di Lucio Villari
Viviamo, avrebbe detto Virgilio, in dextro tempore, cioè in tempi buoni e augurali (nella cultura e nella religione del mondo classico e poi anche in quelle cristiane, la “destra” si identificava sempre con la pienezza dell’Essere, con il Bene, con l’Alto), mentre il laevus tempus, quello della “sinistra”, sembrava appartenere alle cose goffe e stolide (“o ego laevus!, “o pazzo ch’io sono!”, diceva di sé Orazio). Come si vede, il linguaggio della classicità era abbastanza chiaro su questo punto. Sembrerebbe facile, allora, continuare a giocare con le due parole, con gli opposti concetti, con il loro rovesciamento di significato (cioè la sinistra è il Bene, la destra no) e con la trasferibilità al momento attuale della nostra vita politica. È un bel gioco che, lungi dal durar poco, si trascina, nel mondo delle idee, delle ideologie della politica, da almeno duecento anni; ma non è per niente un gioco facile. La prova è nella quasi impossibilità di definire, nel riscontro con la realtà di due secoli di storia, uno dei due termini; proprio quello che sembra il più semplice: la destra. A mio parere questo è dovuto al fatto che coloro che si accingono a raccontare le vicende (e i drammi) che vedono protagoniste destra e sinistra, danno per scontato che tutto sia iniziato con la rivoluzione francese (che sarebbe la sinistra) e che la destra sia nata soprattutto tra gli “emigrati” (che non erano solo aristocratici) per reazione a questa. Se però qualcuno obbiettasse che la rivoluzione francese (quella monarchica e liberale fino al 1792 o quella giacobina?) era accaduta proprio come reazione alla, chiamiamola così, destra (cioè all’ancien régime e alla prepotenza dei parlamenti reazionari) che l’aveva preceduta, allora il teorema precedente cadrebbe oppure si finirebbe in un teatrino alla Campanile: è nata prima la sinistra o la destra? L’uovo o la gallina? Il problema è realmente in questi termini; almeno a voler seguire le opinioni e le ricerche più recenti. Tant’è che da qualche tempo si preferisce glissare elegantemente sui due concetti e si preferisce sostituirli con altri. Anche in Italia è stata operata la sostituzione nel linguaggio giornalistico e in quello politico; nel senso che la sinistra si definisce progressista mentre la destra è senza l’equivalente (chiamarsi conservatori è rischioso perché contrasterebbe con l’immagine di modernità e di efficienza che la destra, almeno nel Novecento, ha sempre rappresentato). Ora, se è difficile districarsi dalle maglie di questi concetti duecento anni dopo la rivoluzione francese, non si può che arrendersi all’evidenza che studiare la destra in tutto questo tempo della storia dell’Europa richiede una particolare attenzione alla complessità di questa storia, alla necessità di precise distinzioni, di una conoscenza accurata, dettagliata dei fatti, delle idee, delle persone almeno di due periodi fondamentali: la Restaurazione e gli anni 1900-1940.
Ernesto Galli Della Loggia è convinto di avere superato questi passaggi ed ha pubblicato una Intervista sulla destra (Laterza, pagg. 170, lire 12.000) rispondendo alle domande di Lucio Caracciolo. Le domande sono centosettantasei e tutto sembra filare liscio fino alla penultima pagina quando, alla centosettantaquattresima il lettore ha un sobbalzo: più che una domanda è il getto della spugna da parte dell’ intervistatore: “Le confesso che non posso sottrarmi all’impressione, avendo riesaminato la storia di due secoli di destra, che si tratti di una entità quasi inafferrabile, di difficile definizione concettuale. Molto più della sinistra. Rispetto alla quale, invece, è stata, finora, assai più debole. Anzi, le chiedo: e se la destra fosse un’invenzione della sinistra?”. A questo punto sarebbe stata necessaria, forse, una sospensione dell’incontro. Ma Galli Della Loggia ha risposto immediatamente dicendo che “la destra per un paio di secoli è restata out perché in sostanza ha contestato il nostro mondo, nelle sue stesse premesse, non già semplicemente (sic!) nelle sue conseguenze, come invece si è limitata a fare la sinistra, per la quale muoversi al passo con la storia ha rappresentato sempre un imperativo categorico”.
Ma allora, una certa aristocrazia, una certa borghesia, un certo capitalismo, un certo nazionalismo, una certa cultura delle élites politiche, l’assassinio di Rathenau, il militarismo, l’affare Dreyfus… sono out? Sono fuori della Storia? Marx di chi ha parlato? La sinistra (che era più debole della destra) da chi è stata vinta e contro chi ha combattuto? E quando ha vinto perché poi ha perso? E il conflitto tra liberalismo e conservatorismo nell’Europa (e nell’Italia) dell’Ottocento? E le notevoli referenze culturali della destra, da Chateaubriand a De Maistre, da Constant a Tocqueville (liberali, ma di destra) da Maurras a Celine a Schmitt, a Pareto… (che Della Loggia conosce bene) sono sogni e fantasmi della Storia? Col permesso di Caracciolo, raggrupperei questi interrogativi in una domanda in più: la centosettantasette.
la Repubblica, 22 luglio 1994