di Marco Travaglio
Nella fauna e nella flora dei liberi docenti di satira che spiegano a Mannelli cos’è e come si fa una vignetta (confondendola con le caricature, le barzellette, il Bagaglino e le scoregge dall’ascella), svettano quelli che “il Fatto insulta”. Quindi, sottinteso, è ovvio che lo faccia anche Riccardo Mannelli. Che non è un artista di 68 anni che ha lavorato in tutte le riviste satiriche dell’ultimo mezzo secolo – Help, Male, Cuore, Boxer, Satyricon, Tango, Cuore, Linus –, svignettato e disegnato per Europeo, Stampa, Messaggero, Lotta Continua, manifesto, Repubblica, L’Écho des Savanes (in Francia), Humour, Pagina 12 (in Argentina) e Fatto, ha esposto alla Biennale di Venezia e satireggia su chi gli pare. No, è un killer attivato dal suo direttore perché “insulti” questo e quello, o vendichi Padellaro dopo un dibattito con la madonnina infilzata. Leggete questo scampolo di prosa malferma: “Ma in un quotidiano dove a essere zeppi di insulti, ingiurie e storpiature sono gli editoriali, che vi aspettavate dalle vignette, Raffaello?”. È di Stefano Cappellini, che nessuno lo sa, ma è nientemeno che editorialista di Repubblica: e non lo sa neanche lui, altrimenti saprebbe anche che Mannelli collabora come illustratore con Repubblica. Lui però non solo non sa cosa sia la satira, ma neppure l’insulto: infatti, mentre accusa gli altri di insultare, insulta. Ieri, per dire, accusava Orsini di “cialtroneria”.
Quindi per lui dare del cialtrone a un professore che previde l’invasione russa dell’Ucraina nel 2019, quando lui probabilmente pensava che il Donbass fosse un prete nano, non è un insulto. Oppure per lui le critiche ai suoi amichetti sono insulti e gli insulti ai suoi nemici sono critiche argomentate. Infatti non risultano tweet indignati di Cappellini quando sul suo giornale Francesco Merlo paragonò Grillo a “quel Malpassotu che, da un buco della campagna siciliana, masticando odio e cicoria, scagliava i suoi pizzini per sfregiare i nemici e umiliare gli innocenti” (‘u malpassotu, alias Giuseppe Pulvirenti, è il boss sanguinario catanese reo confesso di una faida da 100 morti l’anno). Qualcuno penserà che Cappellini difenda Mannocchi perché è donna. Ma è altamente improbabile. Sennò avrebbe difeso Virginia Raggi dagli insulti sessisti che la sommersero per cinque anni da sindaca. Invece, mentre Libero la chiamava “patata bollente” e la Verità “Forrest Gump con fama di mantide”, Repubblica s’inventò che Salvatore Romeo, nella causale delle due polizze che aveva intestato alla Raggi in caso fosse morto, aveva scritto “relazione sentimentale”. Tutto falso. E chi fabbricò la fake news? Cappellini. Che poi ovviamente non rettificò né si scusò per la diffamazione sessista. Ma forse, per lui, quella era satira.
Il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2023