Non è ancora chiaro se l’incidente sia stato causato da un sabotaggio o un attentato. Di certo, far viaggiare insieme diversi membri dell’esecutivo non è mai una scelta prudente. Inoltre, gli Stati Uniti, che hanno espresso preoccupazione per la stabilità dell’Iran, hanno contribuito alla diffusione di voci incontrollate su un possibile attentato, generando confusione. È importante ricordare che l’Iran ha una dialettica politica serrata con due schieramenti principali che si riconoscono nel sistema della Repubblica Islamica: riformisti e conservatori. Raisi, appartenente ai principalisti, vede l’Iran come uno “Stato in rivoluzione permanente” con una politica estera assertiva. I riformisti, invece, sostengono uno Stato meno restrittivo e una maggiore collaborazione internazionale. L’Iran ha affrontato numerosi ostacoli, tra cui sanzioni e tentativi di destabilizzazione, ma ha cercato di sviluppare un’economia di resistenza e si è allontanato dall’ossessione per l’accordo sul nucleare, puntando verso una direzione eurasiatica. Raisi ha portato l’Iran nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e nei BRICS, superando l’isolazionismo rivoluzionario del passato.
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Non sappiamo ancora se si sia trattato di incidente o di sabotaggio/attentato. Di sicuro, tenere sul medesimo velivolo diversi membri dell’esecutivo non è mai una soluzione particolarmente intelligente. E, di sicuro, dichiararsi “preoccupati per la stabilità dell’Iran” (vedi USA) e diffondere allo stesso tempo voci incontrollate sul possibile attentato (vedi sempre USA) fa abbastanza ridere.
Ad ogni modo, visto l’enorme (e cialtronesco) volume di spazzatura prodotto dai mezzi di informazione occidentali sulla figura di Raisi, si rendono opportune alcune delucidazioni.
In primo luogo, preme ricordare che nella Repubblica Islamica dell’Iran esiste una serrata dialettica politica. Semplicemente, i due schieramenti principali si riconoscono entrambi nel sistema della stessa Repubblica. Vi dice qualcosa? Pensate che la “destra” è la “sinistra” italiane (ad esempio, ma vale per qualsiasi altro Paese occidentale) sono entrambe liberali, liberiste e atlantiste (sebbene con gradi diversi). Dunque, in Iran abbiamo: riformisti, conservatori pragmatici, conservatori tradizionalisti e principalisti. Raisi, tendenzialmente, apparteneva a questo ultimo gruppo che vede l’Iran come uno “Stato in rivoluzione permanente”, con costumi sociali conservatori ed una politica estera assertiva (ho spesso parlato di “dottrina Soleimani” per definire la progettualità geopolitica di proiezione dell’influenza iraniana oltre i propri confini attraverso milizie legate all’ordine dei Guardiani della Rivoluzione e la tutela dei luoghi santi dell’Islam sciita e non solo). A questo proposito, mi preme ricordare che durante gli anni ’80 del secolo scorso, nel corso della cosiddetta “guerra imposta”, l’Imam Khomeini soleva affermare che la “liberazione di Gerusalemme passava per la liberazione di Baghdad”, in una sorta di replica del motto nasseriano “per liberare Gerusalemme occorre prima liberare Mecca e Medina”.
I riformisti, invece, si concentrano sulla natura repubblicana del sistema, sostengono uno Stato meno restrittivo sul piano delle leggi religiose e auspicano maggiore collaborazione con la cosiddetta “comunità internazionale” (l’amministrazione riformista di Rouhani, ad esempio, aveva ottenuto l’accordo sul nucleare, con il risultato che gli USA, inizialmente, non l’hanno rispettato e, successivamente, l’hanno abbandonato in modo unilaterale).
Ora, quando si parla dell’Iran come “Stato e società falliti” (tra l’altro, manifestando una evidente ignoranza) sarebbe opportuno tenere a mente alcuni fattori. Dall’istante rivoluzionario, l’Iran è stato costantemente sottoposto a embarghi, differenti regimi sanzionatori, attentati terroristici di varia natura (dal MeK all’ISIS), diversi tentativi di “colorful revolution”, piani sionisti di divisione del suo territorio lungo linee etnico-settarie (sfruttando minoranze etniche e religiose; curdi, azeri, arabi, balochi). Ancora una volta, considerata la connaturata tendenza italiana all’individualismo spinto, sarei curioso di vedere in che condizioni sarebbe questo Paese dopo quarant’anni ed oltre di sanzioni. Il problema, ovviamente, non si pone vista la totale assenza di sovranità dello stivale. L’Iran, invece, è riuscito a più riprese ad aggirare tale regime ed ha puntato (e continua a farlo) sul sistema delle fondazioni (ramificate nell’intera società) per sostenere la propria economia interna. Ha funzionato? Inutile dire che fattori critici esistono e sono tanti, oppure, che il sistema delle fondazioni è sì utile a mantenere un controllo parastatale sull’economia ma si è dimostrato al contempo estremamente invasivo e restrittivo.
Ecco che proprio sul piano economico il governo Raisi ha cercato di sviluppare il modello dell’ “economia di resistenza” presentato da Khamenei: ovvero, fare in modo che il piano economico globale, influisca il meno possibile su quello locale, cercando di mettere famiglia e comunità al centro. Allo stesso tempo, ha sganciato l’Iran dall’ossessione per l’accordo sul nucleare. A differenza del suo predecessore, non ha puntato tutto su un “nuovo accordo”, ma ha portato l’Iran nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e nei BRICS, con ciò superando anche lo slancio rivoluzionario khomeinista (ed isolazionista) “né con l’ Occidente né con l’Oriente”. In altre parole, con Raisi, l’Iran ha preso una chiara direzione “eurasiatica”. E questo gli deve essere riconosciuto. l’Occidente, da subito, lo indicò come un “boia” per aver svolto il ruolo di capo del sistema giudiziario in passato e aver comminato diverse condanne a morte. Beh, Mao Tse Tung diceva che “la rivoluzione non è un pranzo di gala… è un atto di violenza”.
Daniele Perra