Luciano Canfora – Parigi 1871: l’esperimento comunista | Lezioni di storia

Tra il 18 marzo e il 28 maggio del 1871 si consuma un esperimento politico straordinario: i parigini danno vita a una autogestione comunista della società, dalle scuole alle fabbriche, dai musei ai trasporti, la cui fine tragica non ne ha cancellato la forza simbolica.

La lezione di Luciano Canfora al Teatro Bellini di Napoli ha esplorato la Comune di Parigi del 1871, un esperimento di autogoverno durato solo due mesi ma di enorme significato storico. Partendo dalla sconfitta militare della Francia e l’incoronazione di Guglielmo I a Versailles, Canfora ha descritto come il movimento comunardo, con le sue politiche egalitarie e rivoluzionarie, rappresentasse una minaccia percepita tanto dal governo francese quanto dalla Prussia. Nonostante il fervore rivoluzionario, la Comune fu rapidamente schiacciata con una repressione feroce, culminata nella “settimana di sangue” che vide l’uccisione di 30.000 comunardi. Questa tragica esperienza ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del movimento operaio internazionale, ispirando future generazioni di rivoluzionari.

Data di pubblicazione: 20 dicembre 2021

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Buonasera, buonasera a tutti e benvenuti o bentornati qui al Teatro Bellini di Napoli. È un vero onore per me presentare il relatore di questo pomeriggio, Luciano Canfora.

Luciano Canfora è professore emerito di filologia classica all’Università di Bari, dirige i Quaderni di Storia e collabora con il Corriere della Sera. A buon diritto può essere considerato uno dei massimi filologi che l’Italia, e non solo, ha avuto. Tra l’altro, il rapporto con la casa editrice Laterza è fecondo e antico: ci vorrebbe veramente una lezione solo per elencare la bibliografia del professore.

Ma vi do qualche titolo: partiamo da La democrazia. Storia di un’ideologia fino a Il mondo di Atene, che chiunque abbia sfiorato anche solo gli studi classici ha letto, Augusto figlio di Dio, il mio preferito, Cleofonte deve morire. Teatro e politica in Aristofane, La metamorfosi, Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano, e così via.

Nella successione dei libri effettivamente ci avviciniamo al tema della lezione di oggi perché il professor Canfora ci parlerà di un esperimento che si consumò nella primavera del 1871 a Parigi: l’esperimento comunista. Ecco il titolo della lezione. Adesso arriva anche il professore. A voi buon ascolto e buona lezione.

[Applauso]

Luciano Canfora: Dunque, il nostro argomento è stato già annunciato e forse possiamo già far apparire un’immagine dalla quale partiamo. È un po’ buffa, Napoleone III impettito in divisa. Parleremo di lui in quanto è all’origine di tutta questa vicenda, la vicenda della Comune parigina, la Commune. Per l’esattezza, come gli storici che se ne occupano sempre precisano, la Comune del 1871. Perché? Perché Commune vuol dire la municipalità, la municipalità di Parigi, e la municipalità di Parigi è stata protagonista nel tempo di altre vicende politiche importanti. Si cita giustamente come antecedente memorabile la Comune del 1792, cioè la municipalità di Parigi che raccoglie le varie sezioni durante gli anni della Rivoluzione ed è quella sotto il cui impulso viene arrestato il re Luigi XVI il 10 agosto del 1792 e tante altre vicende.

Quindi, la Comune del 1871. La peculiarità della vicenda della quale parleremo è la sua brevità. In sostanza, l’esperienza di governo, o meglio di autogoverno, della Commune è durata poco più di due mesi: dalle 18 di marzo, o meglio dal 26 di marzo, vedremo perché, al 28 maggio del 1871. Quindi, un governo brevissimo, stroncato in modo feroce.

Esperienza comunistica: il termine è un po’ desueto da ultimo, non lo si usa più tanto, ma indica una grande prospettiva egualitaria di autogoverno che si verifica, per così dire, per iniziativa popolare in un momento tragico, un momento assolutamente drammatico, quello appunto della sconfitta militare di cui il terzo Bonaparte è il vero responsabile.

È un argomento che divide ancora molto. Mi è capitato mesi addietro, nell’anniversario, no, perché quest’anno, 2021, sono esattamente 150 anni dalla vicenda e dallo schiacciamento della Comune. Mi è capitato in un’occasione, invitato dalla Alliance française, di parlarne, e mi colpì il fatto che, essendo la Alliance française un’articolazione del Ministero della Cultura francese, gli organizzatori siano stati ammoniti ad andare cauti nel celebrare questa vicenda, che evidentemente dopo 150 anni crea ancora qualche problema.

Allora, il punto di partenza è il Secondo Impero, sorto con il colpo di stato di Bonaparte, del principe Luigi Bonaparte, il 2 dicembre 1851. Il principe presidente, perché egli è stato eletto a suffragio universale, ha trionfato nelle elezioni plebiscitarie quasi in suo favore, e dopo breve tempo ha assunto invece il titolo imperiale. I poteri vanno al di là di quelli, diciamo così, costituzionali elettivi.

La politica estera del terzo Bonaparte è una politica ben presto interventista, imperialistica. Sappiamo che il suo ruolo nella storia d’Italia è un ruolo ambiguo. Da una parte, già quando favorisce la fine e schiaccia la Repubblica Romana di Mazzini nel 1849, non è ancora l’imperatore, è ancora un politico importante.

Dopo dieci anni quasi, con la collaborazione del conte di Cavour, interviene in un conflitto che noi italiani chiamiamo Seconda Guerra d’Indipendenza, ma in realtà è la guerra tra la Francia e l’Impero d’Austria, che si combatte sul territorio italiano e che favorisce la politica del Regno di Sardegna. Quindi, ha un posto anche pagato duramente. Nelle battaglie di Solferino e San Martino, i francesi morti sono stati tantissimi. Ma è anche il protettore del regno, dello Stato della Chiesa.

Quindi, è l’artefice della sconfitta di Garibaldi nel 1867, per impedire che Garibaldi liberasse Roma dal potere temporale dei papi. Ma accanto a questo c’è una politica, diciamo, di largo respiro: l’intervento nel Messico e il conflitto crescente che diventa guerra a suo giudizio sarebbe stata una guerra lampo con il Regno di Prussia, il cui genio politico è il principe di Bismarck, che forse vedremo ora nell’immagine successiva.

Eccolo, con l’elmo in divisa, in alta uniforme di corazziere, di alta uniforme. Egli era un politico ma era anche un uomo che si cimentava sul terreno, diciamo così, tattico-strategico. La guerra alla leggera e provocata. Sappiamo la storia del famoso dispaccio di Ems, falsificato e toccato, che diventa casus belli. Ma non è una guerra lampo: le truppe francesi partono al grido di “A Berlino!”, pensando di arrivare in una passeggiata.

Il terzo Napoleone non aveva la dote militare del suo illustre zio, e invece si risolve rapidamente in un disastro. La battaglia di Sedan è la battaglia nella quale addirittura Napoleone III viene preso prigioniero, e tre giorni dopo, il 4 di settembre del 1870, un’insurrezione popolare proclama la Repubblica.

Ma prima di addentrarci nella vicenda e nelle sue implicazioni, che sono molteplici, forse un cenno va fatto al tipo di regime instaurato con il terzo Bonaparte, con il terzo Napoleone. Lo sintetizzerei riprendendo qualche frase da uno scritto sul quale poi torneremo credo verso la fine del nostro incontro. È uno scritto di Marx, intitolato “La guerra civile in Francia”, pubblicato a caldo, potremmo dire, a nome dell’associazione internazionale dei lavoratori, la cosiddetta Prima Internazionale, nata nel 1864. Marx è uno dei leader più importanti, direi anche l’anima di questa associazione, il cui motto è “lavoratori di tutto il mondo, unitevi”, cioè l’ultima frase del Manifesto di Marx ed Engels del 1848.

Questo scritto, “La guerra civile in Francia”, ha un grande rilievo per varie ragioni, le diremo meglio al termine, ma già qui è interessante constatare che non è soltanto un intervento contingente: contiene quasi una cinquantina di pagine a stampa e contiene tra l’altro un’analisi politica del Secondo Impero, che è un fenomeno, fra l’altro, durato molto. È durato vent’anni, è durato a rigore ben più del Primo Impero, del primo Bonaparte, ed è un esperimento interclassista, come Marx ben descrive in queste righe, dalle quali citerò qualche frase.

Laddove dice: “L’impero con il colpo di stato come certificato di nascita, il suffragio universale come sanzione” — suffragio universale soltanto maschile, come fino all’inizio del Novecento è stato — è lo strumento che porta il principe Luigi Bonaparte al potere. Non va dimenticato, però, scrive, “il suffragio universale per sanzione, la spada come scettro, pretendeva di poggiarsi sui contadini, cioè sulla grande massa di produttori non direttamente impegnati nello scontro tra capitale e lavoro, cercava di catturare il consenso dei ceti operai colpendo—dice Marx—il parlamentarismo”, cioè la cricca parlamentare di notabili, sostanzialmente, e il cui potere l’impero via via riduce. E tralascio altri dettagli che pure meriterebbero.

In realtà, lui scrive: “Era l’unica forma di governo possibile durata per 20 anni, in un periodo in cui la borghesia aveva già perso la facoltà di governare la nazione, ma il proletariato non l’aveva ancora acquistata”. Quindi, già in questo scritto, Marx anticipa una diagnosi del fenomeno del bonapartismo, diciamo, in parallelo con quello che farà, sta facendo, Theodor Mommsen come storico, studiando il cesarismo e cioè la via d’uscita intermedia interclassista in un momento in cui nessuno dei contendenti, dei ceti sociali in lotta, è in grado di prevalere, che è un fenomeno che si ripete nel tempo e di cui anche il nostro paese ha avuto reiterate esperienze.

Ma siamo, come ho detto, al momento di crisi rapidissima, una guerra lampo, potremmo dire, ma non da parte francese bensì da parte prussiana. Una guerra lampo che è un campanello d’allarme, potremmo dire, per il movimento dei lavoratori, ma anche in generale per il movimento democratico, che percepisce l’importanza di cogliere l’occasione, potremmo dire, dei conflitti interstatali, interimperialistici, in questo caso si può senz’altro dire, per inserirsi con forza liberatrice.

Già da tempo, Mazzini, al tempo della guerra di Crimea, aveva intuito questa coniugazione guerra-rivoluzione. Nel 1854, esule a Londra, pubblicava un intervento su un giornale inglese repubblicano, quindi un giornale assolutamente marginale, in cui diceva, brevemente lo riassumo: “Se i popoli non si svegliano ora che le grandi potenze sono in lotta tra loro, non sono degni della libertà”.

Nel 1870, la questione si ripropone in modo ancora più netto. Esiste ormai da sei anni, dal 1864, un’organizzazione internazionale che raccoglie i vari movimenti, molto variegata. Mazzini, inizialmente interessato, si era poi ritratto, ma gli anarchici sono presenti in modo molto significativo. Bakunin è uno dei dirigenti, anche se in continuo contrasto e polemiche con Marx, e poi ci sono i socialisti di altra ispirazione che avranno un ruolo importantissimo nella Comune.

In Germania, c’è un partito socialdemocratico molto consolidato, sostanzialmente dovuto all’opera di Ferdinando Lassalle, che manda proclami di solidarietà nei quali si afferma, in modo ingenuo e operativamente poco efficace, la solidarietà dei lavoratori tedeschi con quelli francesi e viceversa.

La guerra si svolge, ma questa sensibilità per la contrapposizione tra l’internazionalismo dei lavoratori organizzati e l’azione concreta dei governi è un tratto caratteristico che si riprodurrà dopo i famosi 40 e passa anni di pace della Belle Époque. Nel 1914, quando da capo, di fronte alle scelte di conflitto interimperialistico, la cosiddetta Prima Guerra Mondiale, ogni stato darà una versione patriottica più o meno credibile rispetto a quella scelta omicida delle grandi potenze.

C’è un tentativo della Seconda Internazionale, nata negli ultimi decenni dell’Ottocento, di fermare questo massacro, ancora una volta purtroppo fallendo nell’obiettivo. In realtà, il fatto che la guerra possa suscitare un moto rivoluzionario all’interno della Francia è percepito con lungimiranza dallo stesso Marx nella sua corrispondenza privata, quando teme in certo senso che accada questo, in quanto non c’è stata una preparazione adeguata ad una presa del potere.

Le lettere sue sono in larga misura conservate e pubblicate, e si può seguire già dall’agosto, quindi prima della vera e propria sconfitta francese, l’allarme che egli esprime scrivendo a Engels intorno a uno sviluppo che ritiene, come è giusto poi confermato dai fatti, inevitabile. La vicenda possiamo forse guardare ancora un’immagine, la successiva, quella di un signore piuttosto simpatico, Léon Gambetta.

Perché lo voglio qui additare alla vostra attenzione? Nella Parigi insorta che proclama la Repubblica, l’imperatore è prigioniero dei prussiani, e c’è una difficoltà fattuale molto forte, cioè la città è assediata dall’esercito prussiano vincitore. Da questa città, nella quale è difficile instaurare il governo repubblicano, alcuni leader fuggono in pallone aerostatico. Gambetta è noto appunto per questa fuga da Parigi piuttosto rocambolesca, perché tentano di formare un governo altrove, a Bordeaux, defilato rispetto alla zona. Fra l’altro, Parigi è una capitale vicinissima al confine, quindi è molto vulnerabile.

Questo tentativo di creare una parvenza di governo dovrebbe comportare anche la prosecuzione della guerra contro la Prussia. Se ci pensiamo bene, è una situazione che rassomiglia molto alla situazione del 1940, ma ovviamente con protagonisti ed esiti differenti. Le date essenziali di questa vicenda è giusto passare in rassegna prima di entrare nel merito del governo della Comune.

Abbiamo già detto il 1° settembre e il 4 settembre la fuga di Gambetta, di Favre, di Thiers — Thiers poi avrà un ruolo direttivo e porterà il governo provvisorio della neonata repubblica sostanzialmente con il permesso dei prussiani, a Versailles, cioè fuori a breve distanza da Parigi. Il conflitto, la guerra civile sarà tra Versailles e Parigi. Gli eventi si susseguono abbastanza precipitosamente. Il principe Odone di Bismarck, quell’uomo che abbiamo visto piuttosto pericoloso, minaccioso, ottiene un successo straordinario che non è affatto poi il grande statista tedesco per eccellenza, e cioè il 18 di gennaio del 1871, mentre continua l’assedio di Parigi, proclama Guglielmo re di Prussia imperatore di Germania.

Quindi l’impero tedesco risorge a Versailles nella reggia, un’operazione anche spettacolare se vogliamo, allusiva al fatto che lì si è fatto incoronare Napoleone I. Ed è uno schiaffo propagandistico fortissimo alla Francia in ginocchio. Compiuta questa operazione al 18 di gennaio, Bismarck torna a Berlino, ma la città di Parigi è sotto la pressione delle truppe assedianti. Pochi giorni dopo, il 22 di gennaio, c’è una battaglia ma molto marginale rispetto all’andamento della guerra. La guerra è ormai quasi conclusa: Parigi è assediata, l’impero tedesco è stato proclamato a Versailles, il governo francese è fuggito, Bismarck è tornato a Berlino. Ma a Digione ci sono delle truppe prussiane affrontate da Garibaldi, accorso in difesa della neonata repubblica francese. Garibaldi ottiene un successo militare contro questi distaccamenti prussiani nelle vicinanze di Digione.

Garibaldi è poi uno degli interlocutori, potremmo dire non centralissimi, ma certamente significativi proprio per questa vittoria militare in un panorama di tante sconfitte. Un interlocutore del governo della Comune, come vedremo tra breve. Ma la situazione precipita via via che il governo provvisorio decide a non proseguire la guerra, cosa che invece i patrioti parigini vorrebbero.

Decide di avviare i preliminari di pace con la Prussia. Preliminari di pace che vengono siglati a Versailles il 26 febbraio del 1871. Nel frattempo, si è tentato di eleggere nei limiti del possibile—una situazione curiosa: la Francia è per larga parte occupata, però si elegge un parlamento che andrà a collocarsi a Bordeaux. Mentre si svolge questa operazione elettorale, alla quale si sottrae la gran parte della popolazione di Parigi che rifiuta questa operazione repubblicana moderata, Parigi insorge e il 16 di marzo nasce il primo comitato centrale del Comune, molto composito, comprende le forze più disparate: forze repubblicane che si autodefinivano giacobine, ispirandosi alla storia della Rivoluzione di fine Settecento, una presenza non trascurabile di socialisti francesi che facevano capo a figure come quella di Proudhon, di Blanqui, rientra Louis Blanc che ha una posizione quanto mai moderata mentre era stato molto più radicale quando era deputato nel 1848, nella rivoluzione del ’48.

L’equilibrio all’interno di questo comitato centrale è molto precario e dopo alcuni giorni, il 26 di marzo, appunto perciò dicevo le due date di inizio della Comune, prevale la componente socialista e si avvia l’esperimento di governo della Comune.

Quanto è presente l’associazione internazionale dei lavoratori facente capo, potremmo dire lato sensu, alla figura e alla linea politica di Marx o dei suoi amici tedeschi che guidano il partito socialista tedesco? Pochissimi. Sono pochissimi gli esponenti dell’associazione internazionale presenti in questo comitato centrale della Comune e hanno un ruolo relativamente modesto.

A un certo momento, si determina una situazione sul piano militare particolarmente anomala: i prussiani hanno occupato le fortezze a nord-est di Parigi, e quindi il governo di Versailles, che vorrebbe eliminare la Comune come un’anomalia pericolosissima, non è in grado di cingere d’assedio la capitale perché ci sono i prussiani che occupano il nord-est della città e stanno a guardare. Non intervengono né per allontanare le truppe di Versailles, che sono modeste numericamente, né per reprimere la Comune.

Quindi, c’è la possibilità per la Comune di avere rifornimenti, di avere contatto col resto della Francia. Il progetto comunardo era quello di abrogare, per così dire, il centralismo statale e creare invece una grande comunità di comuni autogestiti. Una prospettiva potremmo dire avveniristica, molto proiettata in un futuro che noi potremmo definire utopistico.

Questo progetto fallisce perché non si estende il contagio alle altre aree della Francia, non si estende alle masse contadine che sono completamente estranee rispetto ai progetti della Comune. È tramandato tra i pochi documenti che la Comune ha prodotto e che si sono conservati nonostante la repressione un grande appello ai contadini in cui viene chiarito il concetto: “Vi stanno ingannando, noi siamo vostri fratelli, abbiamo gli stessi interessi”. È un programma molto interessante e articolato, magari ne leggeremo dopo qualche frase.

L’esperimento non si riesce ad estendere al resto della Francia e rimane una sorta di città-stato libertaria. I cardini organizzativi sono sconcertanti per l’epoca: niente esercito regolare ma esercito popolare, la guardia nazionale è il popolo in armi che spontaneamente accetta di svolgere questo servizio. Il salario di qualunque funzione è unico, un’unica misura salariale. Abrogazione delle cosiddette multe sul lavoro, che erano frequentissime per orari di lavoro estremamente pesanti e quindi infrazioni punite dal padronato con delle multe. Confisca e socializzazione delle fabbriche abbandonate, perché gran parte dei proprietari di fabbriche hanno lasciato la città, creando un vuoto produttivo. Si crea quindi una socializzazione de facto. Istruzione gratuita e laica.

Come scrive Marx in quello scritto al quale ho fatto riferimento prima, sono le premesse di una società comunistica. Ma, al rigore, sono provvedimenti di carattere elementare di carattere egualitario ad un livello accettabile anche da qualunque formazione politica che non sia aderente all’associazione internazionale. Questo progetto allarma molto più di quanto non sia in sé pericoloso, perché viene considerato, e perciò il governo di Versailles intende reprimerlo, come un antefatto di una possibile estensione negli altri stati europei di questa esperienza.

Il partito socialista tedesco continua a trasmettere messaggi di solidarietà e condivisione delle scelte che vengono fatte a Parigi. Il rischio di una estensione internazionale di questo modello di questo esperimento così limitato, in realtà, sussiste.

Come si sblocca la situazione in questa non facile vicenda? Si sblocca da parte del governo di Thiers con una mossa abbastanza pesante: chiedere al governo tedesco il permesso di riavere i prigionieri di guerra, decine di migliaia di prigionieri di guerra catturati dopo la disfatta militare e dopo la rinuncia dei generali di Napoleone III a proseguire la guerra, per creare un esercito consistente di almeno 85-100 mila uomini per attaccare Parigi e schiacciare la Comune.

La richiesta viene inoltrata al governo di Berlino. Bismarck interviene, ormai non è più sul campo di operazioni, è tornato a Berlino, guida il governo e la politica estera e militare del governo. Bismarck al Reichstag, il parlamento, denuncia la richiesta di Thiers come ricattatoria, dicendo che gli chiede di restituire i prigionieri di guerra per costituire un esercito, poi magari d’accordo con la Comune, e riprendere la guerra contro di noi. La risposta è no.

Thiers manda il suo uomo di fiducia Favre a Francoforte, dove Bismarck lo riceve dopo alcuni giorni e gli risponde: “Se si tratta di schiacciare la Comune, ci pensiamo noi, siamo lì”. Favre, su indicazione di Thiers, risponde: “Mai, sarebbe l’onta massima che noi, governo provvisorio della repubblica francese, accettiamo che l’esercito occupante provveda a massacrare i francesi assediati nella capitale”.

Si firma la pace. Avevamo i preliminari di pace il 26 febbraio, e il 10 maggio viene siglata la pace. Bismarck fa aspettare sei giorni il misero Favre per firmare la pace, alzare di molto le riparazioni di guerra per cui la Francia, la neonata Terza Repubblica francese, si impegna a pagare 5 miliardi di franchi come riparazioni di guerra alla Prussia ormai all’impero tedesco. In cambio, gli viene concesso che una certa quantità di uomini che erano prigionieri possano inquadrarsi nell’esercito di Versailles e scatenare la repressione.

La famosa settimana di sangue, dal 21 al 27 maggio, detta la “semaine sanglante”, è ancora la macchia più atroce nella storia della cosiddetta Terza Repubblica francese. Il massacro si combatte trincea per trincea, barricata per barricata, casa per casa, ma la forza dell’esercito regolare è di gran lunga schiacciante rispetto alle formazioni della guardia nazionale della Comune.

Secondo un dettame tipico della ferocia repressiva, non si fanno prigionieri. Il celebre massacro dei 30.000 fucilati è una cifra spaventosa se uno pensa che tutte le vittime del grande terrore del 1793-94 erano state 3.500. 30.000 fucilati.

Il generale che si incarica di questa operazione, Mac-Mahon, diventerà poi presidente della repubblica, considerato troppo a sinistra dai suoi seguaci, ma in realtà è il macellaio che ha compiuto questa ecatombe. Seguirà poi una sistematica deportazione nelle colonie penali oltre Atlantico di tutti coloro che vengono sospettati di aver fatto parte del governo della Comune, soprattutto donne. La Comune ha aperto forse più di ogni altro movimento politico ottocentesco lo spazio politico alle donne. Louise Michel, una delle più note, ha scritto un libro in cui racconta le vicende, soprannominata “la Vierge Rouge”, la vergine rossa, anch’essa mandata in Nuova Caledonia.

La repressione non solo è stata feroce, ma ha creato un trauma profondo che ha segnato la storia francese e quella del movimento operaio internazionale. L’esperienza della Comune è diventata un simbolo di lotta e resistenza per generazioni di rivoluzionari, e il sacrificio dei comunardi ha ispirato successivi movimenti rivoluzionari in tutto il mondo.

Grazie.

[Applauso]

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