FUORI ORDINANAZA
di Massimo Novelli
Ottant’anni fa, nell’ultima settimana del marzo 1943, gli scioperi operai contro il carovita e contro la guerra, cominciati a Torino all’inizio del mese, si estesero a Milano e a Sesto San Giovanni, dalla Falck alla Caproni, alla Ercole Marelli, alle Officine Fratelli Borletti, alla Bianchi, alla Breda, alla Pirelli. I lavoratori lombardi continuavano ciò che s’era avviato il 5 di marzo a Torino, quando le tute blu dell’officina 19 della Fiat Mirafiori avevano incrociato le braccia. Assieme a loro si erano fermate le altre fabbriche torinesi: la Felice Rasetti, la Microtecnica, la Grandi Motori, la Westinghouse, la Savigliano, le Ferriere.
Cadevano le 10 del mattino del 5 marzo, l’ora in cui avrebbero dovuto suonare per prova le sirene dell’allarme antiaereo. Il segnale per lo sciopero lo doveva dare quella sirena. La Fiat aveva saputo però che cosa stava per succedere, pertanto non fece suonare l’allarme. Gli operai, a quel punto, dovettero scegliere. Non fu una scelta facile, era una scelta rischiosa. Alla fine decisero, come avrebbero deciso di lì a poco gli uomini e le donne entrati nella Resistenza.
Si è detto che la Resistenza ebbe inizio proprio con gli scioperi degli operai torinesi, biellesi e lombardi del marzo di ottant’anni fa. Furono agitazioni in buona parte spontanee, legate soprattutto a motivi economici: il carovita, intanto, e quindi l’indennità di sfollamento delle 192 ore. Il ministero delle Corporazioni l’aveva decretata per gli operai capi-famiglia sfollati, ma i lavoratori la reclamarono per tutti, anche per quelli non sfollati. In questo scenario, in quel marzo, entrarono in scena anche alcuni militanti comunisti. Spontaneità operaia e Pci clandestino dunque si incrociarono. Il Pci, in ogni caso, aveva allora una presenza esigua. I comunisti avrebbero organizzato tuttavia gli scioperi del 1944, dall’impronta molto più politica rispetto a quelli di un anno prima.
Le astensioni dei lavoratori ebbero comunque un’influenza in quanto sarebbe accaduto il 25 luglio del ’43, quando Mussolini sarebbe stato arrestato e i poteri sarebbero passati al maresciallo Pietro Badoglio. A marzo erano scesi in lotta tra i 60 e i 100 mila operai. Persino Hitler ne fu sbigottito. E Mussolini, oltre ad avere la conferma dell’estraneità proletaria al fascismo, seppe che il Paese non era più compatto. Il piano di re Vittorio Emanuele III e Badoglio, che avrebbe portato alla caduta del regime fascista, si mise in moto dopo le agitazioni operaie anche per il timore della monarchia che potesse nascere un vasto movimento sovversivo, di stampo comunista.
Gli operai di Torino e di Milano pagarono duramente le loro scelte coraggiose del 1943 e del 1944: prima con la denuncia al Tribunale Speciale; poi, dopo l’8 settembre, con la deportazione nei lager nazisti. Il ceto medio, invece, rimase alla finestra, senza muovere un dito. I lavoratori scioperarono tanto nel marzo ’43 quanto durante il governo di Badoglio, e lo fecero ancora nel novembre del ’43, sotto l’occupazione tedesca. Rispetto all’abulia, all’indifferenza del ceto medio, le tute blu reagirono e lo fecero collettivamente. Per questi motivi si può sostenere che la Resistenza cominciò davvero in quei giorni di marzo.
Il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2023