Cinque anni dopo “Giuseppi Conte”, Trump ci è ricascato con “Georgia Meloni” (per la Casa Bianca “Maloni”). Ora, per coerenza, i giornaloni “indipendenti” e i giornaletti di destra dovranno perculare anche la premier, chiamandola a discolparsi per l’errore del presidente Usa e a scusarsi di stargli simpatica, come fanno da cinque anni con Conte. Che, per quel “Giuseppi”, passa tuttora per trumpiano di ferro (ma pure servo di Putin e Xi). Resta da capire perché questa sia una colpa agli occhi di chi ritiene il trumpismo della Meloni un gran merito, anzi la prova del suo trionfo negli Usa. Ma, nel fumetto dell’informazione italiota, vale tutto. Si può persino giudicare trumpiano, quindi pessimo, un premier che disse no a Trump su dossier decisivi come la Via della Seta e il rifiuto di riconoscere il golpista filoamericano Guaidò in Venezuela. E giudicare trumpiana, quindi ottima, una premier che si cala le brache nello Studio Ovale su qualunque dossier interessi gli Usa senza ottenerne nulla in cambio. La comica finale è l’idea che chi critica la sua imbarazzante resa senza condizioni all’amico Donald sia un “anti-italiano”, un “gufo”, un “rosicone” (Verità), in preda a un “triplo travaso di bile” (Libero) perché con Giorgia “stiamo diventando un Paese serio” (Sallusti, Il Giornale). È la stessa baggianata che ripetevano i berluscones e i renzones per trasformare in trionfi diplomatici le figure barbine dei loro idoli in giro per il mondo. Salvo poi fare l’opposto quando l’Italia strappò l’ultimo vero successo internazionale. Era il 21 luglio 2020: Conte, dato per sconfitto in partenza, vinse la scommessa degli eurobond per il Pnrr dopo tre giorni e tre notti di braccio di ferro al Consiglio Europeo. E persino B., Meloni e Renzi dovettero ammettere che era stato bravo. Ma non i signorini grandi firme: dopo aver tifato contro per mesi, non riuscirono a nascondere il rosicamento. Piccolo promemoria.
“L’Europa fa cucù a Giuseppi” (Verità, 20.6). “L’Europa sbugiarda il Conte millantatore” (Il Giornale, 20.6). “Conte pensava di avere già in tasca 200 miliardi di fondi. Peccato che mezzo continente lo detesti. I soldi ce li daranno con l’elastico” (Senaldi, Libero, 21.6). “Conte inizia il tour in Europa rimediando solo porte in faccia” (Verità, 9.7). “Giuseppi punta tutto sul Recovery Fund, ma la Merkel gliel’ha già smontato” (Verità, 10.7). “Accattonaggio europeo. Conte chiede l’elemosina. Col cappello in mano. Più insiste e peggio Bruxelles ci tratta” (Libero, 14.7). “Al termine del colloquio fra Merkel e Conte… sembra prevalere di nuovo la sfiducia verso chi governa in Italia… L’esaurimento del Conte2 è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere” (Folli, Repubblica, 15.7).
“Sul ring europeo con le mani legate”, “L’Italia non potrebbe arrivare peggio preparata” (Bonanni, Rep, 17.7). “Ue, l’Italia all’angolo”, “Processo all’Italia. L’Olanda guida l’accusa: ‘Non ci fidiamo più’” (Rep, 18.7). “Conte Dracula. Rischiamo di restare a secco” (Sallusti, Il Giornale, 18.7). “L’Ue non dà i soldi perché non si fida di Conte. Voi al suo posto cosa fareste?” (Libero, 18.7). “La Merkel ci concederà poche briciole” (Verità, 18.7). “Per noi diminuisce la quota di contributi a fondo perduto e aumenta quella dei prestiti… Conte e i suoi ministri… non saranno in grado di reggere l’urto” (Giannini, Stampa, 19.7). “Europa, Conte flop” (Il Giornale, 19.7). “L’accordo che si profila è una disfatta” (Verità, 19.7). “L’Europa detesta Conte” (Libero, 19.7). “All’Italia 172 miliardi” (Corriere, Rep e Stampa, 20.7). “Doppia fregatura”, “Conte in “euroaffanno a caccia di un accordo per salvare la poltrona” (Il Giornale, 20.7). “Conte con l’Europa sta sbagliando tutto” (Libero, 20.7). “Conte gonfiato come una zampogna a Bruxelles”, “Cos’abbiamo fatto per meritarci questo? Dopo il Cazzaro verde, abbiamo il Cazzaro con la pochette! Per evitare il crac, Conte sarà costretto a chiedere all’Ue un prestito. E a quel punto l’Italia ha la troika in casa… per finire nella merda” (Dagospia, 20.7). “Una cosa Conte è riuscito a portare a casa: potrà esibire la foto in cui sedeva sereno (ancorché non sorridente) accanto ai grandi d’Europa: Merkel, Macron, Sànchez e Ursula” (Mieli, Corriere, 20.7). “Errori e inesperienza di Conte… riduzione dei sussidi a fondo perduto che considerava già acquisiti” (Folli, Rep, 20.7).
L’indomani Conte tornò in Italia con 209 miliardi: 36,5 in più di quelli del piano Von der Leyen. Mattarella si congratulò e il Parlamento gli fece la standing ovation. Ma sul Corriere, Franco intimò di “evitare il trionfalismo” perché era tutto merito dell’“apoggio tedesco e francese”. E Verdelli stracciò “la carta d’identità sbiadita del governo (e della nazione)”, privo di una “reputazione spendibile e credibile”, anche per “la bizzarria tutta italiana di mantenere lo stesso premier per due esecutivi molto diversi”. Il Messaggero diede le pagelle: “Conte ha combattuto e non ha perso”. Libero uscì listato a lutto: “Festeggiano Conte perché ci indebita”, “Occhio alla fregatura”, “Conte teme l’ira popolare quando emergeranno le bugie sul Recovery”. Sul Giornale Minzolingua oracolò: “Il governo rischia il crac sui fondi Ue”. Repubblica entrò nella leggenda: “Vince l’asse tra Berlino e Parigi”. E Sambuca Molinari celebrò l’epico “successo del fronte franco-tedesco”, la “maratona mozzafiato” di “Francia e Germania… contro i Paesi ‘frugali’… e sovranisti”. Conte, a Bruxelles, non c’era: al vertice dei Ventisette erano in 26.
Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2025