Pino Arlacchi analizza tre possibili mandanti dell’attentato a Mosca, variando dall’azione autonoma dell’Isis, all’intervento ucraino, fino a un’operazione orchestrata dalla CIA. L’articolo su Il Fatto Quotidiano delinea queste teorie, sottolineando la complessità e le implicazioni di ciascuna ipotesi.
di Pino Arlacchi
Le reazioni alla strage di Mosca sono, com’è ovvio, le più diverse e sono determinate dall’andamento di una guerra in corso. Siccome ci sono pochi dubbi sul fatto che l’attentato sia stata opera di killer addestrati e armati da un’entità superiore, le ipotesi sui mandanti si restringono a tre:
La matrice islamica autonoma. Il piccolo gioco. L’Isis avrebbe agito in piena indipendenza da altre possibili fonti per colpire un suo nemico storico, la Russia, nel momento in cui essa è impegnata in una guerra contro un Paese sostenuto dall’intero Occidente. Questa ipotesi è al momento la più diffusa, perché suffragata dai dati di fatto finora a disposizione, ma non reggerà a lungo. Chi conosce un po’ l’Isis-K sa che si tratta di ciò che resta di un esercito sconfitto in Siria da sei anni, le cui risorse consentono di condurre attacchi in loco, contro i Talebani afghani, che stanno finendo di distruggerlo. È assai improbabile che i suoi combattenti siano stati in grado di intervenire così lontano senza un supporto esterno.
L’Isis al servizio del terrorismo di Stato ucraino. Il medio gioco. Kiev avrebbe attinto i sicari dalla piccola galassia di jihadisti che combattono accanto alle forze regolari per dimostrare che Putin non è in grado di garantire la sicurezza dei russi, e che il suo apparato d’intelligence non vale nulla, non essendo stato capace di neutralizzare l’attentato nonostante fosse stato avvertito che sarebbero stati colpiti anche spazi pubblici dedicati a “concerti”. Questa tesi ci consente di inquadrare più elementi, essendo indubbio che Putin abbia ricevuto un brutto colpo proprio all’indomani di un suo trionfo elettorale.
Il governo ucraino su input Cia. Il grande gioco. Lo scopo in questo caso non si limiterebbe alla delegittimazione di Putin e dei suoi apparati di sicurezza, ma a rovesciare le carte in tavola, trasformando una Ucraina ormai sconfitta in una potenza vincente. Come? Spingendo la Russia verso uno scontro diretto con la Nato. Uno scontro perdente per Mosca, data la superiorità militare della Nato ammessa dallo stesso Putin, e data la natura di bluff della minaccia nucleare russa. Putin non oserebbe rischiare l’autodistruzione del suo Paese, e sarebbe costretto a cercare una via di uscita negoziale e al ribasso dal conflitto. Credo che anche questa volta la prova decisiva sui mandanti ultimi non si troverà. Si discuterà e si indagherà per anni, fino a che i protagonisti scompariranno dalla scena, che sarà così cambiata da far cambiare di significato ogni pezzo del puzzle da comporre.
La più plausibile delle interpretazioni, purtroppo, è la terza, ma è anche quella che ha meno forza predittiva, nel senso che i mandanti della strage hanno pochissime chance di conseguire i loro obiettivi. Siamo di fronte a un azzardo concepito da menti di seconda categoria come quelle dei capi dell’intelligence Usa, che tentano di sfruttare l’attuale vuoto politico americano combattendo fino all’ultimo ucraino.
Perché si tratta di un azzardo di scadente fattura? Perché la Nato non vuole e non può sostenere una guerra vera e propria contro la Russia senza una ferrea unanimità dei Paesi che la compongono, unita a una diffusa inclinazione dei cittadini europei e americani a correre verso l’autoannientamento. E perché la Russia non sta affatto bluffando. Ha già valutato l’eventualità di uno scontro sia convenzionale sia atomico con l’Occidente, ed è pronta a sostenerlo anche se non lo ritiene imminente. Putin non cambierà idea di fronte al recente trasferimento di truppe Nato al confine tra Ucraina e Polonia prive di copertura aerea, e non modificherà in modo sostanziale la sua strategia di fronte alla strage della scorsa settimana. E così faranno le potenze euroamericane. La recente dichiarazione di Putin sugli esecutori islamici e sul filo che potrebbe condurre a Kiev sembra stare a cavallo tra le prime due ipotesi.
Ma ciò che più sorprende sono i toni e i termini estremamente misurati del comunicato presidenziale. E come se Putin abbia voluto smentire le aspettative di chi, in Occidente e nella stessa Russia, prefigurava una risposta forte, confezionata entro le dinamiche della guerra. Qualcosa tipo la minaccia di colpire basi Nato da cui partono aerei ucraini, l’annuncio di una controffensiva su vasta scala, la costituzione di una no-fly zone nel Mar Nero o intorno a Odessa. Niente di tutto questo. Il presidente russo ha evitato di cadere nella trappola di chi voleva imporgli una condotta della guerra all’insegna della escalation anti-Nato. Putin ha preferito proseguire lungo la strada di un conflitto già largamente vinto, incassando la bastonata del Crocus e lasciando com’erano i rapporti con l’Occidente. Delegando poi ai suoi subordinati, come il capo dell’Fsb e altri, il compito di prefigurare rappresaglie al di fuori del campo di battaglia. Tutto ciò avvalora la logica della terza ipotesi che ho presentato.
Il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2024