimento per gli occhi, l’intelligenza e la coscienza.
Non fa eccezione il suo nuovo capolavoro — e il termine è quanto mai pesato — presentato in concorso a Cannes 2023 e finalmente anche nelle sale italiane dal 20.6. Kuru Otlar Ustune, letteralmente “A proposito dell’erba secca” ma nel titolo italiano diventato Il racconto di due stagioni, affida il punto di vista a un giovane professore di scuola media trasferito in servizio da alcuni anni in un piccolo villaggio curdo della profonda Anatolia, da cui non vede l’ora di fuggire per dirigersi verso la civilizzata Istanbul.
Samet, questo il suo nome, insegna storia dell’arte, si diletta a scattare fotografie all’ambiente naturale e umano, ha un’alunna preferita a cui dona regali di nascosto. Dietro all’apparente sicurezza e all’indubbio fascino, è una persona irrisolta, ambigua e inquieta, mossa da un individualismo e un nichilismo ai limiti del cinismo che gli impediscono di costruire rapporti sinceri con la realtà circostante. Per Samet la verità è una forma d’inganno. Il cineasta turco, sorretto dall’interpretazione di Deniz Celiloglu come protagonista, ma anche dalla splendida Merve Dizdar (miglior attrice a Cannes) nei panni di Nuray, la giovane collega di cui l’uomo s’innamora ma che di lui è l’esatta antitesi, utilizza i pochi ma saldamente scritti personaggi a metonimia della società turca contemporanea, sempre più contraddittoria e costruita sul sottile confine tra libertà apparenti e ingiustizie sotterranee. Ecco che in un lentissimo crescendo dialogico ma anche di loquaci silenzi su paesaggi mozzafiato come è tipico del suo cinema immaginifico, il già vincitore della Palma d’oro nel 2014 Bilge Ceylan traghetta il racconto nella sua sostanza più potente, una spirale deflagrante in cui l’umanità si perde per venire necessariamente a patti con la propria natura.
Del resto le foglie secche, che dalla neve invernale transitano direttamente al giallo estivo per seccare in un istante, sono le due stagioni della vita, che in un angolo sperduto di mondo dove tutto si confonde e il tempo sembra sospeso in un infinito passato, sono coloro a cui è svelato l’enigma dell’esistenza umana. Samet, che sa pensare e riflettere, è dunque l’emblema del raziocinio che non può che arrendersi alla fragilità del destino, attribuendo alla ragazzina sua studentessa quel piccolo segno di trascendenza necessario a sopravvivere alla propria stanchezza di sperare. Opera monumentale per portata artistica, narrativa e tematica, Il racconto di due stagioni aggiunge un esemplare tassello alla già straordinaria cinematografia di Bilge Ceylan mettendo in forma il miglior cinema che possa esistere.
Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2024